Disturbi dell’alimentazione, alessitimia e stili di attaccamento

alessitimia

a cura della dr.ssa Eloisa Ticozzi

ABSTRACT

I disturbi alimentari e della nutrizione (DAN) sono disturbi psichiatrici caratterizzati dalla mancanza o da un alterato consumo di cibo e compromettono la salute fisica e l’aspetto psicosociale del paziente (American Pyschiatric Association, 2013, citato in Pelle, et al., 2021). Incidono sulla disabilità e mortalità impattando sia la vita psicorelazionale del paziente, sia quella dei suoi familiari (Treasure J, et al., 2020). Inoltre in più del 70% dei casi, si trovano in comorbilità con altri sintomi psichiatrici, come il disturbo d’ansia generalizzato e il disturbo depressivo maggiore (Keski-Rahkonen A et al., 2016). L’esordio dei DAN è nell’età evolutiva, dai 12 ai 25 anni, anche se il disturbo può presentarsi in tutte le fasi della vita, con una tendenza alla cronicizzazione, con un rapporto femmine:maschi di 9:1.

In particolare vengono definiti DCA, nello specifico, i disturbi dell’alimentazione, atteggiamenti disfunzionali nei confronti del cibo.

Diversi studiosi (Phillips KA e Kaye WH , 2007) hanno ipotizzato una ideazione delirante nelle pazienti anoressiche, comune nei pazienti schizofrenici e nei disturbi di personalità, come la personalità paranoide. In quanto le pazienti donne conservano un certo grado di dismorfobia, alterando la realtà del proprio aspetto fisico. Le pazienti con DCA hanno scarsa stima di sé  e si svalutano, usando coping poco efficaci (coping evitanti) (Mineka S. e Thomas C., 1999). Inoltre esiste una correlazione dei DCA e alessitimia, ossia l’incapacità a capire e ad esprimere le proprie emozioni e quelle altrui e difficoltà nell’astrazione e nell’immaginazione.

Il terapeuta deve fungere da contenitore dell’Io sul piano affettivo e deve valorizzare quelle esperienze che permettono l’inserimento di emozioni in un’attività maggiormente controllata dal paziente (Frosh A.,1995).

Leggi anche: DCA: Alimentazione e condotte disfunzionali

1. CLASSIFICAZIONE

Negli ultimi dieci anni la definizione dei disturbi alimentari è stata rimaneggiata, culminando nella riclassificazione in?Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione della quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), riconfermata anche nell’undicesima edizione della Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati (ICD-11) (World Health Organization, 2019).

Inoltre, sono stati riconosciuti e classificati per la prima volta come disordini ben definiti il Binge Eating Disorder (BED) e il disturbo evitante restrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID), i primi due DAN che non contano tra i propri criteri diagnostici la preoccupazione per l’immagine corporea (Hai P., 2020). Il DSM-5 classifica i DAN in cinque categorie: anoressia nervosa (AN), bulimia nervosa (BN), BED, Pica, ARFID. Ci sono poi altri disturbi che non vengono inclusi in una classificazione più integrata, come la NES.

1.1 Disturbi alimentari: l’anoressia nervosa

L’anoressia nervosa si esplica nell’evitare l’assunzione di cibo, per la paura di aumentare di peso, con disturbi di dismorfobia circa il proprio aspetto. In genere colpisce le donne. Per quanto riguarda i cambiamenti nei criteri diagnostici dell’AN, non è più necessaria una precisa riduzione di peso ma è sufficiente una significativa riduzione (dal 75% all’85%) del peso corporeo. L’anoressia porta a un deterioramento dei processi metabolici, oltre che sul piano cardiovascolare ed endocrinologico (in stadi molto avanzati, si può avere spesso amenorrea nelle donne). L’AN presenta il tasso di mortalità più alto tra tutti i disturbi psichiatrici sia a causa di patologie mediche che psichiatriche: il rischio di suicidio ha tassi riportati di 12 su 100.000 per anno (American Psychiatric Association, 2013)

1.2 Disturbi alimentari: la bulimia nervosa

La bulimia nervosa è caratterizzata da frequenti episodi di abbuffata fino a comportamenti autolesivi e compensatori come il vomito autoindotto, l’uso di lassativi e il ricorrente esercizio fisico. Può essere associato a peso normale o elevato. Possono seguirsi episodi di alimentazioni incontrollata seguiti da abbuffate anche una sola volta a settimana ( per almeno tre mesi per il DSM-5, per almeno un mese nel ICD-11).

