La creatività dell’Essere creativo

creatività

a cura della Dott.ssa Giuditta Dinardo

Introduzione

Con la scrittura, ogni essere umano può esprimere la propria creatività, intesa come un insieme di sfumature che colorano un soggetto.

Nel corso del tempo la nozione di creatività e la definizione dell’aggettivo creativo hanno subito una mutazione poiché ampliamente legati alla funzione del linguaggio, della semiosi e della realtà.

Ricordando Platone, Aristotele ed altri autori, si può asserire che, il pensiero umano è astratto, simbolico e capace di rispecchiare l’ordine naturale delle cose; in opposizione a questo concetto è presente quello esposto da Kant il quale definisce la realtà una condizione in cui gli umani sono in grado di costruire innumerevoli descrizioni del mondo.

Considerando, invece, quanto rivelato dal libro Creatività e origini della semiosi umana, la creatività è la capacità dell’individuo di adattarsi alla realtà come essa si presenta; pertanto, l’oggetto di questo articolo è una capacità specifica che si pone alla base della semiosi e della cognizione umana, poiché queste ultime si sviluppano sulle esperienze senso-motorie così come analizzate dalla teorie di un rilevante studioso come Piaget (M. W. Bruno, D. Chiricò, F. Cimatti, G. Cosenza, A. De Marco, E. Fadda, G. Lo Feudo,M. Mazzeo, C. Stancati,2018).

In base a questo esposto, la creatività si manifesta con la sperimentazione che si descrive come attiva, la quale si trasforma in una conoscenza permanente e vincolante ad alcuni schemi che si sono formati a causa di eventi legati a concetti empirici; tuttavia, la stessa è strettamente correlata alle origini del linguaggio (Gargani, 2018) che si districano in differenti tipi al fine di ridefinire la realtà, organizzandola e rivelandola agli altri. (Pirozzi, 2019)

In riferimento a questa correlazione tra creatività e linguaggio, a metà degli anni Sessanta, è stato pubblicato il Cartesian Linguistics in cui Noam Chomsky sostiene che il linguaggio umano è l’aspetto creativo di quest’ultimo e la sua diversità si esprime in Humboldt (Gallo, 2015); facendo un salto indietro nel tempo, tuttavia, si può menzionare “Cartesio” che, tra il 1596 ed il 1650, con la sua teoria, ha distinto la realtà materiale dalla realtà spirituale.

Nella realtà materiale si racchiude un meccanismo che ha l’obiettivo di creare un distacco tra corpo e anima al fine di salvaguardare la spiritualità e l’immortalità di quest’ultima. Cartesio afferma che tutti gli organismi funzionano come macchine, e alla realtà materiale dà il compito di occuparsi dell’attività irrazionale; mentre, la realtà spirituale si occupa dell’attività razionale e conscia. (Pavesi 2011)

Anche il filosofo francese Julien Offray de La Mettrie (1709-1751), considera l’uomo come una macchina, ma differentemente da Cartesio che aveva distinto il corpo umano dall’anima sensitiva e intellettiva; entrambe hanno funzioni psichiche che non vengono considerate di proprietà del corpo.

L’intelligenza, così come il linguaggio sono argomenti correlati fra loro, e che sono stati trattati da innumerevoli filosofi e pensatori in modi diversificati.

1. Avram Noam Chomsky e la creatività del linguaggio

Avram Noam Chomsky, con le sue teorie, in particolare la teoria dell’evoluzione, è stato uno degli esponenti più importanti della linguistica del XX secolo.

Chomsky, nato nel 1928, era un noto professore che ha scritto il saggio Mente e corpo in cui, alle pagine 69-133, evidenzia le difficoltà della ricerca linguistica, i limiti da essa riscontrate e non esclude che i problemi fondamentali del linguaggio e dell’attività mentale potrebbero risultare incomprensibili per la mente umana; tuttalpiù, ammette l’esistenza di una struttura che consente l’organizzazione di tali informazioni; di fatti asserisce:

«Ho il sospetto che una parte fondamentale di quello che chiamiamo apprendimento” si comprenda meglio se lo intendiamo come sviluppo di strutture cognitive secondo un processo determinato internamente sotto l’effetto modellante, in quanto gli uomini parlano linguaggi diversi che riflettono le differenze dell’ambiente verbale.»

Chomsky, pertanto, cerca di fronteggiare il problema della psicologia correlata alla linguistica con un approccio di tipo scientifico-biologico e critica le concezioni empiristiche che considerano lo sviluppo del linguaggio come il semplice risultato dell’associazione di stimoli proveniente dall’ambiente circostante.

