Autolesionismo: perché farsi del male

autolesionismo

La sigla SIB sta per Self Injurious Behavior ovvero “comportamento di autoferimento” (autolesionismo) ed è così definito: «azioni intenzionali, ripetute, a bassa letalità che alterano o danneggiano il tessuto corporeo, senza alcun intento suicida cosciente.
Chi sono i self-injurers ? Dai dati emersi dai diversi studi, sembra che i soggetti più a rischio di SIB siano adolescenti, o giovani adulti, soprattutto di sesso femminile. L’esordio del comportamento di autolesionismo è fatto risalire in genere verso i 13/15 anni e tende a cronicizzarsi, perdurando circa per una decina di anni, sebbene molti smettono quando raggiungono la maturità affettiva.

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Identikit dell’autolesionista:
•    In prevalenza gli autolesionisti sono di sesso femminile. Questo dato sembra dipendere da fattori sociali: tradizionalmente, agli uomini viene permesso di esprimere la propria aggressività, alle donne viene invece insegnato a reprimerla o quando questo non è più possibile, a rivolgerla verso se stesse.

•    Spesso oltre all’autolesionismo, presenta dei disturbi del comportamento alimentare come anoressia e bulimia. Alcune ragazze di fronte ad un momento di malessere reagiscono alternando comportamenti bulimici (abbuffate seguite da vomito o abuso di lassativi) a quelli autolesivi.

•    Ha una forte depressione, spesso con pensieri di tipo suicida. In alcuni casi, il malessere è così forte che la persona sente che o si taglia o si suicida.

•    Non si piace, odia il suo corpo.

Perché farsi male? Le persone si feriscono per tante ragioni: si sentono morte dentro, non in connessione con il loro corpo e il dolore fisico è l’unico modo che hanno per sentire di esistere, per percepire il loro corpo. Paradossalmente i comportamenti autolesionisti procurano un senso di sollievo, a volte di euforia. Quando ci si fa del male, si distoglie l’attenzione dal dolore psicologico per concentrarla sulle sensazioni fisiche. In questo modo si trasforma un dolore psicologico insopportabile in qualcosa che fa meno paura e che si può controllare.inoltre anche  per prevenire il suicidio, per punirsi o per esistere agli occhi degli altri. Le cicatrici sulla pelle rendono visibile esteriormente la sofferenza che si ha dentro, è un modo per comunicare agli altri il proprio dolore. I comportamenti autolesivi sono una richiesta di aiuto.

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La letteratura empirica attesta una sempre più allarmante diffusione dei comportamenti di autolesionismo o self-injurious behaviors (SIBs), definiti come comportamenti volti alla distruzione o alterazione deliberata e diretta dei tessuti corporei, senza che ci sia una vera e propria cosciente intenzione suicidaria,  che determinano lesioni dei tessuti abbastanza gravi da essere evidenti.
Come si manifesta questa capacità di farsi da me da sè? Nonostante le difficoltà sia nel campo della ricerca che in quello clinico, sulla definizione del comportamento di autoferimento, sulla sua manifestazione c’è un totale accordo; questo evidenzia la similarità nell’espressione del comportamento autolesionista nelle varie culture ed in livelli sociali differenti. La caratteristica principale del comportamento di autolesionismo è il costante pensiero di ferirsi che attraversa la mente dell’autolesionista, pensiero che diventa più forte nei momenti di forte stress. L’autoferitore tenta a volte di resistere a questi pensieri, spesso non riuscendoci, ma c’è anche chi organizza dei veri e propri rituali attorno all’atto lesivo come ad esempio preparare gli strumenti da utilizzare. Gli autoferitori in genere, prima dell’atto autolesivo riportano sentimenti di rabbia, delusione, tensione, depressione, solitudine e senso di vuoto incolmabile, ma anche senso di impotenza o di colpa, che fanno scattare tale meccanismo. Subito dopo l’atto autolesivo sperimentano un senso di sollievo temporaneo che dura fino al ciclo successivo, quando un’altra sensazione negativa lo farà ripartire, quasi fosse una dipendenza fisica.
Lo scopo del comportamento autolesivo è una valvola di sfogo, una via di scarica che permette di espellere via i pensieri negativi, e li mette a tacere. Altre persone cominciano, invece, ad autoferirsi per via di “sensazioni di estraneità“, di alienazione dal proprio corpo, ed il dolore, il sangue che fuoriesce, e che scorre, sembrano servire a farle ritornare coscienti della realtà, a farle “diventare vive d’improvviso”. Spesso alla base di questi stati emotivi così negativi, di queste sensazioni di vuoto interiore e freddezza, ci sono situazioni di perdita, sia fisiche sia affettive, rifiuto reale o percepito, abbandono, minacce di perdita, o trauma che suscitano un aumento di tali sensazioni, a cui si associa spesso l’incapacità di verbalizzare i sentimenti, esprimerli o comunicarli a qualcuno. Esistono svariati metodi con cui gli autoferitori si procurano le ferite, i quali non si escludono a vicenda, ma comunemente alcuni tendono a farlo in un solo modo, quasi identificandosi con questo particolare comportamento, come quelli che in America si fanno chiamare CUTTERS (tagliatori) o BURNERS (bruciatori).

Dagli studi sull’argomento le modalità di autoferimento che vengono più spesso utilizzate sono queste:

  • Tagli od incisioni sulla pelle (Scavarsi);
  • grattarsi ferite, interferendo con la guarigione;
  • Colpirsi;
  • Grattarsi fino a far uscire il sangue;
  • Mordersi;
  • Scavarsi la pelle fino a far uscire del sangue;
  • Inserimento di oggetti nella pelle e sotto le unghie;
  • atuarsi da soli;
  • Bruciarsi la pelle;
  • Strapparsi i capelli;
  • Raschiarsi fino a sangue.

Un recente studio ha riscontrato tra gli studenti universitari che il 38% di loro si era autoferito almeno una volta nella vita. Non sempre però il SIB è riuscito a mantenersi nell’ombra, come nel caso di alcune rock star, come Marilyn Manson oppure la cantante dei Garbage, ma il caso forse più illustre di SIB è quello della principessa Diana, infatti come riportato nella sua biografia “Diana: la sua vera storia” ha sofferto di bulimia e spesso si è procurata delle lesioni mediante lamette e coltelli. Quindi è evidente che il SIB possa colpire chiunque indiscriminatamente.
Le stime sui comportamenti autolesionistici sono da leggere con cautela perché si deve tener conto che molti soggetti autolesionisti non arrivano alla consultazione medica, perchè provvedono da soli alla loro medicazione, preferendo rimanere nell’anonimato a causa del timore delle reazioni altrui. Fattori frequentemente riscontrati tra gli autolesionisti sono una istruzione di livello superiore, provenienza da una classe sociale medio-alta, e la condizione di single. I maschi raramente incorrono in comportamenti di autoferimento. Per ciò che riguarda la sede delle lesioni, le parti più frequentemente prese di mira sono le braccia, le gambe, il torace, ed altre aree sulla parte frontale del corpo, probabilmente perchè sono le più facilmente accessibili.
Sembra quasi un farsi male che ha la funzione di attutire un malessere psichico, qualcosa che fa male dentro, un dolore interiore così insopportabile da avvertire il bisogno di un male fisico che sopprima tale dolore interiore e dà temporaneamente sollievo, un sollievo, però non curativo, che non va a sradicare la radice del problema.

Articolo tratto dal Portale di Ricerca Informazione e Confronto sui Comportamenti Autolesionistici – S.I.B.R.I.C.