I disturbi del comportamento alimentare in età evolutiva

a cura della dott.ssa Fidalma Valentina Ritondò

Abstract

I Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione si configurano quali patologie psichiatriche eterogenee e complesse, con un’eziopatogenesi multifattoriale, compromettenti in modo significativo la salute fisica e il funzionamento psicologico e sociale dell’individuo (Bressi, Invernizzi, 2017). Nei disturbi del comportamento alimentare l’alimentazione è caratterizzata da modalità restrittive, disordinate, ritualizzate nonché ossessive, che minano fortemente la possibilità di consumare un pasto in maniera normale (Comi, Monzani, 2023).

La nuova edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-V, 2013) pone l’obiettivo di garantire una maggiore continuità diagnostica tra età evolutiva ed età adulta, i criteri diagnostici vengono adattati alla possibilità di fare una diagnosi anche in età infantile e adolescenziale e i Disturbi dell’Alimentazione vengono unificati con i Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione, i quali nel DSM-IV (1994) erano inseriti tra i Disturbi a insorgenza nell’infanzia e nell’adolescenza (Ministero della Salute, 2017).

Recenti studi epidemiologici evidenziano un notevole abbassamento nell’età di esordio della patologia, pertanto, è sempre più frequente incorrere in diagnosi di disturbi alimentari fra bambini e preadolescenti (Spitoni, Aragona, 2019). La precocità costituisce un elemento di notevole preoccupazione poiché intralcia in maniera significativa il processo di sviluppo evolutivo, e psicologico e sociale del bambino (Comi, Monzani, 2023).

I quadri clinici dei singoli pazienti riflettono notevoli trasformazioni: i disturbi alimentari più che un gruppo di patologie diverse fra loro costituiscono una nebulosa unica di disturbi, fra i quali i pazienti – sempre più frequentemente – nel corso della loro storia clinica possono migrare, passando da un sintomo all’altro (Dalla Ragione, Vanzetta, 2023).

L’articolo – dopo aver condotto una rassegna delle nuove classificazioni di Disturbi del Comportamento Alimentare – si pone l’obiettivo di analizzare nel dettaglio il ruolo che i fattori di rischio e i fattori di protezione e, soprattutto, la combinazione di questi possono giocare nel prevenire o – contrariamente – nel favorire l’esordio e il decorso della patologia alimentare, con particolare attenzione all’età evolutiva.  È, infatti, dimostrato che i fattori di rischio alla base dei disordini alimentari, se prevenuti, e – rispettivamente – i fattori protettivi, se supportati, possono ridurre la frequenza dei sintomi nonché prevenire l’insorgenza della diagnosi (Comi, Monzani, 2023).

Introduzione

«L’essere umano mangia per nutrirsi e in età evolutiva per crescere, ma l’equilibrio fra i sistemi e i processi di regolazione omeostatica (mangiare per il bisogno di mangiare, tanto quanto basta a risarcire la spesa energetica di ogni giorno) e quelli di regolazione edonistica (mangiare per il piacere di mangiare, quanto e cosa va) è complesso e instabile»

(Spitoni, Aragona, 2019, p.66)

In questo quadro di complessità ed instabilità si collocano i Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione, i quali si configurano come patologie eterogenee e complesse, con un’eziopatogenesi multifattoriale, «specifiche delle abitudini alimentari e del comportamento relativo al controllo del peso, che sfociano in un deterioramento clinicamente significativo della salute fisica e delle condizioni psico-sociali» (Comi, Monzani, 2023, p.11).

1. I Disturbi del Comportamento Alimentare: classificazione e criteri diagnostici

La condotta alimentare nei Disturbi del Comportamento Alimentare risulta caratterizzata da modalità restrittive, disordinate, ossessive nonché ritualizzate che intaccano la possibilità di consumare un pasto in modo normale (Comi, Monzani, 2023). Tali disturbi sono caratterizzati da patologie psichiatriche eterogenee, con alti livelli di complessità e un’eziopatogenesi multifattoriale, compromettenti in modo significativo la salute fisica e il funzionamento psico-sociale della persona (American Psychiatric Association, 2022; Bressi, Invernizzi, 2017).

Analisi condotte sui quadri clinici dei singoli pazienti hanno dimostrato che i Disturbi del Comportamento Alimentare più che un gruppo di patologie diverse fra loro costituiscono un’unica nebulosa di disturbi, fra i quali i pazienti – sempre più frequentemente – nel corso della loro storia clinica possono migrare, passando da un sintomo all’altro (Dalla Ragione, Vanzetta, 2023).

