Alle origini del comportamento criminale: Serial Killer si nasce o si diventa?

serial killer

a cura della dott.ssa Maria Martina Costanzo

Abstract

La letteratura esistente ha dimostrato associazioni significative tra maltrattamento infantile e diverse forme di comportamento criminale e avverso in adolescenza. È stato, inoltre, scoperto che l’abuso fisico è predittivo di comportamenti violenti e, in modo particolare, di comportamenti sessuali violenti. Sebbene controversi, alcuni studi hanno riportato che la psicopatologia può predire la criminalità: La prevalenza della psicopatologia all’interno del sistema carcerario supera di gran lunga quella della popolazione generale. Infatti, Singleton et al. (1998) hanno riportato che quasi il 90% della popolazione carceraria ha un problema di salute mentale. Inoltre, è stato riscontrato che i criminali possiedono tassi più elevati di esperienze traumatiche rispetto ai non delinquenti e ai campioni della comunità.

L’esperienza clinica e le varie ricerche condotte rilevano che il bambino è più frequentemente vittima di forme di maltrattamento multiforme che comportano conseguenze dannose e persistenti sullo sviluppo e, soprattutto, tendono a strutturarsi in deficit durante l’adolescenza e a cronicizzarsi, poi, in età adulta. Ne derivano quadri psicopatologici complessi determinati principalmente da un’alterazione dei processi di regolazione interna alla base dell’organizzazione strutturale della personalità.

È il legame tra ambiente e biologia che scatena o meno il comportamento distruttivo. Gli studi delle nuove neuroscienze sull’incapacità di controllare le proprie emozioni, causa del comportamento aggressivo, hanno valutato il ruolo della risposta allo stress e dei geni coinvolti in tale reazione nello sviluppo dell’aggressività. Gli studi sulla correlazione tra livelli di cortisolo e comportamento aggressivo hanno condotto all’ipotesi che la predisposizione all’aggressione avrebbe origine dallo squilibrio tra cortisolo e testosterone, determinando una down-regulation a livello cortico-sotto-corticale responsabile di una diminuzione della funzione della corteccia frontale. Nelle varie ricerche condotte si è preso in esame anche un gene, chiamato MAO-A, che, in alcuni esperimenti condotti sui topi, se neutralizzato comporta lo sviluppo di una elevata aggressività, e nel momento in cui viene riattivato si ritorna ai modelli di comportamento originari.

1. Maltrattamento, trauma infantile e disturbi di personalità

Il maltrattamento sui minori è un problema internazionale significativo, che ha un impatto notevole sulla salute fisica e mentale dei soggetti interessati, sul loro benessere e sviluppo e sulla società in generale (Siani, 2019). Include, ad esempio, il maltrattamento fisico ed emotivo, l’abuso sessuale, l’abbandono, l’atteggiamento negligente, oltre che l’esposizione alla violenza domestica. Molti pazienti, adolescenti e adulti, reduci da precoci esperienze di maltrattamento intra-familiare, presentano all’osservazione clinica un quadro sintomatologico complesso e cronico.

Sono diversi i rischi evolutivi che si possono riscontrare nel comportamento di adolescenti che hanno nel loro background storie di traumi complessi, ad esempio: le tendenze auto ed etero lesive, i disturbi del comportamento alimentare e sessuale, la devianza, la vittimizzazione secondaria, l’abuso di sostanze, ecc., L’esperienza clinica e le varie ricerche condotte rilevano che il bambino è più frequentemente vittima di forme di maltrattamento multiforme che comportano conseguenze dannose e persistenti sullo sviluppo e, soprattutto, tendono a strutturarsi in deficit durante l’adolescenza e a cronicizzarsi, poi, in età adulta. Ne derivano quadri psicopatologici complessi determinati principalmente da un’alterazione dei processi di regolazione interna alla base dell’organizzazione strutturale della personalità. Per quanto riguarda la regolazione degli stati affettivi interni, ad esempio, le precoci esperienze traumatiche danneggiano la capacità di decodificare e modulare le emozioni. Ciò comporta difficoltà a riconoscere le emozioni e a differenziare e distinguere gli stati affettivi. I disturbi dell’umore si configurano come una frequente conseguenza, nelle sue diverse espressioni della depressione, degli stati maniacali e del disturbo bipolare (Ricciutello et al., 2012).