Il linguaggio e la comunicazione sono caratterizzati dalla grammatica e dalla struttura logica della frase, e per apprenderli si presuppone che debbano sussistere delle condizioni iniziali innate indicate come “grammatica universale” la quale costituisce il punto di partenza per l’apprendimento della propria lingua, così come la possibilità di tradurre tutte le lingue per far sì che le persone si possano comprendere l’un l’altro.

Per quanto concernono, invece, gli stimoli, il bambino inizia a utilizzare il linguaggio ancor prima che quelle regole di grammatica universale gli vengano insegnate (Pavesi 2011); pertanto Chomsky sostiene che, nonostante ci siano differenze in ogni individuo tali da renderlo unico, esistono anche dei patrimoni comuni grazie ai quali ogni soggetto potrà vivere con delle conoscenze condivise al fine di incentivarle sia in ambito scientifico che in ambito sociale. L’autore, inoltre, sottolinea, nelle pagine 339-381, che la linguistica è presentata come una scienza empirica; pertanto alcune attività mentali gli permettono di ipotizzare l’esistenza di meccanismi mentali che avrebbero delle fondamenta biologiche.

Dunque, Chomsky, avendo seguito le orme del suo maestro linguista e neurologo Eric Lenneberg (1921-1975), asserisce che una delle caratteristiche più particolari del linguaggio umano è la creatività, intesa come la possibilità di dare risposte originali a stimoli ambientali e di formare frasi sempre nuove pur potendo utilizzare limitatamente delle parole. Sottolineando l’originalità e la specificità del linguaggio umano, rispetto alla comunicazione utilizzata dagli animali, egli disse:

«Il linguaggio è uno strumento per la libera espressione del pensiero, […]. Questo “aspetto creativo dell’uso linguistico” è una proprietà peculiare della specie umana. […] L’uso creativo del linguaggio è un mistero che sfugge alla comprensione intellettuale».

2. Garroni e De Mauro: la creatività espressiva

A differenza di Chomsky, in Italia, Benedetto Croce sostiene che il linguaggio è una creazione infinita, mentre Emilio Garroni e Tullio De Mauro, si discostano dall’idea di creatività, facendo delle ricerche su di essa, la quale, permette agli individui di essere innovativi. (Gallo, 2015)

A tal proposito, entrambi gli autori considerano i principi della semiologia saussuriana; e se dovessero parlare della creatività linguistica, essa, si manifesta attraverso il sistema della lingua e l’esercizio del linguaggio cercando di innovarlo in qualsiasi momento, utilizzando la metafora e l’ironia (Kaufman, 2010). È da ricordare, pertanto, Ferdinand de Saussure il quale asserisce che la trasformazione creativa del linguaggio emerge attraverso l’analogia che «fa toccare con mano il gioco del meccanismo linguistico».

Ebbene, avendo riportato la semiologia saussuriana, la quale consente di richiamare gli scritti di Antonino Pagliaro, Emile Benveniste, Luis J. Prieto, i quali si occupano della creatività, quest’ultima, viene vista in duplice forma ovvero: come disponibilità alla variazione di un codice, e come funzione adattativa.

Queste due posizioni, che in genere sono agIi antipodi, si incontrano grazie alla nozione prietiana di operatività, ossia l’incontro tra meta-operatività e la meta-linguisticità, per esplicitare lo sforzo che ogni giorno la mente compie al fine di creare una relazione fra oggetti o pensieri che si manifestano nella mente di un individuo. (Gallo, 2015)

De Mauro, nella sua opera Minisemantica, scritta nel 1982, sottolinea che il linguaggio ha una creatività inesauribile e la classifica in tre modi diversi: ‘creatività espressiva’ […], ‘creatività segnica’ […], e infine la ‘creatività a livello di codice’. Nel 1971, De auro, definisce la creatività espressiva come tutto ciò che riguarda la realizzazione di un segno e il suo utilizzo.(Gallo, 2015)

Dunque, il linguaggio grazie alla creatività, non è mai uguale a sé stesso, muta nel tempo, nello spazio e nell’uso; di fatti per lo scrittore, la creatività è la «disponibilità all’innovazione, alla manipolazione e deformazione delle forme codificate […]».

Garroni, invece, definisce la creatività quello strumento che l’uomo ha impiegato per adattarsi nel corso della sua evoluzione; e con il testo denominato Creatività nel 1978 e ripubblicato nel 2010, l’autore cerca di dare delle risposte a dei quesiti concernenti la relazione tra creatività e natura umana.