Inoltre, decorso clinico e sintomatologia dei Disturbi Alimentari si presentano in modo variegato, «ne consegue che è difficile enucleare tutti i sintomi e trattarli come patologie dai confini netti, stabili nel tempo, chiaramente differenziabili le une dalle altre» (Spitoni, Aragona, 2019, p.15).

La nuova edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-V, 2013) -perseguendo l’obiettivo di garantire una maggiore continuità diagnostica tra età dello sviluppo ed età adulta – ha adattato i criteri diagnostici alla possibilità di fare una diagnosi anche in età infantile e adolescenziale, pertanto, nella nuova edizione del manuale i Disturbi dell’Alimentazione vengono unificati con i Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione, i quali nel DSM-IV (1994) erano inseriti tra i disturbi a insorgenza nell’infanzia e nell’adolescenza (Ministero della Salute, 2017).

La nuova edizione del DSM-V, considerando i cambiamenti epidemiologici ha rimodulato la classificazione dei Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione, fondamentalmente allargandone i criteri (Dalla Ragione, Vanzetta, 2023), il capitolo in questione include le diagnosi di:

  • Pica;
  • Disturbo da ruminazione;
  • Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo;
  • Anoressia nervosa;
  • Bulimia nervosa;
  • Disturbo da binge-eating;
  • Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con altra specificazione;
  • Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza specificazione.

Ulteriore finalità della revisione dei criteri diagnostici è stata quella di ridurre il cospicuo numero di diagnosi di disturbo alimentare non altrimenti specificato (Ministero della Salute, 2017).

L’undicesima revisione della Classificazione Internazionale delle malattie (ICD-11, 2022) colloca il gruppo Feeding and Eating Disorders nel sesto capitolo (disturbi mentali, comportamentali e neuroevolutivi), senza differenze sostanziali rispetto al DSM-V (Spitoni, Aragona, 2019).

Tenuto conto dei cambiamenti nei quadri epidemiologici e delle nuove classificazioni le tre articolazioni principali di Disturbi del Comportamento Alimentare – ovvero, anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbo da binge-eating – rappresentano «gli estremi di un continuum fenomenologico, lungo il quale trova posto tutta una serie di configurazioni intermedie, ibride, passibili di un’esistenza autonoma rispetto ai disordini “ufficiali” e non necessariamente di essi predittive» (Dalla Ragione, Vanzetta, 2023, p.8).

1.1 Anoressia nervosa

L’anoressia nervosa è un disturbo alimentare caratterizzato da malnutrizione proteico-energetica e da una restrizione alimentare motivata da una smisurata preoccupazione per le forme fisiche e il peso corporeo, che si manifesta attraverso un ossessivo nonché eccessivo timore di ingrassare e una ricerca disperata della magrezza (Comi, Monzani, 2023; Spitoni, Aragona, 2019).

La persona che soffre di anoressia nervosa presenta lo stimolo della fame, tuttavia, decide volontariamente di rifiutare l’assunzione di cibo, pur conservando lo stimolo della fame (Bressi, Invernizzi, 2017). Per chi soffre di anoressia nervosa la fame rappresenta, al contempo, una compagna ed una nemica e – nel tempo – da sensazione corporea muta in pensiero ossessivo: i pensieri circa il cibo e le condotte alimentari diventano pervasivi al punto da assumere la forma di un rimuginio incessabile capace di inibire qualsiasi altro tipo di interesse personale (Comi, Monzani, 2023).

I criteri diagnostici definiti dal DSM-V (2013) per l’anoressia nervosa sono:

  1. Restrizione nell’assunzione di calorie in relazione alle necessità, che porta a un peso corporeo significativamente basso nel contesto di età, sesso, traiettoria di sviluppo e salute fisica. Il peso corporeo significativamente basso è un peso inferiore al minimo normale oppure, nel caso di bambini e adolescenti, meno di quello minimo previsto.
  2. Intensa paura di aumentare di peso o di diventare grassi, oppure un comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso, anche se significativamente basso.
  3. Alterazione del modo in cui viene vissuto dall’individuo il peso o la forma del proprio corpo, eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di autostima, oppure persistente mancanza di riconoscimento della gravità dell’attuale condizione di sottopeso (Ministero della Salute, 2023).