Una conseguenza che si può riscontrare spesso nei soggetti traumatizzati, è il ricorso alla difesa della dissociazione. La dissociazione psichica, intesa come incapacità di integrare pensieri, emozioni ed eventi è una caratteristica peculiare del trauma complesso come disturbo dello sviluppo. Nella psicopatologia del trauma la dissociazione è funzionale alla sopravvivenza del sé in quanto si configura come difesa adattiva al costo di una discontinuità e frammentazione dell’esperienza psicologica soggettiva che si costituisce attraverso i processi di memoria. I fenomeni dissociativi sono collegati a processi mentali non integrati derivati da un’esperienza traumatica. Schimmenti (2018) riporta che molti studi di Dalemberg e colleghi si focalizzano su abusi sessuali e fisici come indicatori del trauma. Specialmente nell’infanzia le forme di comunicazione distruttiva tra il bambino e i suoi caregivers può costituire un trauma per il bambino e fa sì che si sviluppino sintomi dissociativi, poiché le esperienze di attaccamento negative possono danneggiare lo sviluppo del cervello e il network delle interazioni corticali e subcorticali che sono coinvolte nelle abilità di rappresentazione e organizzazione mentale dell’esperienza. La teoria implica la dissociazione come un potenziale meccanismo che fa sì che vengano bloccate le informazioni legate al trauma (Chu & Deprince, 2006).

Sul piano clinico si caratterizza come disturbo della memoria (amnesia parziale o totale) che si associa a depersonalizzazione, caratterizzata dalla costante sensazione di sentirsi distaccato dal proprio corpo e la derealizzazione, caratterizzata da un senso di perdita dell’ambiente e delle realtà che si stanno vivendo, si ha la sensazione che il mondo e le persone non siano reali, si ha la sensazione di guardare il mondo attraverso una fitta nebbia, tutto appare lontano e poco chiaro. Abbiamo, infine, l’assorbimento, che è caratterizzato dalla preoccupazione verso qualcosa che non permette di rivolgere l’attenzione verso ciò che circonda l’individuo; gli eventi vengono ricordati in maniera molto vivida, ma non si riesce a comprendere se ciò che è accaduto è reale o è stato semplicemente sognato (D’Ambrosio e Costanzo, 2016).

Nelle forme più gravi può esitare in un disturbo dissociativo dell’identità o in un disturbo di personalità multipla. Per quanto riguarda l’Immagine di sé, si è evidenziato che i maltrattamenti precoci, assenza di fattori protettivi e fallimento nello sviluppo di competenze appropriate all’età fanno sì che il proprio sé venga percepito come inefficace, impotente. “I bambini traumatizzati evidenziano precocemente tale deficit: a diciotto mesi tendono già a rispondere con reazioni neutrali o negative rispetto ai bambini non traumatizzati; in età prescolastica mostrano una maggiore propensione a sottostimare le proprie abilità, in adolescenza aumenta il rischio di abbandono scolastico e l’esposizione a rischi ambientali” (Ricciutelli et al., 2012). Inoltre, la letteratura esistente ha dimostrato associazioni significative tra maltrattamento infantile e diverse forme di comportamento criminale e avverso in adolescenza.

Alcuni ricercatori hanno riferito che specifici tipi di maltrattamento sono legati al successivo sviluppo del disturbo antisociale. E? stato, inoltre, scoperto che l’abuso fisico e? predittivo di comportamenti violenti e, in modo particolare, di comportamenti sessuali violenti. Sebbene controversi, alcuni studi hanno riportato che la psicopatologia puo? anche predire la criminalita?: La prevalenza della psicopatologia all’interno del sistema carcerario supera di gran lunga quella della popolazione generale. Infatti, Singleton et al. (1998) hanno riportato che quasi il 90% della popolazione carceraria ha un problema di salute mentale. Inoltre, e? stato riscontrato che i criminali possiedono tassi piu? elevati di esperienze traumatiche rispetto ai non delinquenti e ai campioni della comunita? (Elklit et al., 2013).

