Apprendimento: il ruolo della motivazione

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Nell’articolo “The act of discovery” del 1961, Jerome Bruner presenta il concetto di “apprendimento per scoperta”. Tale concetto fa riferimento ad una qualsiasi modalità che sia utile ai fini di ampliare le proprie conoscenze, grazie soprattutto all’uso delle risorse della propria mente. Si basa sulla considerazione, ampiamente supportata in ambito pedagogico, che un effetto particolarmente incisivo sull’ apprendimento si ottiene quando lo studente può organizzare la conoscenza di propria iniziativa.

Favorire anche in ambito scolastico il pensiero autonomo dello studente fornirà inoltre gli strumenti per un apprendimento continuo nel corso della vita, quindi anche dopo la conclusione del ciclo di istruzione. Questo aspetto incide sulla motivazione all’ apprendimento ed è tuttora estremamente attuale.

Le modalità d’insegnamento individuate inizialmente da Bruner fanno riferimento a due tipologie di approccio: da un lato abbiamo l’insegnamento espositivo, con cui l’insegnante espone i contenuti ed i concetti della materia e ha, rispetto allo studente, una facoltà decisionale maggiore. Lo studente invece si limita ad ascoltare, comprendere e memorizzare le informazioni.

Il docente ha inoltre la libertà di scelta nell’organizzare i contenuti ed i concetti che vuole presentare allo studente, usa la terminologia e le strutture linguistiche che ritiene più opportune, veicola le informazioni secondo schemi personali. È da notare come non sia affatto scontato che la trasmissione di conoscenze secondo le modalità appena indicate e adottate dal docente, sia il modo più efficace ed ottimale per permettere l’apprendimento degli studenti.

D’altro lato abbiamo invece l’insegnamento ipotetico, il quale prevede un ruolo diverso per gli stessi studenti in quanto docente e studente sono su un piano maggiormente collaborativo. Lo studente può partecipare nella formulazione dei contenuti e talvolta può anche assumere un ruolo principale in quanto, nel ricevere informazioni, egli le valuta criticamente. Questo è il tipo di approccio all’insegnamento che favorisce l’apprendimento per scoperta.

L’ apprendimento per scoperta promuove la motivazione intrinseca rispetto a quella estrinseca in quanto, mentre quest’ultima coincide sostanzialmente con un qualche rinforzo dato dall’insegnante, come può essere un buon voto, un giudizio positivo o la promozione, nell’ apprendimento per scoperta lo studente contribuisce portando la propria organizzazione della conoscenza all’insegnante. Il focus, pertanto, viene ad essere spostato sulla ricompensa intrinseca. L’insegnamento ipotetico, grazie al quale l’alunno è collaborativo, sperimenta in prima persona, formula ipotesi e le verifica, favorisce un nuovo tipo di ricompensa.

La motivazione intrinseca quindi si alimenta delle scoperte e di nuove conoscenze e abilità che lo studente ha acquisito mediante la sua stessa scoperta. In questo caso, la volontà, la motivazione e l’azione dell’alunno sono dirette dall’alunno stesso, dal suo interno, e non provengono dall’esterno di sé.

Il percorso che porta alla scoperta, per connotarsi come scoperta realmente educativa, deve tuttavia essere di tipo euristico ed essere attentamente valutato. Non deve inoltre essere di tipo definito, ovvero che porti ad un effetto codificato a priori.

È il percorso stesso della scoperta, infatti, ad essere parte integrante dei processi di apprendimento, insieme al risultato, e per essere euristico deve essere costituito da tentativi e ipotesi, che possono essere confutate o convalidate.

Da questo punto di vista, assume un ruolo importante il problem solving, ossia la capacità di risolvere flessibilmente problemi nuovi, piuttosto che l’applicazione di metodi già conosciuti a situazioni problematiche già codificate.

Nell’ambito della ricerca in campo motivazionale, altro importante contributo è stato dato dallo psicologo Mihály Csíkszentmihályi, che negli anni 70 approfondisce e sviluppa i temi della motivazione intrinseca ed estrinseca, formulando il concetto di attività autotelica e formalizzando la Teoria del Flusso.