Nel DSM-V i criteri diagnostici per l’anoressia nervosa rimangono invariati rispetto a quelli definiti dal DSM-IV-TR (1994), ad eccezione dei seguenti:

  • Viene eliminato del tutto il criterio dell’amenorrea a causa della presenza di pazienti sottosoglia, bambine molto piccole che ancora non hanno avuto il menarca e il numero crescente di soggetti maschi;
  • Viene introdotto un nuovo criterio di gravità sulla base dell’indice di massa corporea (IMC) (Ministero della Salute, 2017).

Inoltre, nella nuova classificazione, si configurano due sottotipi di anoressia nervosa:

  1. Anoressia di tipo restrittivo: caratterizzata da una perdita di peso ottenuta mediante dieta, digiuno e/o eccessivo esercizio fisico;
  2. Anoressia con crisi bulimiche/condotte di eliminazione: caratterizzata da frequenti abbuffate e successive condotte eliminatorie, mediante il ricorso a diuretici e/o lassativi oppure vomito auto-indotto (Comi, Monzani, 2023).

La storia tipica dell’anoressia nervosa dimostra che la patologia può avere esordio anche a seguito di una dieta intrapresa con il solo obiettivo di perdere qualche chilogrammo superfluo, di migliorare il proprio aspetto fisico o di correggere le proprie abitudini alimentari; in particolare, la patologia alimentare si instaura nel momento in cui la persona inizia a perdere il controllo diventandone completamente ossessionata, iniziando a ridurre progressivamente la quantità di cibo ed eliminando intere categorie di cibi ritenuti dannosi e troppo calorici (Comi, Monzani, 2023).

1.2 Bulimia nervosa

La bulimia nervosa, analogamente all’anoressia nervosa, è caratterizzata dalla morbosa paura di ingrassare e dall’esagerato impatto che la forma fisica e il peso corporeo hanno sul valore che la persona attribuisce a sé stessa, aspetti che incidono in modo determinante sull’autostima (Bressi, Invernizzi, 2017). Chi soffre di bulimia nervosa, a differenza dell’anoressia nervosa, generalmente si presenta con un peso corporeo nella norma o leggermente in sovrappeso, per questo motivo non risulta semplice individuare chi ne soffre e spesso tende a celare la patologia (Comi, Monzani, 2023).

Il DSM-V individua quali criteri diagnostici per la bulimia nervosa i seguenti:

  1. Ricorrenti episodi di abbuffata. Un episodio di abbuffata è caratterizzato dai seguenti aspetti:
  2. Mangiare, in un determinato periodo di tempo, una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui assumerebbe nello stesso periodo di tempo e in circostanze simili.
  3. Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio.
  4. Ricorrenti e inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici o altri farmaci, digiuno o attività fisica eccessiva.
  5. Le abbuffate e le condotte compensatorie inappropriate si verificano entrambe in media almeno una volta alla settimana per 3 mesi.
  6. I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso del corpo.
  7. L’alterazione non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di anoressia nervosa (Ministero della Salute, 2023).

Per quanto concerne la bulimia nervosa nel DSM-V la frequenza minima di abbuffate e successive condotte compensatorie viene ridotta ad un episodio a settimana e vengono aboliti i sottotipi diagnostici individuati nel DSM-IV (bulimia di tipo purgativo e bulimia di tipo non purgativo) (Spitoni, Aragona, 2019).

L’esordio della bulimia nervosa può essere caratterizzato da una forte insoddisfazione per il proprio aspetto fisico e da una intensa volontà di perdere peso; invece, il decorso della patologia è caratterizzato da un peso corporeo normale mantenuto alternando tentativi di dimagrire con episodi di abbuffate e successive condotte di compenso e/o eliminatorie (Comi, Monzani, 2023).

1.3 Binge eating disorder

Il binge eating disorder, o disturbo da alimentazione incontrollata, nel DSM-V ha finalmente ricevuto dignità nosografica entrando nella classificazione ufficiale tra i Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (Spitoni, Aragona, 2019). Per definizione, il binge eating disorder «è una condizione clinica caratterizzata da malnutrizione per eccesso» (Spitoni, Aragona, 2019, p.383); peculiarità di tale disturbo sono le abbuffate senza il ricorso a metodi di compenso.

