La Violenza di Genere: Quando il Sesso diventa Pregiudizio pt.2

violenza genere

Tra le notizie di cronaca, accade sempre più frequentemente di leggere di atti di estrema violenza (che spesso sfociano nell’omicidio) a discapito di coloro che sono fisicamente più deboli e la cui unica colpa è essere donne. Oltre al pregiudizio di genere ed alle considerazioni sociali ad esso connesse, appare fondamentale comprendere cosa spinge un uomo a ricorrere a gesti di violenza estrema e a trasformarsi in carnefice.

Cosa spinge un uomo alla violenza?

È importante sottolineare che, nonostante la violenza sia un fenomeno che può riguardare entrambi i generi (seppure più rare, infatti, esistono anche forme di Violenza di Genere contro gli uomini), tale articolo è diretto all’approfondimento della più diffusa violenza contro il genere femminile.
Appare necessario, per andare in fondo a questo argomento tanto contorto, comprendere quali siano le cause che possono spingere un uomo a mettere in atto tali forme di violenza.

Se consideriamo il fenomeno da un punto di vista sociale, le cause della Violenza di Genere vanno in parte cercate nei cambiamenti vissuti dalla società negli ultimi 100 anni: le donne sono diventate sempre più forti e realizzate, indipendenti e lontane da quello che era lo stereotipo della donna “protettrice della casa”; tale stravolgimento di ruolo finisce spesso per minare la virilità dell’uomo e il suo diritto al dominio sessista scaturito anche dalla storia evoluzionistica della specie.

A livello sociale sembra che il problema principale risieda nell’idea del “possesso”: l’uomo vede la donna come un oggetto di cui è il solo e unico possessore e non riconosce il diritto basilare della partner di autodeterminarsi e compiere liberamente le proprie scelte di vita. Nel momento in cui la compagna decide di liberarsi da tale oppressione, l’uomo non sempre è in grado di gestire, rielaborare e tollerare i sentimenti di inadeguatezza, fragilità e insicurezza, generando l’accesso violento. Tuttavia, come messo in evidenza da Michela Murgia (2011), “morire per amore” non ha lo stesso significato per uomo e donna: cronaca e statistiche mettono in evidenza che l’uomo che muore per amore è “soggetto” della propria morte, si suicida, mentre la donna è “oggetto”, viene uccisa.

Importante è considerare anche il fenomeno del “ciclo della violenza”. Spesso il femminicidio si genera in situazioni di maltrattamento familiare in cui la violenza contro la donna viene agita di fronte e anche nei confronti dei figli, che interiorizzano quindi il principio della violenza come condotta normale e, una volta adulti, è altamente probabile che agiscano nello stesso modo: il bambino, diventato uomo, si comporterà come il padre, utilizzando la donna come mezzo per scaricare lo stress e la frustrazione; la bambina in età adulta potrà avere, invece, la tendenza a ricercare una figura maschile assimilabile a quella paterna e a subirne le violenze (Norwood, 1990), così come la madre tollerava quelle del padre; “bambini maltrattati sviluppano maggiore dipendenza dai genitori abusanti e tendono a riprodurre i rapporti di maltrattamento nell’età adulta” (Kernberg, 2004).

L’impulsività è uno degli elementi salienti che possiamo ritrovare nella Violenza di Genere. Gli elementi riconducibili a questa forma di violenza sono la minaccia per la perdita di qualcosa che appartiene al soggetto, la rabbia esplosiva e l’impulsività che trasforma la rabbia in comportamenti di attacco e di violenza espressa.
La rabbia, soprattutto, ha una fondamentale funzione per la specie umana: segnala la presenza di un’ingiustizia e crea una spinta verso la riparazione del danno subito. Ma è un’emozione forte che richiede una regolazione e una gestione appropriate.
Spesso, inoltre, gli atti di violenza sono posti in essere da uomini con disturbi di personalità antisociale o borderline. Questo dato mette in luce come la causa scatenante della violenza possa essere anche indipendente dall’emancipazione o dal rifiuto della vittima e collegata a problematiche psicologiche intrinseche nell’uomo.