Il suo studio parte dall’osservazione dell’attività che viene svolta dagli artisti, in particolare nella fase di realizzazione dell’opera, sulla persistenza nel compito, in cui l’attenzione è tale da non far accorgere loro dello scorrere del tempo, la concentrazione è al massimo su ciò che stanno svolgendo. Non avvertono inoltre alcun senso di affaticamento e sembrano trarre energie e una forte motivazione dallo svolgimento dell’attività stessa in quanto tale.

Csíkszentmihályi definisce così il concetto di attività autotelica, ovvero di una attività che è intrinsecamente motivante, in grado cioè di generare una motivazione di tipo intrinseco.

Il concetto viene in seguito da lui esteso a diverse tipologie di attività, sia a quelle che possono essere intrinsecamente motivanti, sia a quelle che prevedono una ricompensa estrinseca, come dei lavori difficili, ma con un’alta remunerazione, o delle occupazioni che sono considerate prestigiose nella società attuale.

In tutti i casi precedenti, è possibile il verificarsi di questo particolare stato che Csíkszentmihályi definisce Stato di Flusso (Flow) o Esperienza di Flusso.

Le condizioni che determinano lo Stato di Flusso sono essenzialmente due: una prima, essenziale condizione, è che il soggetto percepisca il compito o l’attività come una sfida che sente tuttavia essere alla sua portata, e che può impegnare al massimo le proprie abilità.

È necessario in questo senso un giusto equilibrio circa le abilità che il compito richiede, che non devono essere né troppo al di sotto, né eccessivamente al di sopra delle capacità possedute.

Una seconda condizione è che il compito deve essere caratterizzato da obiettivi concreti, chiaramente avvertibili dal soggetto come tali.

Gli obiettivi, specifici e concreti, strutturati secondo una sequenza logica, diventano indicatori di ciò che si riesce a raggiungere. In tal senso è utile che vi siano dei feedback al soggetto che mantengano alta la motivazione, che tengano vivo il suo interesse e che lo aiutino a proseguire e perseverare nel compito.

Se entrambe queste condizioni si verificano, allora la persona sta svolgendo una attività autotelica che è intrinsecamente motivante.

In contesto scolastico sono favorevoli a questo tipo di esperienze di flusso l’apprendimento cooperativo e il tutoraggio tra pari.

Al contrario, risultano meno favorevoli alle esperienze di flusso le attività di studio passive, come l’ascolto della lezione o il prendere appunti.

Il flusso favorisce l’apprendimento: infatti, dopo che si è vissuta un’esperienza di flusso legata a un’attività di una certa complessità, l’individuo che vuole riprovare l’esperienza di flusso dovrà cimentarsi con un’attività più difficile della precedente.

Altra metodologia che incrementa la motivazione nell’ apprendimento è il metodo induttivo. Mentre il metodo deduttivo, piuttosto utilizzato nell’insegnamento e senz’altro anch’esso utile, prevede l’esposizione da parte dell’insegnante dei contenuti della materia nei loro concetti generali e fondanti, per poi in un secondo momento far cimentare gli studenti con le esercitazioni pratiche, che pertanto vertono sui principi teorici appena spiegati, nel metodo induttivo si parte dal “particolare” per poi giungere all’ “universale”, ovvero dall’applicazione pratica inerente i principi e i concetti da apprendere, per poi giungere alle teorie e concetti generali.

La motivazione per lo studente nel metodo deduttivo è molto legata al momento in cui avverrà la valutazione degli apprendimenti o nel sottolineare da parte dell’insegnante, che i concetti astratti e formali studiati, avranno un domani la loro utilità nella vita e nel lavoro.

Un percorso di tipo induttivo, al contrario, parte dall’applicazione pratica, dal problema reale, dall’analisi e dall’interpretazione di alcuni dati, dallo studio di un caso specifico per giungere in un secondo momento ai concetti astratti e generali.

In questo modo gli studenti sono più motivati ad affrontare la necessaria formalizzazione dei concetti e la comprensione dei principi astratti di carattere generale, senza i quali non si potrebbe gestire il problema presentato.

A cura della dott.ssa Eugenia Ferrovecchio