1.1 Predittori del comportamento criminale: la Triade di MacDonald

Il maltrattamento e la crudeltà sugli animali, è il primo scalino sulla scala della violenza. Da diversi studi condotti negli anni è emerso che tale azione può essere predittiva di quanto potrebbe avvenire in futuro.

Il lavoro svolto dallo psichiatra forense John Marshall Macdonald (7 novembre, Dunedin, Nuova Zelanda; 16 dicembre 200, Englewood, Stati Uniti) sostenne che alcuni comportamenti specifici in bambini e adolescenti, aumenta la loro probabilità di divenire, da grandi, degli Serial Killer. MacDonald pubblicò per la prima volta nel 1963 il suo studio in un articolo sull’«American Journal of Psychiatry», dal titolo La Triade dell’assassino.

La sua teoria sostiene che crescendo gli atteggiamenti messi in atto dal bambino (contenuti nella Triade) possano tramutarsi in comportamenti sempre più violenti sino a diventare omicidi efferati.

  • Fire-setting (Piromania), ovvero, l’ossessione di appiccare incendi. Si è riscontrata una grande tendenza nei bambini, che da adulti sono diventati serial killer, a voler distruggere mediante l’utilizzo del fuoco. Appiccare incendi da la sensazione di avere il controllo assoluto della situazione.
  • Animal Cruelty, ovvero, la crudeltà immotivata verso gli animali. Una grande percentuale di serial killer ha, infatti, alle spalle una carriera di torturatore di cani, gatti, criceti e altre creature indifese, quasi a voler affinare le loro future doti di aguzzino.
  • Enuresis (Enuresi): ovvero, emissione involontaria di urina durante il sonno in età superiore ai 12 anni. Una buona percentuale di serial killer ha bagnato il letto ben oltre l’età in cui questo fatto è considerato normale.

La Triade di MacDonald sopra citata, comprende anche altri fattori che influenzano il bambino, ad esempio essere cresciuto in una famiglia violenta, con diverse privazioni materiali o affettive. Ci sono anche diversi comportamenti che intaccano la personalità del bambino, creando un futuro criminale. La maggior parte degli offender tende a distaccarsi dal mondo esterno per evitare o dimenticare i rifiuti, le umiliazioni e le frustrazioni subite nel mondo reale. Moli di loro presentano difficoltà nell’apprendimento scolastico, hanno difficoltà a seguire le regole imposte dalla società, presentano diverse deviate fantasie sessuali. Tuttavia molti criminali risultano perfettamente integrati nella società e hanno una famiglia e un lavoro.

1.2 Uno sguardo al passato: l’infanzia di Donato Bilancia

Donato Bilancia nasce a Potenza il 10 Luglio 1951. Suo padre è un impiegato, sua madre è una casalinga. Ha un fratello maggiore. Nel 1954 si trasferisce con la sua famiglia ad Asti, poi a dove frequenta le elementari. Il rapporto con i genitori va sgretolandosi e sia lui sia il fratello vengono spesso picchiati per aver trasgredito regole dettate dal padre stesso. Donato Bilancia comincia a mostrare i primi segni di disagio. Compare in lui l’enuresi, cui però i genitori rispondono deridendolo e mortificandolo. La manifestazione del suo malessere viene non solo ignorata, ma anche punita. In seguito, durante le vacanze estive, il padre con la scusa di aiutarlo a svestirsi per andare a letto, gli tira giù gli slip davanti alle cugine. Una esperienza umiliante, che lo stesso Bilancia considererà “l’evento che mi ha crocefisso per il resto della vita”.

Alle scuole elementari continua a subire varie umiliazioni, ma comunque riesce a ottenere buoni risultati. Il suo rendimento cala alle scuole medie, periodo in cui comincia la sua carriera di ladro. Il furto sarà per lui unica fonte di soddisfazione. Inizia a rincasare tardi per dedicarsi al furto. Ruba anche in casa piccole somme di denaro, che spende con prostitute o per giocare a carte.