Questi filoni di pensiero sono correlati fra loro, ma vi è un ulteriore nesso con il concetto di Philip Johnson-Laird, psicologo cognitivista, il quale sostiene che il prodotto di un atto creativo «è formato a partire da elementi esistenti, ma secondo combinazioni nuove per l’individuo e per la società intera».

3. Mente e Pensiero Laterale

Un ulteriore passo in avanti riguarda la connessione tra il linguaggio della psicologia cognitiva e la ricerca nell’ambito dell’intelligenza artificiale, conosciuta come Case-Based Reasoning (CBR).

Il CBR è un modello cognitivo che ha dato origine a una teoria sul problem-solving; di fatti, secondo tale modello, quando una persona ragiona non elimina principi astratti in funzione della situazione attuale inedita, ma cerca di ricordare e richiamare alla memoria “esempi

concreti” di situazioni del passato al fine di utilizzarli per risolvere la nuova situazione problematica o di comprenderla.

John Paul Guilford ha provato a costruire un modello tridimensionale che si occupa di intelligenza; tale modello raggruppa le operazioni della memoria, del giudizio, della convergenza e della divergenza. Per convergenza si può intendere tutto ciò che si racchiude nella definizione di intelligenza e che si misura con il Q.I.; mentre la divergenza è una forma di pensiero che esplora tutto il campo delle possibilità e crea nuovi collegamenti fra concetti distanti fra loro. Quindi, in tal contesto, l’uomo ha due soluzioni, una riproporre soluzioni già conosciute, l’altra inventarne di nuove al fine di risolvere un problema. Questo secondo atteggiamento esprime la capacità creativa di un soggetto, ossia la capacità di inventare soluzioni nuove ed efficaci.

Per attuare il CBR e in particolar modo il problem-solving, è doveroso menzionare il pensiero laterale.

Il pensiero laterale (De Bono, 2015) è strettamente correlato all’intuizione, alla creatività ed all’humour. È obbligatorio sottolineare che il pensiero laterale è intenzionale a differenza dell’intuizione o della creatività che sono irrazionali. Grazie al pensiero laterale si può usare la mente mediante processi intenzionali ma insoliti; infatti, grazie ad esso, è possibile spiegare un procedimento che è stato messo in atto dall’idea e dal risultato che si vuole raggiungere con la creatività; poiché il pensiero laterale ha il compito di mettere in atto nuove idee le quali sono alla base per porre in essere un cambiamento.

Il pensiero laterale si differenzia dal pensiero verticale che indica il pensiero logico e matematico in cui è inconcepibile sbagliare a differenza del pensiero laterale che ammette uno sbaglio se grazie ad esso è possibile raggiungere un risultato; ma entrambi sono correlati e uno non prescinde dall’altro. Si ricorda che, il pensiero laterale è produttivo, mentre il pensiero verticale è selettivo, al fine di raggiungere un risultato ed una conclusione che abbia delle basi valide. Se grazie alla selezione di meccanismi messi in atto dal pensiero verticale è possibile raggiungere una conclusione, è anche vero che grazie al pensiero laterale si può mettere in atto un procedimento percettivo; quindi uno arricchisce l’altro.

La mente dell’individuo, dunque, raccoglie informazioni, le conserva per creare modelli concettuali che vengono arricchiti e modificati nel corso del tempo. In questo modo il pensiero laterale si impegna ad aggiornare i vecchi modelli attraverso la creatività.

4. Il profilo creativo: definizioni e tappe della creatività

Il concetto di Percezione deriva dal termine latino percip?re il quale significa «prendere»; pertanto, «L’atto del percepire, è un atto di presa di coscienza di una realtà che si considera esterna, attraverso stimoli sensoriali, analizzati e interpretati mediante processi intuitivi, psichici, intellettivi» [Treccani].

L’apprendimento, dunque, è un atto creativo. La persona che acquisisce qualcosa, la destruttura, l’assimila e la ricostruisce secondo le proprie strutture mentali. Questo per essere efficace dovrebbe ricalcare un processo attuato attraverso le tecniche creative le quali sono utili per sviluppare le abilità di imparare ad apprendere.

Henri Poincaré definisce la creatività come quell’unità che unisce degli elementi esistenti ma con connessioni nuove; con questa nuova nozione è possibile delineare alcuni

importanti criteri che permettono la riconoscibilità della creatività differenziandola con il termine creativity che sta ad indicare tre nozioni: la capacità delle persone; il processo, ossia il percorso che segue qualsiasi creatore, e infine il metodo, che consiste nel fare ricorso a delle tecniche e degli strumenti per la risoluzione dei problemi; ovvero il Problem solving. Lo psicologo Torrance (Leandro, Mercedes, Ferrando, Prieto, 2009,), ad esempio, ha delineato il profilo creativo di un individuo mediante l’individuazione di 4 criteri:

  1. La fluidità che si misura in base al numero di risposte che una persona è capace di dare.
  2. La flessibilità che misura l’elasticità mentale.
  3. L’originalità ovverosia quel fattore che dipende dal contesto nel quale l’idea è prodotta.
  4. L’elaborazione che valuta il grado di precisione con la quale le idee sono descritte.