Le fasi della violenza domestica

Le fasi in cui si sviluppa la violenza domestica sono principalmente tre. La prima fase è quella in cui si acuisce la tensione tra i partner e che inizia con una subdola violenza verbale. L’uomo violento manifesta un crescente nervosismo, un atteggiamento perennemente irritato, opaco e ambiguo che confonde la donna. Il distacco del partner è avvertito dalla donna come segno di un potenziale abbandono che la spinge ad evitare di contestare o di opporsi al proprio compagno, assecondando ogni sua mossa ed ogni suo volere.

La seconda fase vede l’improvvisa esplosione della violenza, anche nelle forme più drammatiche.

La terza fase, infine, in genere è caratterizzata da una finta riappacificazione. L’uomo violento si riavvicina alla donna dicendosi pentito e pronunciando scuse e parole d’amore a profusione, venendo prontamente perdonato e riaccolto. Nei primi episodi di violenza, la fase della falsa riappacificazione dura generalmente più a lungo; al contrario, all’aumentare degli episodi violenti, la durata della riappacificazione si riduce. Questa fase costituisce una sorta di rinforzo positivo per la donna, che con l’alternarsi di ogni fase diventa sempre più dipendente da tale meccanismo e sempre più bisognosa di questo legame, seppur malato, mentre l’uomo violento acquista sempre più potere all’interno della relazione di coppia (L. Walker, 1979).

Agire contro la Violenza di Genere

Dal punto di vista sociale e politico occorre rendere la Violenza di Genere un problema di cui non si può fare a meno di occuparsi.
Fondamentale è operare per la prevenzione tra uomini e donne adulti, giovani e bambini. Sensibilizzare gli uomini e renderli consapevoli, partecipi e capaci di esprimere le loro emozioni prima che si trasformino in agiti violenti potrebbe essere il primo passo verso la riduzione della violenza.

Per le donne, la prevenzione non è tutto; seppur fondamentale, essa da sola non basta. Si deve insegnare loro ad avere la forza di chiudere i rapporti con uomini che esibiscono comportamenti violenti di qualsiasi tipo. I segnali devono essere colti prima che si trasformino in tragedie. Le donne devono imparare ad essere prudenti e difendersi fin dai primi segnali dalla violenza, come forma di amore verso se stesse in primis (C. Paglia, 1990).

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Bibliografia

Carroll, J. L. (2010) Sexuality Now: Embracing Diversity. Third Edition, Wadsworth Cengage Learning Publishers, Pacific Grove, C A

Díaz-Aguado, M. J. (coord.) (2011) Igualdad y Prevención de la Violencia de Género en la Adolescencia. Madrid: Ministerio de Sanidad, Política Social e Igualdad Centro de Publicaciones

Edwards, D. W., Scott, C. L., Yarvis, R. M., Paizis, C. L., Panizzon, M. S. (2003) Impulsiveness, Impulsive Aggression, Personality Disorder, and Spousal Violence. Springer Publishing company

European Anti-Violence Network (2010) Master Package: GEAR against IPV – Gender Equality Awareness Raising against Intimate Partner Violence

Karadole C. (2012) Femminicidio: la forma più estrema di violenza contro le donne. Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza. Vol. VI, n. 1, Gennaio-Aprile

Kernberg O.F. Aggressivity, (2004) Narcissism and self destructiveness in the psychotherapeutic relationship: new developments in the psychopathology and psychotherapy of severe personality disorders. Yale University Press. New Haven, Usa

Murgia M. (2012) È morta, ma la vittima è lui (www.michelamurgia.com)

Norwood R. (1990) Donne che amano troppo. Feltrinelli

Paglia C. (1990) Sexual personae: arte e decadenza da Nefertiti a Emily Dickinson, ed., traduzione di Daniele Morante, Einaudi, 1993, pp. 924

A cura della Dott.ssa Sara D’Ambrosio