1.2.1 Comportamento criminale e quadro psichico di Donato Bilancia

Per quanto riguarda il quadro psichico di Donato Bilancia, i dati che emergono dalla consulenza psichiatrica richiesta dal PM13 3 poco dopo il suo arresto, sono i seguenti: “(…)Si considera una attititudine collaborativa, una concessione alla compiacenza verso l’interlocutore che lascia trasparire una certa tendenza alla manipolazione, al tentativo di controllare e di prendere l’iniziativa della situazione: sembra inquieto, sistema le seggiole e gli oggetti nella stanza, chiede il permesso di fumare, ma nello stesso tempo si fa portare dall’esterno un posacenere (che in realtà esiste già nella stanza). (…) Chiede di poter parlare in piedi, di fronte all’interlocutore seduto, in parte per un bisogno di controllo e di non perdere l’iniziativa, e per superare il senso di subordinazione…”.

Nel contatto con l’interlocutore Donato Bilancia “riesce appieno a comunicare stati d’animo, emozioni, vissuti, e relazioni”. Anche se dal colloquio si è potuto notare che in alcuni momenti, in Bilancia si è colto qualcosa di distaccato, “come se esistessero momenti in cui si isola, si nasconde e sfugge al contatto (…) come se esistesse un mondo chiuso, un meccanismo difensivo di isolamento e di scissione, di fronte a difficoltà e diffidenze profonde, non connesse al colloquio in atto ne alla persona che sta parlando con lui, ma strutturali(…). Non può sfuggire (…) un’aggressività ben strutturata e repressa ma intensissima, un basso livello di tolleranza alla frustrazione, ed un marcato vissuto di sofferenza legata al senso di umiliazione, di ferita narcisistica profonda(…). Ciononostante manca nel suo racconto “(…)il vissuto di scissione della coscienza, ma piuttosto si può notare quello di vedersi prendere decisioni e compiere azioni senza sapere perchè (…)”, diverso da una scissione dell’identità e della coscienza dell’Io nelle sue componenti fondamentali, ovvero: unità temporale, differenza dal mondo esterno, unità narrativa, unità emozionale. Solo l’unità emozionale risulta leggermente compromessa. Non sono emersi disturbi dell’attenzione; si è evidenziata la totale assenza di un quadro psicotico. Per quanto riguarda il gioco d’azzardo, non si può riferire un disturbo da controllo degli impulsi. Per quanto riguarda i comportamenti sessuali, sono correlati al trauma narcisistico della personalità. Il passaggio dal mondo interno al mondo esterno come acting è conseguente a fantasie di distruttività infantili, che vanno dalla vendetta al comportamento sadico-sessuale, come se ci si trovasse davanti ad una fantasia, che nel momento in cui diviene concreta permette il passaggio dal mondo fantastico a quello reale.

2. Geni e comportamento criminale

Alla luce degli studi sull’incapacità di controllare le proprie emozioni, causa del comportamento aggressivo, alcuni studiosi hanno valutato il ruolo della risposta allo stress e dei geni coinvolti in tale reazione nello sviluppo dell’aggressività. Gli studi sulla correlazione tra livelli di cortisolo e comportamento aggressivo non hanno portato a risultati omogenei, mentre è emerso che l’essere inclini al comportamento aggressivo è associata all’interazione tra i diversi ormoni corticosteroidei, ovvero testosterone e cortisolo.

Tali studi hanno condotto all’ipotesi che la predisposizione all’aggressione avrebbe origine dallo squilibrio tra cortisolo e testosterone, determinando una down- regulation a livello cortico-sottocorticale responsabile di una diminuzione della funzione della corteccia frontale. Inoltre, alcuni esperimenti condotti sui topi, riguardante il gene strutturale della monoaminossidasi-A (MAO-A), ovvero un enzima coinvolto nel metabolismo delle amine biogene il quale influisce sui livelli di neurotrasmettitori come la dopamina e la serotonina collegati al comportamento e all’umore, hanno dimostrato che se il gene della MAO-A viene neutralizzato, gli animali diventano particolarmente aggressivi, mentre se tale gene viene riattivato, i modelli di comportamento tornano ad essere normali (Gatti e Rocca, 2013).