Tra tutti i disordini alimentari il binge eating disorder risulta essere quello più diffuso (Comi, Monzani, 2023). Un’offerta di cibo sempre più ampia e variegata, un’identità sempre più legata all’immagine corporea, l’enfatizzazione della magrezza e delle forme corporee nonché l’aumento dell’incidenza dell’obesità creano i presupposti per questo – nuovo e insidioso – disordine alimentare (Spitoni, Aragona, 2019).

Il DSM-V individua quali criteri diagnostici per il binge eating disorder:

  1. Ricorrenti episodi di abbuffata. Un episodio è caratterizzato da entrambi i seguenti aspetti:
  2. Mangiare, in un determinato periodo di tempo, una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui assumerebbe nello stesso periodo di tempo e in simili circostanze.
  3. Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio.
  4. Gli episodi di abbuffata sono associati a tre o più dei seguenti aspetti:
  5. Mangiare molto più rapidamente del normale.
  6. Mangiare fino a sentirsi sgradevolmente pieni.
  7. Mangiare grandi quantitativi di cibo anche se non ci si sente affamati.
  8. Mangiare da soli a causa dell’imbarazzo dovuto a quanto si sta mangiando.
  9. Sentirsi disgustati verso sé stessi, depressi o molto in colpa dopo l’episodio.
  10. È presente marcato disagio riguardo alle abbuffate.
  11. L’abbuffata si verifica, mediamente, almeno una volta alla settimana per 3 mesi.
  12. L’abbuffata non è associata alla messa in atto sistematica di condotte compensatorie inappropriate come nella bulimia nervosa, e non si verifica esclusivamente in corso di bulimia nervosa o anoressia nervosa (Spitoni, Aragona, 2019).

Anche se non rientra fra i criteri diagnostici, da diversi studi è emerso che anche le persone che soffrono di binge eating disorder presentano un rapporto conflittuale con il loro aspetto fisico poiché generalmente tale condizione è correlata ad obesità (Spitoni, Aragona, 2019).

1.4 Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo

Il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo è stato inserito nella categoria dei Disturbi Alimentari con l’ultima revisione del DSM-V e sono stati ampliati i criteri diagnostici, includendo anche l’età adulta: il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo può essere diagnosticato in qualunque fascia d’età e non solo nei bambini com’era in precedenza (Bressi, Invernizzi, 2017).

Nel DSM-V sono criteri diagnostici del disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo:

  1. Un disturbo della nutrizione o dell’alimentazione che si manifesta attraverso la persistente incapacità di soddisfare le appropriate necessità nutrizionali e/o energetiche, associato a uno (o più) dei seguenti aspetti:
  2. Significativa perdita di peso (o mancato raggiungimento dell’aumento ponderale previsto oppure una crescita discontinua nei bambini).
  3. Significativo deficit nutrizionale.
  4. Dipendenza dall’alimentazione parentale oppure da supplementi nutrizionali orali.
  5. Marcata interferenza con il funzionamento psicosociale.
  6. Il disturbo non è meglio spiegato da una mancata disponibilità di cibo o da una pratica associata culturalmente stabilita.
  7. Il disturbo dell’alimentazione non si verifica esclusivamente durante il decorso dell’anoressia nervosa o della bulimia nervosa, e non vi è alcuna evidenza di un disturbo del modo in cui vengono vissuti il peso o la forma del proprio corpo.
  8. Il disturbo dell’alimentazione non è attribuibile ad una condizione medica concomitante e non può essere meglio spiegato da un altro disturbo mentale. Quando il disturbo dell’alimentazione si verifica nel contesto di un’altra condizione o disturbo, la gravità del disturbo dell’alimentazione eccede quella normalmente associata alla condizione o al disturbo e giustifica ulteriore attenzione clinica (Spitoni, Aragona, 2019).

La persona che soffre di tale disturbo segue un’alimentazione insufficiente in relazione alle proprie esigenze nutrizionali, tale comportamento non risulta correlato al timore di ingrassare né ad un’eccessiva importanza attribuita al peso corporeo, tuttavia, tale condizione comporta un considerevole impatto sul funzionamento psico-sociale dell’individuo (Bressi, Invernizzi, 2017; Spitoni, Aragona, 2019). A causa delle simili condizioni fisiche questo disturbo è di frequente confuso con l’anoressia nervosa, aspetto che indispettisce le persone che ne soffrono, le quali vorrebbero aumentare di peso ma non riescono a causa del timore o disinteresse a nutrirsi (Comi, Monzani, 2023).

