La neurobiologia delle psicoterapie: il potere delle talking cure

a cura della dott.ssa Francesca Nicois

Abstract

Negli ultimi anni, le neuroscienze hanno fornito un contributo significativo allo studio della mente in relazione. Grazie ai complessi meccanismi sottostanti al dialogo tra mente e cervello, è stato possibile comprendere i cambiamenti neurobiologici evidenti a seguito di interventi terapeutici non biologici, come le psicoterapie. Il processo psicoterapeutico può essere inteso come una forma di apprendimento di nuovi modi di essere in relazione; ed è proprio nella cornice più ampia della biologia dell’apprendimento che bisogna cercare i suoi correlati neurobiologici.

Studi appartenenti alla recente area disciplinare della Psiconeuroendocrinoimmunologia hanno permesso di comprendere meglio come tutti i cambiamenti innescati dall’ambiente siano dovuti a una caratteristica del cervello umano nota come plasticità neurale. La capacità del cervello di riorganizzare continuamente le connessioni sinaptiche tra i neuroni, non solo in risposta a programmi genetici specifici, ma anche a stimoli ambientali, rappresenta il fulcro e la ragione per cui le psicoterapie portano a modifiche cerebrali.

Le esperienze ambientali sono “biologicamente” incorporate nell’espressione di specifici geni; infatti, nell’essere umano, la modificabilità dell’espressione genica dovuta all’apprendimento è così evoluta che la specie umana è molto più sensibile ai mutamenti innescati dall’evoluzione che non dai mutamenti biologici. Le esperienze relazionali, come quelle psicoterapeutiche, così come le prime esperienze infantili con il caregiver, generano modifiche delle strutture neurali. L’intersoggettività è diventata sinonimo dell’incontro profondo tra due menti in relazione, imponendosi come pilastro della psicologia contemporanea.

Attraverso ciò che è stato definito “empatia neurobiologica“, le psicoterapie creano la possibilità di rimodulare gli schemi interni di ogni individuo, apportando così modifiche cerebrali. È quindi possibile considerare le psicoterapie come “farmaci epigenetici“, poiché i cambiamenti psico-comportamentali possono verificarsi a partire dalle esperienze ambientali e relazionali, riflettendo, di conseguenza, modifiche delle connessioni cerebrali.

Introduzione

La possibilità di una integrazione tra psicologia e neuroscienze nasce dall’idea che per cogliere la complessità dell’essere umano sia necessaria l’integrazione tra le varie discipline o “lenti” con il quale è possibile guardare l’individuo, proprio perché tali “lenti” sono capaci di guardare e comprendere solo una delle caratteristiche che compongono ogni essere umano e non la sua totalità e complessità. Tale idea si pone in netta contrapposizione con il passato, dove risultava difficile pensare a una integrazione tra queste discipline; le motivazioni sono diverse e una delle prime risale a Cartesio.

L’idea sistematizzata da Cartesio è stata quella di una separazione tra la dimensione mentale e la dimensione fisica (Lazzari,2013), “Cogito ergo sum” (Penso, dunque, sono) è uno dei più celebri enunciati nella storia della filosofia, che afferma come il vero fondamento dell’essere risieda nel pensiero e nella consapevolezza di pensare. Cartesio immaginava il pensare come un’attività separata dal corpo, esso celebrava la separazione della mente pensante, “res cogitans” dal corpo non pensante e dotato di estensioni e parti meccaniche, “res extensa”.

Damasio afferma, invece, che “l’errore di Cartesio” consiste nell’abissale separazione tra cervello e mente e tra mente e corpo (Damasio, 1994). Secondo l’idea di Cartesio una disciplina come la psicologia doveva occuparsi solo della mente e non del cervello o del corpo; questa idea ha portato a considerare la psicologia come lo studio di “epifenomeni”, mettendo in discussione anche lo status scientifico della psicologia stessa e di conseguenza della psicoterapia, considerata efficace solo per il semplice “effetto placebo”(Lazzari, 2013). Nel presente elaborato verrà illustrato come e perché ad oggi è possibile affermare che tutte le funzioni della mente riflettono funzioni del cervello; e che vi è una interazione tra mente, cervello, corpo e ambiente (Kandel, 1998).