Per quanto riguarda le differenze di genere, in uno studio pubblicato pubblicato in anteprima sul sito della rivista “Comprehensive Psychiatry” “Monoamine oxidase A genotype is associated with gang membership and weapon use”, che illustra il risultato di una ricerca condotta presso la Florida State University, diretta dal criminologo Kevin M. Beaver emerge, inoltre, che il “(…) gene MAO-A (…) è collocato sul cromosoma X. Pertanto i maschi ne possiedono solo una copia, mentre le donne ne hanno due. Se dunque un maschio ha un allele del gene MAO-A che è correlato alla violenza, non ce n’è un altro che possa fare da contrappeso. Le femmine invece possiedono due copie e quindi se anche possiedono un allele a rischio, ne hanno un altro che può compensarlo. Questa è la ragione per cui la maggioranza delle ricerche su MAOA si è concentrata sui maschi, e del fatto che gli effetti di MAOA sono stati rilevati in generale solo nei maschi“.

È stata anche evidenziata una forte correlazione tra i livelli ridotti di serotonina (neurotrasmettitore che regola i comportamenti impulsivi e istintuali) e comportamento aggressivo violento.

Conclusioni

L’influenza che i genitori esercitano sulla prole dura tutta la vita.
Cure infantili inadeguate sono un importante fattore di rischio nello sviluppo di molteplici tipi di psicopatologia in età adulta (Zhang et al., 2004) e studi recenti su soggetti umani hanno rivelato che la qualità delle cure infantili può moderare l’espressione di caratteristiche genetiche implicate nello sviluppo di sintomatologia psichiatrica (Caspi et al., 2002).

Nello studio sullo sviluppo umano si sta valutando l’interazione gene-ambiente, introducendo misure della qualità delle cure infantili e valutazioni dell’attaccamento infantile disorganizzato: è emerso che alcuni bambini sono risultati più vulnerabili di altri rispetto alla qualità della regolazione materna. Rilevante è il lavoro di Suomi (2005) che propone la definizione di “buffering materno”: cure infantili responsive operano un effetto-tampone che protegge i figli altrimenti vulnerabili da un punto di vista genetico, ostacolando lo sviluppo di eccessiva reattività allo stress e di successivi comportamenti disadattivi (Lanius et al., 2013).

Il rischio di disregolazione fisiologia e comportamentale conseguente a cure infantili insufficienti costituisce, dunque, un trauma nascosto che, probabilmente, gioca un ruolo uguale o maggiore sullo sviluppo di morbilità negli anni successivi. Le cure infantili danno contributi sostanziali alla morbilità psichiatrica nell’adulto.

Studi controllati capaci di valutare modelli di intervento per influenzare i comportamenti precoci di genitorialità disfunzionale, combinati con studi di follow-up per descrivere le traiettorie evolutive dei disturbi in età infantile e in età adulta, potrebbero avere un impatto significativo per ridurre i costi a lungo termine di salute mentale legati a questi disturbi per le famiglie e per la società. Non solo, si potrebbe intervenire all’inizio, controllando e modificando i comportamenti della genitorialità disfunzionale, evitando lo sviluppo di disturbi psichici nel bambino prima e nell’adulto poi, con lo scopo di evitare i tanti comportamenti potenzialmente criminali che ne derivano.

In conclusione, difficilmente si troverà una soluzione definitiva che possa dare spiegazione di tutti i numerosi e diversi aspetti della criminalità. Possiamo certamente studiarla seguendo metodi scientifici, ma è bene sempre ricordare che essa non risponde, almeno non del tutto, a criteri di tal genere, poiché, quando si analizza il comportamento umano, vi saranno sempre spiegazioni differenti a seconda della prospettiva da cui lo si osserva.

Bibliografia e sitografia

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