LA SINDROME DI BURNOUT

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La sindrome del Burnout può essere definita come uno stato di affaticamento o frustrazione psicologica, un processo di esaurimento dovuto ad un forte stress. Dopo più di quattro decenni, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), ha definitivamente riconosciuto tale sindrome come disturbo medico e l’undicesima edizione dell’ICD (International Classification of Diseases) è arrivata a definirla come una sindrome concettualizzata come risultato da uno stress cronico sul posto di lavoro che non è stato gestito con successo. Pertanto, secondo la nuova denominazione, il Burnout si riferirebbe unicamente a fenomeni inerenti il contesto di lavoro ma non applicabile in altri ambiti e riferibile non all’individuo solo, ma all’intero contesto sociale nel quale opera.

Ripercorrendone la storia, scopriamo che questo termine è apparso per la prima volta, nel 1930, nel mondo dello sport, per indicarne l’incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, di ottenere ulteriori risultati e/o mantenere quelli acquisiti. Ma è nel 1975, con Christina Maslach, psicologa sociale e professoressa emerita di psicologia presso l’università di Berkeley, che il termine è stato poi ripreso, definendo una sindrome i cui sintomi evidenziano una patologia comportamentale a carico di tutte le professioni ad elevata implicazione relazionale. 

Il Burnout Valutazione e strumenti di intervento

Sono diverse le scuole di pensiero che hanno sviluppato prospettive inerenti lo studio del Burnout: la prospettiva psicologica che lo definisce come “impotenza appresa” e rimanda il suo sviluppo a deficit di tipo motivazionale, cognitivo ed emozionale; la prospettiva clinico-psicoanalitica secondo cui la mente umana ha la capacità di difendere illusoriamente se stessa, in particolare di fronte all’idea di dover sopportare un dolore ritenuto intollerabile, rifiutando di vivere l’esperienza dolorosa; la prospettiva sociologica, nella quale il Burnout viene considerato come una della tante conseguenze legate al declino del senso di appartenenza ad una comunità. In questo caso l’insorgenza sarebbe dovuta alla disgregazione del tessuto sociale, alla diminuzione o scomparsa di sostegni informativi attivi, mancanza di fiducia nei servizi sociali ai quali si ricorre e così via; la prospettiva psicosociale che vede nei apporti del lavoratore con l’equipe, in cui è inserito e con la struttura organizzativa, l’azienda o l’ente di cui fa parte, la causa principale di questa sindrome.

L’OMS, dal canto suo, ha individuato tre caratteristiche appartenenti al Burnout, ovvero una sensazione di esaurimento di energie; aumento della distanza mentale dal proprio lavoro, o sentimenti di negativismo o cinismo legati alla propria professione; una ridotta efficacia professionale. Inoltre, i sintomi, variano dalla stanchezza, apatia, nervosismo, irrequietezza, insonnia, alla rabbia, aggressività, negativismo, depressione, senso di colpa, fino ad arrivare a delle vere e proprie patologie fisiche come ulcere, cefalee, disturbi cardiovascolari. 

La verità è che spesso, non ci si rende conto del livello di stress a cui siamo soggetti quotidianamente. Siamo talmente abituati a dover gestire turni di lavoro massacranti, scadenze, sfide lavorative, problematiche familiari, economiche e sociali, da non renderci conto dell’importanza di fermarsi e riflettere se ciò sta influenzando la nostra vita, il nostro entusiasmo e in che modo la sta deteriorando. 

Aleksandr Isaevic Solzhenitsynuna volta disse che lo scopo della vita è la maturazione dell’anima. Non bisogna rincorrere quello che è illusorio, come la proprietà o la posizione. Tutte queste cose vengono ottenute a spese di nervi, decennio dopo decennio e sono le stesse che verranno confiscate in una notte.