1.3 Disturbi alimentari: BED, ARFID, Pica e NES

Il BED (Binge Eating Disorder) comprende cibarsi più velocemente del normale, pur non avendo fame, a tal punto da vergognarsi di se stessi e sentendo la perdita di controllo durante le abbuffate (almeno una a settimana per tre mesi). C’è una correlazione con il disturbo ADHD e con il disturbo borderline di personalità. (Ziobrowski H et al,2018)

L’ARFID (Disturbo Evitante nell’assunzione del cibo) consiste nell’evitamento del cibo per le sensazioni negative che possono scaturire dal nutrirsi; si pensava in origine che fosse correlato all’infanzia.

La Pica consiste nella persistente ingestione di sostanze non commestibili per almeno un mese; si associa la ruminazione, il ripetuto rigurgito del cibo per almeno un mese.

Al di fuori della classificazione più classica, si trova un particolare disturbo, la NES (Night Eating Syndrome) che si caratterizza per un pattern di assunzione del cibo prevalentemente serale/notturno, con insonnia e anoressia mattutina. Il paziente è completamente sveglio durante l’assunzione di cibo, non c’è sonnambulismo e c’è memoria dell’evento il giorno successivo.

2. ALESSITIMIA

Il termine alessitimia (dal greco: “assenza di parole per le emozioni”) viene introdotto da Sifneos nella prima metà degli anni ’70, avendo riscontrato in pazienti con disturbi psicosomatici, la difficoltà a comunicare con le emozioni, poca immaginazione e astrazione, preoccupazioni eccessive circa il proprio corpo (Taylor et al., 1997). Inoltre la scarsa fantasia impedisce di modulare le emozioni attraverso i sogni e il gioco (Kristal H. et al,2007). Sifneos ha distinto un’alessitimia primaria, dovuta a deficit neurobiologici, da un’alessitimia secondaria causata da traumi infantili  o fattori socioculturali (Zappa et al., 2010).

Secondo Carano (Carano A. 2007) nei soggetti alessitimici con disturbi del comportamento alimentare, il soggetto non riesce a discriminare fra stati emotivi e sensazioni corporee: questo procedimento si ripercuote sulla formazione dell’immagine corporea e sulla capacità di sperimentarsi quale soggetto che può sentire sia sul piano affettivo che su quello cognitivo, fallendo nella costruzione dell’identità propria. Per appropriarsi di un equilibrio emotivo , i pazienti si iperalimentano , apportando sensazioni corporee nuove, scambiate però  con affetti positivi: il cibarsi eccessivamente nella bulimia diventa un atto di autocura, una sorta di gratificazione personale. Tutto questo è riscontrabile anche nell’obesità psicogena, considerata da alcuni come un disturbo psicosomatico (Pisoni G. et al., 1996).

I sintomi alimentari diventano un contenitore provvisorio per un Io frammentato che rischia di disintegrarsi, così che il comportamento disfunzionale paradossalmente serve a ristabilire un’autoregolazione di stati emotivi sgradevoli e di aspetti di sé deficitari (Goositt A. et al.,1983).

L’alessitimia viene pensata come “un arresto dello sviluppo” che compromette la sfera affettiva, relazionale, simbolica, e in parte la sfera cognitiva. Fonagy sostiene che la capacità di mentalizzare sia correlata alla regolazione degli stati affettivi, influenzata a sua volta dagli stili di attaccamento. Il costrutto alessitimico risulta correlato all’Intelligenza Emotiva che  comprende abilità sia in termini di valutazione e di regolazione delle emozioni su di sé e sugli altri. Goleman ipotizza che queste caratteristiche possano essere apprese in qualsiasi fase della vita, ma ciò potrebbe richiedere un periodo più lungo per apprenderle (Salovey P. e al.,1993).