1. Le basi del dialogo tra mente e cervello

Considerando la psicoterapia come un processo che, tramite l’interazione con il terapeuta, permette al soggetto di imparare nuovi approcci nelle relazioni, si evidenzia l’impatto significativo e profondo che può generare nel cambiamento individuale (Dell’Aquila et al., 2022). Questa trasformazione coinvolge sia la struttura neuronale che le manifestazioni comportamentali, facilitando l’assimilazione di nuovi schemi di pensiero (Sahay, et al., 2011). Inquadrando le psicoterapie sotto una prospettiva neurobiologica è possibile far riferimento alla definizione che Kandel (1998) dà alla psicoterapia, ovvero di una forma di apprendimento controllato, che avviene all’interno del contesto terapeutico. Tale definizione fornisce un’indicazione importante: i correlati neurobiologici della psicoterapia sono da ricercare nella cornice più ampia della biologia dell’apprendimento (Minelli, 2013). Il concetto di neurogenesi si riferisce alla nascita e alla crescita di nuovi neuroni; fenomeno comune in diverse specie di mammiferi, tra cui gli esseri umani (Dell’Aquila et al., 2022).

Per questa ragione è possibile affermare che ogni cervello è unico e che esiste un cervello per ogni singola storia personale (Minelli, 2013). L’importanza della plasticità neurale per la sopravvivenza dell’essere umano e le innovazioni nel campo delle neuroscienze rendono possibile lo sviluppo di un modello psicologico di malattia mentale e del suo trattamento che va oltre ogni tipo di riduzionismo biologico (Gianniri et al. 2014). Alla nascita quando il cervello è relativamente immaturo, il contatto umano e le interazioni affettive influenzano profondamente lo sviluppo cerebrale regolando l’organizzazione anatomica e cellulare del sistema nervoso che si sta progressivamente formando.

La qualità delle relazioni e delle interazioni con il caregiver permettono al bambino di esplorare il proprio potenziale genetico; l’individuo è un essere sociale con funzioni psicologiche che dipendono dalle interazioni e dagli scambi con l’ambiente nel periodo di prima infanzia sviluppando (Schore, 1999). Tramite quella che è stata definita “empatia neurobiologica” la psicoterapia crea la possibilità cognitiva ed emotiva di accedere e di rimodulare gli schemi interni a ogni individuo che si sono formati sulla base delle esperienze di vita passate (Lazzari, 2013).

Gli eventi e le esperienze hanno un impatto sui processi mentali, determinando modifiche nelle strutture anatomiche. Al contrario, i meccanismi cerebrali definiscono i processi intrapsichici e relazionali (Kandel, 1998). Quando si discute di innovazioni nei pensieri e comportamenti, si fa riferimento alle esperienze psicoterapeutiche che rappresentando un processo di apprendimento per i soggetti (Dell’Aquila et al., 2022).

1.1 Neuroplasticità: la chiave per il funzionamento delle psicoterapie

La Psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI) è un’area di studi e di ricerca di natura interdisciplinare, essa studia le relazioni bidirezionali tra psiche e sistemi. Il modello PNEI si propone di superare definitivamente una visione eccessivamente frammentata dell’essere umano, una visione incapace di comprendere la sua complessità. Fondamentali per tale approccio sono stati gli studi condotti sugli effetti dello stress sull’organismo (Lazzari, 2013), ed è doveroso sottolineare che i cambiamenti plastici legati agli effetti dello stress sull’organismo sono reversibili (Bottaccoli, et al., 2019).

È proprio la reversibilità di tale fenomeno la chiave che consente alle psicoterapie di operare con successo, agendo sulla ristrutturazione genetica, sull’abilità di modulare i circuiti cerebrali e sui profili neuroendocrini. (Cardone e Mambelli, 2011). Il terapeuta guida il cliente nell’osservare il proprio malessere come manifestazione di un disequilibrio; nel contesto terapeutico, le parole agiscono come strumento di guarigione, facilitando cambiamenti a livello psichico e biologico.

Emerge un linguaggio corporeo, incorporando emozioni e sensazioni oltre alla comunicazione verbale dei pensieri. Le parole, udite e percepite, stimolano sia il piano psichico che somatico, impattando sull’asse dello stress, coinvolgendo il Sistema Nervoso Centrale, Endocrino e immunologico. Nella prospettiva PNEI, mente e corpo comunicano costantemente in entrambe le direzioni.

La psicoterapia influisce sul funzionamento cerebrale, aprendo nuove prospettive di ricerca sul suo impatto (Cardone e Mambelli, 2011). Kandel (1998) evidenziò come la psicoterapia produce cambiamenti a lungo termine nel comportamento, agendo tramite l’apprendimento, e producendo cambiamenti nell’espressione genica che modifica la forza delle connessioni sinaptiche, proprio come avviene nei bambini nei primi anni di vita grazie alla relazione interpersonale con la figura di accudimento.