Ebbene, la creatività nasce dalla correlazione tra Divergenza e Convergenza realizzando ciò che Silvano Arieti chiama “sintesi magica”; d’altronde la creatività si sovrappone a quattro logiche creative: la logica associativa, la logica analogica, la logica combinatoria e la logica onirica. È necessario, quindi, distinguere la creatività dall’immaginazione; poiché la creatività è la capacità di distinguere due fasi: quella di apertura del processo, ovvero la fase divergente, e la fase di chiusura, ossia la fase convergente. Durante la fase divergente, la mente vagabonda liberamente e la regina sovrana è l’immaginazione; mentre, durante la fase convergente, si attua un processo cosciente e volontario. Il rapporto oscillante fra pensiero divergente e convergente è chiamata del doppio imbuto e si applica in tutte le tappe del metodo creativo P.A.P.S.A successivamente spiegate:

  • La prima tappa è la Percezione che ha l’obiettivo di cogliere le opportunità in situazioni apparentemente tranquille e di evidenziare i problemi prima che producano effetti negativi.
  • La seconda tappa è l’Analisi la quale studia la situazione, esplora il problema attraverso tutti i possibili percorsi.
  • La terza tappa è la Produzione che ha lo scopo di trovare soluzioni pertinenti. In questa l’obiettivo è quello di produrre tante idee originali, bizzarre o realistiche senza alcun controllo.
  • Successivamente vi è la fase della Selezione; ossia il momento in cui si selezionano, tra tutte le idee prodotte, quelle che meglio si correlano agli obiettivi definiti in sede di analisi.
  • L’ultima tappa è l’Applicazione che è fondamentale per studiare il come attivare e applicare le idee/soluzioni scelte; è il momento in cui si individuano tutti gli strumenti adatti. Poiché la creatività è una dote innata e universale, gli psicologi dell’infanzia hanno dimostrato che dai due anni il bambino inizia a perdere la sua facoltà di fantasticare, per integrare e interiorizzare le strutture del mondo esterno. È il modo in cui si realizza questa integrazione che, secondo Louis Astruc, autore del libro “Creatività e scienze umane” (Créativité et sciences humaines), determinerà ciò che sarà il “tipo” creativo dell’adulto. 5.0 L’aggettivo Creativo e la fantasia

Come asserito inizialmente, anche il termine creativo ha subito un mutamento nel corso del tempo; di fatti inizialmente indicava tutto ciò che era pertinente alla creazione ovvero l’abilità o il potere di creare. Tuttavia, recentemente, l’aggettivo creativo si correla ad un nuovo significato ovvero tutto ciò che concerne qualcosa di produttivo, inventivo e fantasioso, legandosi anche a molteplici professioni.( Melucci, Fabbrini, 1994)

Grazie a molti studiosi e alle loro teorie, l’aggettivo creativo è stato associato anche ad un ulteriore titolo: quello di talento; detto ciò, si può fare riferimento a Bruno Munari, il quale sostiene che il prodotto della fantasia, della creatività e dell’invenzione, nasce da relazioni che il pensiero fa con ciò che conosce. La fantasia, quindi, sarà amplia se l’individuo avrà la possibilità di fare più relazioni. Se si desidera che il bambino diventi una persona creativa, dotata di una fantasia sviluppata, è doveroso far in modo che l’infante memorizzi più dati possibili, in base alle sue possibilità, per poter fare più relazioni e risolvere problemi ogni qual volta essi si presentino. Di conseguenza, Jean Piaget sottolinea che l’apprendimento è per definizione un atto creativo. La persona che apprende destruttura, mastica la materia trasmessa dal professore, l’assimila e la ricostruisce secondo le proprie strutture mentali.