2.1 IL MODELLO DI ATTACCAMENTO NEI DISTURBI ALIMENTARI

Il modello di attaccamento insicuro è la causa dei modelli rappresentativi nei pazienti con DCA, i quali vedono gli altri non in grado di comprenderli.

Vari studi hanno indagato la relazione tra alessitimia e stili di attaccamento in età adulta: dati clinici suggeriscono e correlano lo stile di attaccamento evitante con l’anoressia e stile di attaccamento disorganizzato con la bulimia.

Lo stile di attaccamento evitante, infatti, è compatibile con il perfezionismo comune nell’anoressia; quello disorganizzato è compatibile con le difficoltà a gestire le emozioni nei bulimici (Montebarocci O. et al,2004).

Nel modello di alessitimia sviluppato da McLean, sembra esserci una disintegrazione tra corteccia cerebrale e sistema limbico, tra dominio cognitivo ed emotivo: le pazienti con stili di attaccamento evitante tracciano uno stile cognitivo a discapito di quello affettivo. Queste pazienti non esprimono tenerezza, rabbia e nemmeno tristezza, evitando di entrare in contatto intimo con altri. Tale stile riflette il rapporto con un caregiver ansioso, rigido e iperprotettivo, ma con un insufficiente accudimento buono. Attraverso i rituali col cibo, i pazienti cercano di contenere e di organizzare l’esperienza emozionale, nell’illusione di contenere anche le proprie necessità e i propri bisogni: vorrebbero adoperarsi a  preservare un senso di integrità psicofisica, controllando il proprio caos interno.

2.2 SVALUTAZIONE DELLA PROPRIA PERSONA

Le persone con DCA tendono a svalutarsi, avendo una bassa stima di sé, e dal punto di vista clinico non riescono a volte a far fronte mentalmente ed emotivamente a situazioni avverse, rivolgendosi quindi a stili di coping disfunzionali (Mineka S.e Thomas C. 1999).

Secondo Bruch (1973) le pazienti anoressiche sono caratterizzate da un senso di inefficacia paralizzante, non riuscendo a trattare e a risolvere i problemi per fronteggiare la propria sofferenza psicologica. Le abbuffate alimentari nella bulimia si caratterizzano invece per una forte disregolazione emotiva, senso pervasivo di impotenza e perdita di controllo. In particolare, nell’anoressia nervosa, le donne attribuiscono agli altri l’idea che il proprio corpo sia deforme anche se questa percezione è assente in altri (Ruffolo e al., 2006). Questa distorsione dell’immagine corporea deriva da un malfuzionamento metacognitivo, la capacità di distinguere e di definire i propri stati interni (emozioni, cognizioni e intenzioni).

Il concetto di Funzione riflessiva fu introdotto da Fonagy (1991), che consiste nel riflettere sugli stati emotivi propri e altrui, per rappresentare gli stati mentali consci e inconsci di sé e degli altri. La funzione riflessiva indica quella funzione che media il rapporto fra sé, il mondo e gli altri; nei pazienti con disturbi alimentari, questa capacità di riflettere e di mediare è impoverita dal punto di vista cognitivo e affettivo.

3. L’APPROCCIO TERAPEUTICO

L’approccio terapeutico deve cercare di elevare da un livello strettamente legato alla percezione ad un livello tramite il quale le emozioni possano essere usate come segnali, essere oggetto di riflessione ed essere comunicate agli altri.

Il terapeuta dovrebbe manifestare le proprie convinzioni e sentimenti, con un distacco terapeutico giusto, per porre il paziente in un modello di elaborazione emotiva. Gli aspetti psicoeducativi potrebbero essere rivolti al paziente al fine di fare riconoscere e differenziare le emozioni al paziente. Il terapeuta deve favorire la gestione emotiva svolgendo la funzione di contenitore sul piano affettivo e di Io ausiliario esterno sul piano cognitivo. Deve valorizzare quelle esperienze che permettono l’inserimento di emozioni in un’attività maggiormente controllata dal paziente (Frosh A.,1995).

BIBLIOGRAFIA

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