DSA : una vera e propria epidemia sociale

dislessia

Alzi la mano chi non ha ancora mai sentito parlare di DSA … Nessuno! Tra insegnanti, psicologi, educatori il tema è diffuso per ovvie ragioni: quando si entra in una classe è ormai difficile non trovarne almeno uno! Ma anche se svolgeste un mestiere molto lontano dal mondo della scuola, sicuramente un vostro figlio, nipote o qualche bambino nella cerchia dei parenti ed amici più stretti sarà stato identificato come tale. E seppure non vi sovviene l’esempio di qualche bambino a voi prossimo, senz’altro un manifesto per strada, un servizio in tv, un articolo in rete o sul giornale vi avranno già in qualche modo parlato di DSA.

I numeri sono quelli di una vera e propria emergenza sociale: le cifre ufficiali del MIUR parlano di 186.803 bambini con DSA, pari al 2,1% della popolazione scolastica, percentuale che in alcune regioni d’Italia è prossima al 3,4%. Solo dal 2011 ad oggi, l’incidenza è passata dal 0,7% al 2.1%. Se a questi dati, che si riferiscono ai DSA certificati, aggiungiamo poi tutti quei bambini in difficoltà segnalati dalle scuole che non arrivano alla diagnosi, le cui cifre ufficiose si aggirano intorno al 20%, il fenomeno si impone ai nostri occhi con ancor più evidenza!

Da più parti ci si interroga su quali siano le ragioni di questa “epidemia”, se una maggiore attenzione e precisione diagnostica che porta oggi a riconoscere casi che in altri tempi sarebbero stati trascurati o se si tratta di una sovrastima dovuta alla facilità con cui un bambino che va male a scuola viene adesso “etichettato” come DSA.

Nel tentativo di vederci più chiaro in tutta questa così intricata faccenda, forse occorre fare qualche passo indietro e definire più precisamente che cosa si intende per DSA.

DSA è l’acronimo con cui vengono definiti i Disturbi Evolutivi Specifici dell’ Apprendimento, un gruppo eterogeneo di disturbi (dislessia, disgrafia, disortografia, discalculia) di origine neurobiologica, dovuti a disfunzione del sistema nervoso centrale, caratterizzati da difficoltà significative e circoscritte all’acquisizione ed all’uso delle abilità strumentali, di lettura, scrittura e calcolo, nel contesto di un funzionamento intellettivo nella norma.

La domanda a questo punto nasce spontanea: è mai possibile che il 20% dei bambini che in Italia vengono segnalati dalla scuola per DSA non apprendano per una disfunzione del sistema nervoso centrale?

Il dubbio è quantomeno lecito…

E’ forse possibile che questi così grandi numeri nascondano e confondano tra loro condizioni diverse, non necessariamente riconducibili a DSA propriamente detto?

Andrebbero distinte almeno altre due condizioni che rischiano di essere erroneamente assimilabili ad un Disturbo Specifico dell’Apprendimento, poiché ne condividono in parte la manifestazione, pur avendo origini e decorso differenti: il ritardo nell’apprendimento e le difficoltà d’apprendimento.

Andiamo con ordine…

La distinzione tra “ritardo” e “disturbo” d’apprendimento in età evolutiva non è solo terminologica, ma implica una differente concettualizzazione del quadro clinico e della sua prognosi: in un bambino che è in ritardo negli apprendimenti, le abilità scolastiche di lettura, scrittura e calcolo si evolvono più lentamente, in ritardo appunto, rispetto alla classe dei coetanei, pur seguendo la linea di sviluppo tipica. Se si tratta di ritardo, ci si aspetta che, anche in assenza di intervento specifico, l’abilità scolastica osservata continui a crescere, seppur più lentamente rispetto ai compagni; in questo caso il potenziamento cognitivo mirato basterà ad accelerare i tempi di sviluppo ed a rimettere a posto le cose.

Nel caso di Disturbo Specifico di Apprendimento invece, lettura, scrittura e calcolo seguono un andamento evolutivo differente rispetto alla linea di sviluppo tipica non solo nei tempi, ma anche nei modi. In assenza di intervento, tali abilità sono destinate a peggiorare nel tempo; d’altro canto, un trattamento cognitivo efficace produrrà un cambiamento clinicamente significativo nel bambino, nel senso che lo aiuterà a leggere, scrivere e far di conto meglio di come sarebbe riuscito a fare in assenza si trattamento ma, almeno sulla base dei dati attualmente presenti fin’ ora in letteratura, il disturbo non si ridurrà mai del tutto.

Chiarito dunque che “disturbo” e “ritardo” nell’apprendimento non sono affatto la stessa cosa, un bambino potrebbe far fatica ad imparare anche per una condizione di più generica “difficoltà” le cui origini talvolta sono rintracciabili nella didattica. E quand’è che la didattica rischia di essere di ostacolo allo sviluppo di un apprendimento? Quando fornisce una stimolazione non pertinente, non specifica per la competenza che si propone di sviluppare. Ed ecco che un’abilità, che se ne sta lì come un fiore pronto a schiudersi in tutti i bambini, se non viene innaffiata correttamente, rischia di non sbocciare mai.

Andremmo dunque completamente fuori strada, se nel caso di un alunno che impara male perché mal o non sufficientemente stimolato, ci mettessimo a ipotizzare una disfunzione del sistema nervoso centrale che determina evoluzione atipica di lettura, scrittura e calcolo, come avviene invece nel caso di Disturbo Specifico di Apprendimento.

Provando a questo punto ad andare un po’ oltre il tentativo di delimitare una condizione dall’altra, quando nel caso delle difficoltà di apprendimento, l’origine è nella didattica, nella didattica è anche la soluzione.

Una didattica forse un po’ meno attenta alla prestazione, al voto, al programma ministeriale da finire, un po’ più attenta invece a promuovere competenze ed abilità mediante i linguaggi e gli strumenti pertinenti ed a favorire lo sviluppo di ciascun alunno secondo i propri modi ed i tempi, valorizzandone punti di forza e di debolezza.

Proprio in linea con il riconoscimento del potere di un buon insegnamento e dell’importanza di una stimolazione specifica, il DSM V invita a fare diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento solo nel caso in cui i sintomi persistono per oltre 6 mesi, nonostante la messa in atto di interventi mirati su tali difficoltà.

Secondo queste indicazioni, il rischio di cadere nell’equivoco di “etichettare” frettolosamente come DSA anche situazioni di ritardo o di difficoltà d’apprendimento, si riduce notevolmente. Ed è così che l’allarme DSA che dalla scuola si è sollevato nei termini di un così elevato numero di segnalazioni negli ultimi 5 anni, alla scuola adesso ritorna come monito al cambiamento.

A cura della dott.ssa Anna De Nigris