IAT: come misurare risposte e scelte implicite

IAT

Nell’ambito della ricerca, non solo scientifica ma anche di mercato, ci si scontra spesso contro la difficoltà di ottenere dati affidabili, veritieri e completi da parte di coloro che partecipano ad un eventuale studio e sondaggio: per far fronte a questo problema, è stato ideato un particolare tipo di test, chiamato “IAT” (Implicit Association Test).

Grazie all’IAT, è possibile misurare non solo le cosiddette “risposte esplicite”, ovvero ciò che il partecipante al sondaggio o esperimento afferma esplicitamente, ma anche il suo grado di confidenza rispetto alla risposta data, ovvero quanto effettivamente “crede” a ciò che sta affermando.

Risposte esplicite ed implicite

Gli studi condotti nell’ambito sociale, del marketing e dell’economia tendono spesso a fare uso di questionari e scale “self-report”, ovvero compilati direttamente dai partecipanti, riguardo alle proprie opinioni, preferenze e abitudini. Ne è un esempio la famosa scala Likert, composta da 5 o 7 elementi che vanno da un valore più alto (ad esempio, “assolutamente d’accordo”, “sempre”, “completamente soddisfatto”) a un valore più basso (“per niente d’accordo”, “mai”, “del tutto insoddisfatto”), tra i quali il partecipante è chiamato a scegliere un’opzione.

Il limite di questo tipo di indagini è che, trattandosi di auto-valutazioni e auto-descrizioni, non si può mai avere la certezza che la risposta fornita rappresente effettivamente la realtà dei fatti, in quanto sul giudizio individuale possono intervenire diversi fattori, sia volontari che involontari.

Innanzitutto, può capitare che un soggetto tenda ad “adattare” le proprie risposte alle aspettative dello sperimentatore o intervistatore. In questo caso, soprattutto se si vanno a indagare temi delicati o potenzialmente controversi (es: orientamento politico e religioso, immigrazione, tematiche LGBTQ+), le risposte potrebbero risultare edulcorate e il più vicino possibile a quella che viene considerata l’opinione pubblica dominante.

A causa del timore del giudizio degli altri, della paura di violare le norme del proprio gruppo di appartenenza o del bisogno di desiderabilità sociale, infatti, l’individuo può sentirsi in difficoltà ad esprimere apertamente la propria opinione e tenderà, quindi, a conformarsi piuttosto che fornire una risposta “impopolare”.

Inoltre, può accadere anche che un soggetto agisca in modo “automatico” (ad esempio, sulla base di un bias), senza essere pienamente consapevole del motivo per il quale ha selezionato una certa opzione, espresso una certa preferenza o dato una certa risposta. In questo caso, il partecipante si sforzerà comunque di fornire una spiegazione razionale alla sua scelta, ma -seppure inconsciamente e involontariamente- probabilmente darà una motivazione sbagliata o, semplicemente, inventata.

Cos’è lo IAT 

Lo IAT è un test che consente di effettuare una valutazione oggettiva della “forza di associazione” tra due elementi, ovvero quanto e con quale facilità un individuo è portato ad associare a un determinato concetto (es: uomo/donna, bianco/nero) un determinato attributo (es: buono/cattivo, bello/brutto, e così via).

Questo test nasce alla fine degli anni ‘90 nel campo della psicologia sociale, con lo scopo di indagare le associazioni implicite legate al pregiudizio razziale. Uno studio tradizionale basato su risposte esplicite, infatti, non avrebbe potuto fornire risposte accurate, in quanto nessuno (o quasi nessuno) dei partecipanti si sarebbe sentito a proprio agio ad affermare apertamente di essere razzista o nutrire pregiudizi di natura razziale. 

La metodologia classica dell’IAT consiste in una serie di compiti di categorizzazione da svolgere al computer (oggi è possibile effettuare questi test anche su tablet o smartphone). Sullo schermo, l’utente visualizza una coppia di parole (concetti o attributi) tra cui scegliere e, di volta in volta, uno “stimolo” (parole o immagini) da valutare. 

Ad esempio, in uno studio che indaga i pregiudizi e gli stereotipi di genere, nei due angoli della schermata si possono trovare le parole “UOMO” e “DONNA”, mentre gli stimoli da categorizzare che compaiono, uno dopo l’altro, al centro dello schermo, potranno essere immagini o espressioni verbali correlate semanticamente alla famiglia, alla casa, alla carriera o al denaro.

Come funziona l’IAT

Per misurare l’associazione implicita tra due concetti (es: “donna”<> “famiglia”, “donna <> “carriera”) o tra un concetto e un attributo (es: “donna” <> “bella”, “donna” <> “intelligente”), l’IAT prevede un controllo sui tempi di risposta e sul numero di errori compiuti dal partecipante durante il task.

Se l’associazione tra i due elementi è particolarmente forte, gli stimoli verranno accoppiati con più facilità, la risposta sarà più immediata e il numero di errori risulterà inferiore. 

Se, invece, i due elementi vengono percepiti come totalmente dissociati o debolmente associati, i tempi di risposta saranno più lunghi e si assisterà a un maggior numero di errori. 

Confrontando la velocità di esecuzione e l’accuratezza dei diversi compiti di classificazione è possibile ottenere un indice della forza di associazione tra i concetti rappresentati in memoria. Di conseguenza, la presenza di eventuali bias, stereotipi o preferenze “nascoste” dei partecipanti (ad esempio, nel campo delle ricerche di mercato su brand e prodotti) può essere facilmente individuata dai ricercatori sulla base dei loro comportamenti impliciti, indipendentemente dai dati raccolti in modo esplicito (ovvero l’effettiva risposta fornita).

Se siete curios* di vedere come funziona concretamente un test di associazione implicita, potete trovarne alcuni esempi in lingua italiana su questa piattaforma, messa a disposizione gratuitamente dall’Università di Harvard.