1.5 Altre categorie diagnostiche

Esistono una molteplicità di condotte alimentari che non vengono inquadrate fra le patologie del comportamento alimentare riconosciute e codificate bensì possono rappresentare forte causa di disagio e portare a notevoli abbassamenti della qualità della vita (Comi, Monzani, 2023). La classificazione sistematica di tali disordini è determinante, tanto sul piano della ricerca clinica quanto su quello del trattamento, tuttavia, non tutti i quadri clinici rientrano nelle categorie predefinite e questo contribuisce ad aumentare il rischio che tali disturbi siano difficilmente identificati e – conseguentemente – difficilmente trattati in modo tempestivo nonché adeguato (Pinzarrone, 2014).

Tra le categorie di disturbi alimentari atipici sono state individuate:

  • Ortoressia nervosa: caratterizzata dall’ossessione per la qualità dei cibi che si mangiano;
  • Vigoressia: è una forma di dismorfofobia, ovvero la credenza che un particolare tratto del proprio corpo sia imperfetto, si caratterizza per una rigida attenzione verso la forma fisica, l’allenamento, la massa magra, il tono muscolare e una dieta ipocalorica e iperproteica;
  • Dieting: caratterizzata da un esasperato e costante controllo del peso corporeo, da diete inefficaci e dalla pratica ossessiva di contare ogni singola caloria ingerita;
  • Sindrome da alimentazione notturna: i soggetti che ne soffrono mangiano durante le ore notturne, fino ad arrivare ad abbuffarsi, come se il loro ritmo circadiano fosse alterato;
  • Sindrome “mastica e sputa”: caratterizzata dalla condotta di mettere in bocca il cibo, masticarlo ma non deglutirlo;
  • Pregoressia: consiste nella ossessione delle donne in gravidanza di voler contrastare il fisiologico incremento ponderale tipico di questa condizione, ricorrendo a dieta ed esercizio fisico;
  • Drunkoressia: caratterizzata dalla combinazione fra restrizione alimentare e abuso di sostanze alcoliche;
  • Emetofobia: timore ingiustificato di vomitare, che induce la persona a mangiare il meno possibile per evitare tale conseguenza;
  • Diabulimia: tipica di soggetti diabetici che si autoriducono la dose di insulina per ottenere una riduzione dell’accumulo di grassi, tenendo sotto controllo il peso corporeo;
  • Anginofobia: timore di deglutire e rimanere soffocati che porta la persona a mettere in atto una serie di strategie di evitamento (Comi, Monzani, 2023; Pinzarone, 2014).

2. L’insorgenza dei Disturbi del Comportamento Alimentare in età evolutiva

L’alimentazione riveste un ruolo essenziale nel processo evolutivo sin dalla nascita, determinando il primo legame del bambino con le figure di attaccamento e, conseguentemente, con l’ambiente che lo circonda. Pertanto, quando le difficoltà alimentari evolvono verso quadri psicopatologici il cibo può configurarsi come il canale attraverso cui il bambino o l’adolescente veicolano le proprie difficoltà intrapsichiche, emotive e relazionali (Spitoni, Aragona, 2019).

In età evolutiva, i disordini alimentari maggiormente diffusi sono l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa, con un’età di esordio compresa tra i 15 e i 25 anni; studi epidemiologici indicano un notevole abbassamento nell’età di esordio della patologia, per cui è sempre più frequente incorrere in diagnosi di disturbo alimentare tra bambini e preadolescenti (10-14 anni). La precocità rappresenta un elemento di notevole preoccupazione in quanto intralcia in maniera significativa il processo di sviluppo evolutivo (Spitoni, Aragona, 2019; Comi, Monzani, 2023).

2.1 Fattori di rischio

Origine e decorso dei Disturbi del Comportamento Alimentare, quali patologie multifattoriali, possono essere determinati da una pluralità di variabili (Dalla Ragione, Vanzetta, 2023).

I fattori di rischio che si combinano – contribuendo allo sviluppo e al mantenimento della patologia – si articolano in:

  • Individuali: età, genere, personalità, bassa autostima, perfezionismo, regolazione delle emozioni, scarsa fiducia in sé stessi, paura del confronto, abitudini disfunzionali, ecc.;
  • Familiari: quadri clinici di disturbi dell’umore o dipendenze presenti in famiglia, sovrappeso, abusi o vischiosità affettiva, eccessiva criticità, attenzione al giudizio altrui, discorsi sul grasso e sul magro;
  • Socioculturali: sono i più difficili da inquadrare in quanto mutevoli; tuttavia, sono i più importanti da conoscere, rientrano in questa categoria, ad esempio, l’esaltazione di determinate caratteristiche corporee come la magrezza femminile e il corpo muscoloso maschile bensì un ruolo decisivo è rappresentato dalle nuove tecnologie e dai social network in generale, strumenti quotidianamente fra le mani dei giovani e non solo (Comi, Monzani, 2023; Dalla Ragione, Vanzetta, 2023).

