Promuovere la conoscenza ed insegnare la complessità

assertivita

Negli attuali contesti educativi il ruolo dell’insegnante è quello di formare, costruire (promuovere la conoscenza) e potenziare le capacità che gli alunni useranno nella loro vita, anche futura (insegnare la complessità).

Realizzare ciò che riporta la famosa affermazione di J.J. Rousseauvivere è il mestiere che voglio insegnargli”, ripresa poi dal sociologo francese Edgar Morin, pone l’insegnante davanti ad una duplice sfida che riguarda non solo il promuovere la conoscenza delle discipline, ma dare all’alunno gli strumenti e le abilità per vivere nella complessità della realtà attuale.

Al fine di realizzare, per quanto possibile, tali importanti obiettivi educativi e di formazione della persona è necessario ed imprescindibile che l’insegnamento del sapere avvenga in sinergia con l’insegnare a vivere, che comporta inevitabilmente il rischio dell’errore e dell’illusione legati alla complessità dei contesti di vita.

Per questi motivi risulta di fondamentale importanza fornire strumenti, che sono sostanzialmente strumenti di pensiero, che permettono allo studente di recepire ed elaborare la complessità che è fortemente insita nel reale, così da poter affrontare le contraddizioni, favorendo allo stesso tempo la realizzazione e il soddisfacimento di inclinazioni, attitudini e talenti individuali.

Nel pensiero di Edgar Morin, la riforma dell’educazione può avvenire tramite una riforma del pensiero e, per ampliare ancor di più il concetto, tramite una riforma della vita stessa. Ciò vuol dire che sono ancor più necessari e basilari il dialogo, il dibattito e il confronto con le persone che ci circondano nella nostra quotidianità.

Il pensiero in qualche modo prestabilito e preformato ha l’effetto di ridurre e appiattire un pensiero di tipo “complesso”, E. Morin ci esorta ad accettare questa sfida, così da rendere attuabili percorsi di comprensione interpersonale e della realtà.

Attuare ciò vuol dire inoltre riconoscere e accettare le diversità di cui si compone la società: è questa la proposta di “un’etica del dialogo”, dove il dialogo non è solo tra gli allievi, o tra allievi e insegnanti ma anche tra gli insegnanti stessi.

La riforma del pensiero formulata da E.Morin fonda la riforma dell’insegnamento, quest’ultima intesa sia come riforma del soggetto che insegna sia del soggetto che apprende.

In quest’ottica il formare non è solo trasmissione di sapere e di contenuti disciplinari ma comporta il favorire una nuova organizzazione della conoscenza, così come il favorire il pieno impiego dell’intelligenza nella sua totalità.

Quando si parla di “testa ben piena”, per usare le parole di E.Morin, si fa riferimento alla mente in cui “il sapere è accumulato e non dispone di un principio di selezione e di organizzazione che gli dia senso”, mentre nella “testa ben fatta” vi è “un’attitudine generale a porre e a trattare i problemi, i principi organizzatori che permettono di collegare i saperi e di dare loro senso”.

La “testa ben fatta” è in grado di superare la separazione tra le culture e di rispondere alle sfide della complessità della vita in ogni suo aspetto. In una prospettiva che vede l’essere umano come soggetto e oggetto della conoscenza “conoscere e pensare non è arrivare a una verità assolutamente certa, è dialogare con l’incertezza e l’errore”.

Le osservazioni svolte fin ora ci portano a considerare come nei contesti educativi, il processo di formazione degli studenti comporti anche e soprattutto il tener conto della complessità delle realtà attuali, che si traduce in sfida culturale, sociologica e civica: rispetto ad una separazione e parcellizzazione dei saperi, che sfocia talvolta nella dicotomia tra sapere umanistico e sapere scientifico, va promossa la totalità dei saperi, in cui tutto è ricompreso, secondo quindi una visione culturale che sia paradigmatica anziché solo e limitatamente pragmatica.

Insegnare la complessità implica considerare e elaborare l’incertezza così come l’errore: il processo di pensiero va stimolato verso la globalizzazione delle informazioni e delle conoscenze, abbandonando quindi la parcellizzazione dei saperi, in vista della formazione dello studente come formazione del cittadino, in grado idealmente di affrontare sfide e problemi contestualizzati e propri del suo tempo.

Non esistono infatti risposte già pronte o “preconfezionate”: semplificando e appiattendo la complessità, riducendola unicamente a ciò che è “complicato”, disgiungendo le teorie dalle esperienze e dalle pratiche, non sarà possibile render conto della ricchezza della realtà.

Rapportando il proprio agire educativo alle peculiarità dei contesti e degli studenti, l’insegnante deve tener sempre presente che non è più possibile o attuabile una parcellizzazione del sapere, trascurando o non riconoscendo le interconnessioni tra le discipline: ciascun campo del sapere presuppone infatti un progetto di costruzione, un’ermeneutica, un’interpretazione continua, dove è anche dall’errore che si può trarre insegnamento, così come dalla volontà di scoperta, dalla ricerca continua e incessante, dall’intuizione.

Il percorso scolastico deve quindi abituare gli studenti a ragionare in termini di complessità e globalità, complessità di una realtà attuale mutevole e in continuo divenire.

L’intervento educativo deve accompagnarsi pertanto anche ad un’analisi critica, metacognitiva, di ciò che si è appreso, al fine di poter consolidare abilità e competenze nel processo dell’imparare ad apprendere, per favorire la costruzione di una mente aperta e concentrando, da parte dell’insegnante, l’attenzione non solo sul “cosa” l’allievo apprende, ma anche sul “come” lo apprende.

A cura della dott.ssa Eugenia Ferrovecchio