L’HIV e l’AIDS nel contesto ospedaliero e sanitario

aids

a cura della dott.ssa Angela Pugliese

Introduzione

La sindrome da immunodeficienza acquisita (conosciuta anche con l’acronimo di AIDS) è lo stato clinico terminale causato da un virus, il virus dell’immunodeficienza umana (denominato anche HIV).

L’HIV è un virus a RNA che appartiene alla famiglia dei rotavirus: attraverso un metodo di riproduzione particolare (attraverso l’enzima transcrittasi inversa) permette di moltiplicarsi e trasformarsi da un virus a RNA a un virus a DNA, quindi con un doppio filamento. Il virus così moltiplicato permette di bersagliare cellule dei linfociti T, comportando una compromissione del sistema immunitario; ciò è dovuto da virus (quali Herpes simplex e citomegalovirus), batteri (mycobacterium tubercolosis), protozoi (quali pneumocysti caninii).

1. Aspetti storici

La sindrome è sporadicamente apparso attorno gli anni Settanta in paesi come gli Stati Uniti, Haiti, Europa (Istituto Superiore di Sanità³).

Negli anni Ottanta, più precisamente nel 1981, si è riportato il primo caso nella Letteratura: in Atlanta viene segnalato nel bollettino epidemiologico dei centri per la diagnosi e il controllo un incremento, all’inizio non spiegato, di polmoniti causati da Pneumocystis Caninii e del sarcoma di Kaposi (un raro tumore localizzato nei vasi sanguigni) prevalentemente da giovani omosessuali.

Negli anni a seguire si osserva come questa malattia, denominata sindrome dell’immunodeficienza acquisita in un convegno del 1982, non è solamente prerogativa degli omosessuali, ma anche degli emofiliaci (che ricorrono a numerose trasfusioni di sangue) e di coloro che utilizzano siringhe per iniettarsi sostanze illecite; questo avvenimento contribuì a togliere le definizioni dei giornali come “Cancro dei gay” o “Gay compromise syndrome”.

L’espressione coniata nel 1982 fa trasparire diverse cose:

  • sindrome, perché non è un’unica malattia, ma si manifesta attraverso diverse forme patologiche;
  • immunodeficienza acquisita, perché non è ereditario, ma viene acquisito attraverso un meccanismo (all’epoca non ancora definito) che colpisce il sistema immunitario.

Negli anni successivi a Parigi con Luc Montagnier (nel 1983) e ad Atlanta con Robert Gallo (nel 1984) sono riusciti ad isolare il virus che causa la malattia e la morte. È seguita una battaglia legale, che ha portato ad una conclusione: il virus isolato in Francia, Lav, e quello isolato in America, Htlv-III (denominato così perché si trova nei linfociti T) è pressoché identico. Nel 1986 il virus viene denominato HIV (virus dell’immunodeficienza umana).

2. Modalità di trasmissione

Il virus HIV si può trasmettere attraverso le seguenti modalità (Istituto Superiore di Sanità?):

  1. trasmissione via ematica (attraverso trasfusioni o iniezioni con siringhe e/o aghi infetti). Questa modalità può essere evitata attraverso l’utilizzo di aghi sterili non solo in ambito sanitario, ma anche per i piercer e tatuatori;
  2. trasmissione verticale, ovvero la trasmissione da madre in figlio che può avvenire in gravidanza, durante il parto o durante l’allattamento; il rischio che una madre sieropositiva trasmetti al figlio la malattia è del 20%
  3. trasmissione per via sessuale, attraverso rapporti non protetti: questa modalità di trasmissione è la via più frequente. La trasmissione avviene tramite la fuoriuscita di liquidi biologici infetti su mucose (anche se apparentemente integre).

Il virus dell’HIV non si trasmette, invece, con baci, morsi, abbracci, scambio di oggetti personali quali posate, spazzolini, asciugamani.

Non appena si contrae il virus attraverso queste modalità il soggetto diventa sieropositivo, vi è un “periodo finestra” dove il soggetto risulta negativo ai test ma può trasmettere la malattia inconsapevolmente. Per questo diventa essenziale e fondamentale effettuare i test sulla sieropositività, in quanto i sintomi che portano all’AIDS possono essere latenti e apparire solo dopo un periodo congruo.

3. Epidemiologia dell’HIV e AIDS

In Italia, dal 1982 al 2019 si sono registrati 72.034 casi di AIDS, con 46.000 persone decedute (Istituto Superiore di Sanità?).

In Italia, nel 2021, si sono registrati 1770 nuovi casi di HIV (con un’incidenza pari a 3 nuovi casi per 100.000 persone); sempre nello stesso anno si sono verificati 382 nuovi casi di AIDS (con un’incidenza di 0.6 nuovi casi per 100.000 persone). I dati sull’insorgenza di nuovi casi di HIV e AIDS ci dicono che il fenomeno è in costante diminuzione, grazie anche all’ausilio di farmaci anti-virali.

4. L’HIV e l’AIDS in ambito sanitario: il rischio biologico nelle strutture sanitarie

In ambito sanitario, il rischio biologico rappresenta uno dei rischi più diffusi, e tra i principali agenti biologici che possono arrecare vi è proprio il virus dell’immunodeficienza umana. Tra le principali attività in cui l’operatore sanitario può incorrere nel rischio biologico durante l’utilizzo di dispositivi medici taglienti, fino ad arrivare a un caso di infortunio qualora l’operatore sanitario effettui una puntura o taglio accidentale durante le operazioni di iniezione intramuscolare o sottocutanea, o durante il prelievo di liquidi biologici (come ad esempio il sangue o il plasma), o anche il reincappucciamento ripetuto degli aghi.