2. Come agiscono le psicoterapie

Grazie alle neuroscienze e alla possibilità di esaminare direttamente l’attività neuronale nei primati non umani e l’attività cerebrale umana tramite l’fMRI, si sono comprese le basi neurofisiologiche delle relazioni interpersonali (Siegel, 1999). L’ipotesi è quella che ogni individuo sia intrinsecamente predisposto a connettersi, a provare empatia e a sincronizzarsi con gli altri; quindi, ognuno possiede la capacità di formare una rete neurale autentica senza fili. (Ruggiero, & Iacone, 2011).

2.1 Neurobiologia e psicoterapie: il ruolo dei neuroni specchio

Recenti scoperte in ambito neuroscientifico hanno confermato la base neurale dell’intersoggettività; un esempio sono la scoperta dei neuroni specchio (Fassino, 2010): una classe di neuroni originariamente scoperti nella corteccia premotoria delle scimmie nel 1990 nell’Istituto di Fisiologia dell’Università di Parma diretto da Giacomo Rizzolatti (Ruggiero, & Iacone, 2011).

Questi neuroni riscontrati nell’uomo, presenti non solo nelle regioni motorie e premotorie come nei primati, ma anche in altre aree, attualmente sono soggetti a indagine e scrutinio da parte di ricercatori globali sempre più certi che il sistema dei neuroni specchio possa essere la via per comprendere le azioni eseguite dagli altri.

La funzione principale riscontrata nei neuroni specchio è quella di riuscire a riconoscere in maniera intuitiva e senza utilizzare il ragionamento le intenzioni e le azioni degli altri (Fassino, 2010).

La sintonizzazione è un’imitazione “interiore” dell’esperienza vissuta dall’altro (Fassino, 2010). Quando si utilizza il termine rispecchiamento si fa riferimento a una funzione basilare della specie umana su cui si fonda la vita psichica dai primi istanti di vita. Il rispecchiamento rimanda alla capacità innata di internalizzare, incorporare, assimilare e imitare lo stato di un’altra persona (Ruggiero, & Iacone, 2011).

2.1 Neurobiologia e psicoterapie: l’importanza delle relazioni

La neurobiologia interpersonale si fonda sui processi di attaccamento ed empatia, (Fassino et al., 2005) e si tratta di un concetto che nasce a partire dal 1999 con lo scritto dello psichiatra statunitense e professore di psichiatria presso la School of Medicine della University of California, Daniel J. Siegel. L’ipotesi mossa da Siegel (1999) è che la mente sia incarnata nel corpo e che sia relazionale; infatti, secondo tale ipotesi le relazioni in cui ogni essere umano è immerso hanno il potere di plasmare il cervello e modificarne la struttura.

Un obiettivo evidente delle psicoterapie è intervenire sulle connessioni inconsce tra gli stati emotivi e le rappresentazioni oggettuali. Il cambiamento in queste reti associative coinvolge due processi specifici: il primo è un indebolimento dei legami esistenti tra le componenti di un circuito attivato nel tempo, il secondo è la modificazione di tali strutture per portare alla creazione di nuovi legami associativi. Un trattamento efficace non sostituisce completamente i vecchi circuiti ma favorisce cambiamenti duraturi disattivando connessioni problematiche e attivando nuove connessioni più adattive (Gabbard, 2018).

Conclusioni

Alla luce di quanto detto, è possibile affermare che l’intervento psicoterapico può realmente modificare la biologia del cervello agendo in diverse aree coinvolte nella psicopatologia. Ad oggi è noto come il cervello è estremamente plastico; esso mentre apprende, cambia e si modica incessantemente, in relazione alle esperienze e agli stimoli che provengono dall’ambiente (Dell’Aquila et al., 2022).

Grazie agli studi iniziati da Kandel (1998), applicati ai processi di neuroplasticità, è stato dimostrato che ogni forma di apprendimento a lungo termine è sostenuto da modificazioni dell’espressione genica e dalla regolazione della sintesi di proteine coinvolte nella trasmissione dell’impulso nervoso, con l’effetto di modificare l’efficienza delle connessioni sinaptiche fra i neuroni e i pattern anatomici del cervello. Nell’uomo, la suscettibilità ai cambiamenti innescati dall’evoluzione culturale supera di gran lunga quella biologica a causa della avanzata modificabilità dell’espressione genica legata all’apprendimento (Gianniri, et al., 2014).

L’essere umano, infatti, sin dalle prime ore di vita è capace di connettersi con le menti altrui e di essere da queste ultime influenzato (Gallese et al., 2006); queste interazioni rivestono un ruolo cruciale nello plasmare e influenzare lo sviluppo delle strutture cerebrali durante i primi anni di vita e persistono nell’intera esistenza, poiché è sempre fattibile stimolare la neuroplasticità in modi diversi. (Fassino et al, 2010).

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