2.2 Fattori di protezione

L’eliminazione assoluta dei fattori di rischio risulta impensabile oltre che impossibile, per questa ragione si rende necessario spostare l’attenzione sui fattori protettivi che possono consentire agli adolescenti di utilizzare i vari strumenti e canali comunicativi di cui dispongono in modo consapevole, senza esserne travolti. Molti tra i fattori considerati di rischio possono fungere anche da fattori di protezione (Dalla Ragione, Vanzetta, 2023).

Primo fra tutti il nucleo familiare, il quale può assumere funzioni protettive verso le patologie che possono manifestarsi al suo interno, difatti, «i fattori familiari che sono risultati positivi ed efficaci nel contrasto alla genesi e alla prognosi di patologie croniche sono il contatto e la condivisione tra i membri della famiglia, l’unità, la reciprocità dell’offerta di sostegno nell’ambito però di una ripartizione chiara e accettata dei ruoli e dei compiti di ciascun componente il nucleo stesso» (Bressi, Invernizzi, 2017, p.363).

Anche i social network possono rappresentare un fattore protettivo capace di contribuire alla divulgazione di messaggi positivi e informazioni attendibili fondate su pareri medico-scientifici che forniscono comunicazioni utili circa l’argomento (Dalla Ragione, Vanzetta, 2023).

A sostegno dei fattori protettivi, inoltre, risulta indispensabile lavorare sulla propria autostima e il rispetto verso la propria persona, sulla capacità di gestire e mediare i conflitti, sullo sviluppo del senso critico nei confronti dei messaggi mediatici nonché la capacità di coltivare interessi e passioni, di godere delle piccole cose della vita ed essere in grado di meravigliarsi (Dalla Ragione, Vanzetta, 2023).

Conclusioni

Risulta fondamentale che le figure significative che ruotano attorno agli adolescenti e nei loro ambienti di vita quotidiana (famiglia, scuola, sport, tempo libero) siano sensibilizzate circa le diverse manifestazioni con cui i Disturbi del Comportamento Alimentari possono presentarsi ed è importante che conoscano quali sono i fattori di rischio alla base dell’insorgenza degli stessi in quanto, se prevenuti, possono ridurre la frequenza dei sintomi nonché prevenire l’insorgenza della diagnosi (Comi, Monzani, 2023). Allo stesso modo, i fattori di protezione, nella misura in cui vengono sostenuti e rafforzati possono proteggere l’adolescente dallo sviluppo di circoli patologici potenzialmente in gradi di innescare un disordine alimentare.

Riferimenti bibliografici

  1. American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition, Text Revision, Washington, DC, 2022.
  2. Bressi Cinzia, Invernizzi Giordano, Manuale di psichiatria e psicologia clinica, McGraw-Hill Education, Milano, 2017.
  3. Comi Chiara, Monzani Emiliano (a cura di), Disturbi alimentari. Interventi multidisciplinari nel percorso di cura, FrancoAngeli, Milano, 2023.
  4. Dalla Ragione Laura, Vanzetta Raffaela, Social Fame. Adolescenza, social media e disturbi alimentari, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 2023.
  5. Ministero della Salute, Quaderni del Ministero della Salute, “Linee di indirizzo nazionali per la riabilitazione nutrizionale nei disturbi dell’alimentazione”, Roma, n. 29, settembre 2017, www.quadernidellasalute.it
  6. Ministero della Salute, “Disturbi dell’alimentazione”, 13 marzo 2023, www.salute.gov.it
  7. Dott.ssa Laura Pinzarrone, “Che problema ho con il cibo? Forse un Disturbo atipico…”, MEDICIITALIA+, 21 gennaio 2014, https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/4299-che-problema-ho-con-il-cibo-forse-un-disturbo-atipico.html
  8. Spitoni Grazia Fernanda, Aragona Massimiliano (a cura di), Manuale dei disturbi alimentari, Carocci editore, Roma, 2019.