5. Jean Piaget e lo sviluppo delle capacità cognitive e linguistiche

Jean Piaget nacque nel 1896 in Svizzera; si laureò in scienze naturali ottenendo nella medesima materia il dottorato. Egli, successivamente, si orientò poi verso lo studio della psicologia e della psichiatria. Il lavoro che coinvolse l’autore a Ginevra fu quello sulla Psicologia Infantile divenendo il pioniere delle teorie costruttiviste in base alle quali la mente umana organizza, ordina e interiorizza gli stimoli provenienti dal mondo esterno permettendo, così, la facile formulazione sulla concezione del mondo. Piaget osservò la mente del bambino che ha una propria conoscenza, le origini dei processi cognitivi, lo sviluppo dell’intelligenza e delle relazioni fra l’uomo ed il suo ambiente di vita. L’autore ha indagato sullo sviluppo cognitivo del bambino e si è occupato del modo in cui si strutturano ed evolvono alcuni concetti fondamentali nella mente del bimbo e come si sviluppa il linguaggio.

Secondo Piaget, alla base dello sviluppo cognitivo vi sono i processi di assimilazione e accomodamento; per assimilazione si intende quel processo attraverso il quale i dati esterni vengono ordinati e interiorizzati attraverso strutture mentali logiche che il bambino ha potuto già creare, migliorando e aumentando le proprie conoscenze; a differenza del accomodamento che è quel processo per mezzo del quale il bambino revisiona e ristruttura uno schema mentale preesistente. Inoltre, un infante che si trova in una situazione nuova prova curiosità, è stimolato a rivedere i propri schemi mentali e riadattarli alle nuove conoscenze.

Piaget crede che lo sviluppo cognitivo del bambino segue determinati stadi, poiché la crescita intellettuale si adatta ai cambiamenti dell’età del minore. Man mano che il bambino cresce, mutano le modalità attraverso le quali il fanciullo osserva e concettualizza la realtà, l’esperienza e l’ambiente. Con il passare degli anni, infatti, il bambino acquista nuove capacità che vanno a sommarsi a quelle acquisite in precedenza. Piaget, infatti, ha individuato quattro fasi:

  • Senso-motoria (0-3 anni). Il bambino non distingue tra sé e la realtà circostante.
  • Intuitiva (3-7 anni). Il bambino non riconosce gli altri come soggetti portatori di bisogni e esigenze diverse dalle proprie.
  • Operatorio-concreta (7-11 anni). Il bambino entra in relazione con il mondo circostante.
  • Ipotetico-deduttiva (11-14 anni). Il pensiero diventa astratto, è in grado di definire categorie logiche, formulare ipotesi seguendo un percorso deduttivo.

Conclusioni

Dagli anni ‘70, la creatività è una disciplina che viene insegnata in particolar modo negli Stati Uniti con un punto focale ritrovato nel “Foundation for Creative Education” a Buffalo; all’interno di questa fondazione, si sono attati dei programmi educativi i quali si basano sulla presa di coscienza da parte degli educatori del potenziale creativo presente in ogni studente, dell’importanza del “giudizio differito” e dei numerosi esercizi che mirano a sviluppare l’agilità mentale. Accanto a questi metodi, ce ne sono altri più moderni attuati nel College di Dorsmouth all’interno del quale i ragazzi vengono spinti ad esprimere la loro creatività soprattutto quella selvaggia che verrà tradotta nella realizzazione pratica di progetti mediante mezzi tecnici e personale qualificato. Per l’appunto la creatività selvaggia consiste, concretamente, nel pensiero creativo. La creatività, infine, è fondamentale in quanto implica dialogo, democrazia, ed è il mezzo per l’uomo di inventarsi e inventare il mondo.

Bibliografia

  1. David Gargani, 2018, Creatività e origini del linguaggio in Tullio De Mauro, pp. 110- 118
  2. Edward De Bono, 2000: Creatività e pensiero laterale
  3. Francesco Pirozzi, La teoria dell’indoeuropeo tra il mito delle origini e la storia, Sulla creatività dei linguisti p.p. 91-92
  4. Mimesis Edizioni, MILANO, 2018, M. W. Bruno, D. Chiricò, F. Cimatti, G. Cosenza, A. De Marco, E. Fadda, G. Lo Feudo,M. Mazzeo, C. Stancati, Linguistica e filosofia del linguaggio, p.p 251-262
  5. Sternberg, Kaufman (2010), The Cambridge handbook of creativity. Sitografia
  6. Alberto Melucci, Anna Fabbrini, Creatività: miti, discorsi, processi, p.p. 11
  7. Ermanno Pavesi, 2011: Noam Chomsky, la linguistica e la “grammatica universale”, p.p. 39
  8. Ema Oliveira Leandro, Almeida Carmen Ferrándiz Mercedes, Ferrando Marta Sainz María Dolores Prieto, 2009, Tests de pensamiento creativo de Torrance (TTCT): elementos para la validez de constructo en adolescentes portugueses.
  9. Giusy Gallo, 2015, Linguaggio e creatività: da De Mauro a Garroni e ritorno