Diversi studi che sono condotti tra il 2011 e il 2015 sottolineano come il reincappucciamento degli aghi già utilizzati, la flebotomia (incisione di una vena) o il contatto accidentale con oggetti taglienti e aghi sono le attività principali per cui vi è un aumento di insorgenza di contrarre l’HIV (e spesse volte anche l’HBV e l’HCV, responsabili rispettivamente dell’’epatite B e C).  I suddetti studi hanno sottolineato come la sieroconversione (cioè la conversione dalla sieronegatività alla sieropositività) sia pari allo 0,3%.

5. Aspetti legislativi legati alla prevenzione da HIV e AIDS

La legislazione italiana ha promulgato i seguenti decreti per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori.

5.1 Legge n. 135/1990

Nel 1990 è stata promulgata la Legge n.135 del 5 giugno, che stabilisce un programma da effettuare per contrastare l’allora epidemia da HIV. Questa legge evidenzia le procedure di screening da effettuare in caso in cui vi è un paziente che può essere sieropositivo (dove le procedure non devono essere eseguite senza il consenso del paziente, e deve avere come finalità clinico-anamnestico); inoltre non ci deve essere alcuna discriminazione nei confronti degli stessi per l’inserimento scolastico e lavorativo (in virtù anche dello Statuto dei lavoratori);

5.2 Decreto del Ministero della Sanità, 28 Settembre 1990

Sempre nel 1990 viene promulgato il Decreto del Ministero della Sanità del 28 settembre, che promuove le norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie pubbliche e private. Questo decreto nasce in base alla legge n.135, che sollecitava l’allora Ministero della Sanità a promulgare azioni preventive nelle strutture sanitarie.

Questo decreto sostiene le procedure da effettuare all’interno di laboratori di analisi, studi odontoiatrici, sale di autopsie: si sottolineano le corrette misure di igiene individuale e collettiva per prevenire la diffusione dell’HIV e le corrette procedure di eliminazione di bisturi, aghi, oggetti taglienti (questi ultimi, se sono monouso, non devono essere reincappucciati o reinseriti in dispositivi di sicurezza; ma riposti in contenitori anti-puntura; qualora essi siano riutilizzabili, invece, devono essere immersi in detergenti chimici prima o dopo l’utilizzo al fine di sterilizzarlo in modo efficace).

In caso di addetti all’autopsia, essi devono essere forniti di adeguati DPI come camici a tenuta d’acqua, maschere, guanti. Per i tecnici di laboratorio è stato evidenziato come la movimentazione di provette o oggetti contenenti liquidi potenzialmente infetti deve essere minima; le apparecchiature e/o attrezzature adeguate devono essere sterilizzate adeguatamente (con detergenti chimici ad alta efficacia) prima e dopo ogni loro utilizzo per evitare la trasmissione del virus.

5.3 Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro

Nel 2008 viene promulgato il Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro, che tutela la salute e sicurezza sul lavoro per ciascun lavoratore; nel titolo X viene affrontato il rischio biologico, e di conseguenza la gestione degli agenti biologici; il titolo X-bis affronta, invece, la gestione del rischio derivato dal taglio dovuto da oggetti taglienti in ambito sanitario e ospedaliero. Per agente biologico, in base alla definizione tratta dall’articolo 267 del Decreto Legislativo 81/2008, si intende un microrganismo (anche un endoparassita o coltura cellulare) che è capace di causare infezioni, allergie o intossicazioni; quindi l’HIV è considerato come agente biologico ai sensi del suddetto articolo.

Gli agenti biologici si classificano in 4 classi in base alla sua infettività (ovvero alla capacità di interagire con l’organismo infetto) e alla sua trasmissibilità (capacità di trasmettere ad altri organismi anche al di fuori dell’ambiente di lavoro): l’HIV si classifica come agente biologico di classe 3, ovvero che è un serio rischio per i lavoratori dal momento che causa infezioni, e può propagarsi in comunità; ma ciò può essere evitabile mediante l’assunzione di terapie specifiche.

Dal momento che in ambito ospedaliero vi è la presenza di questo agente biologico, il datore di lavoro o colui che è responsabile redige un documento di valutazione del rischio integrato con le seguenti procedure: vengono evidenziate le fasi in cui vi è la manipolazione di questo determinato agente biologico, viene nominato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione a cui rivolgersi, e, nel caso in cui si ha a che fare con agenti biologici di classe 3 o 4 (di cui fa parte il virus dell’HIV) le procedure di emergenza in caso vi è una fuoriuscita dell’agente o nel caso in cui si viene a contatto (ovvero i prelievi ematici di cui parleremo successivamente). È fondamentale, inoltre, per poter valutare correttamente il rischio biologico conoscere l’agente, capire come si trasmette e quali infezioni provoca; nonché le patologie pregresse di un lavoratore e l’eventuale sinergismo con agenti biologici (nel caso dell’HIV, l’indebolimento immunitario dell’organismo ospite è terreno fertile per l’infezione dai virus HBV e HCV, responsabili dell’epatite B e C).

Risulta fondamentale, ai fini di una corretta prevenzione e protezione dell’ambiente e dei lavoratori, individuare le migliori strategie preventive e protettive (tra cui l’uso di DPI idonei) al fine di proteggere sé stessi, gli altri e l’ambiente lavorativo; e quindi di evitare l’insorgenza di infortuni e/o di malattie professionali.

Nello specifico, in base all’articolo 272 del Testo Unico, il datore di lavoro attua misure tecniche e organizzative quali l’esclusione dell’utilizzo dell’agente biologico o la sua limitazione; qualora ciò non sia possibile, il datore di lavoro evidenzia la zona con il cartello di avvertimento, e predispone procedure di emergenza in caso di incidenti e per lo smaltimento corretto di rifiuti derivati dall’utilizzo dell’agente biologico.

Le misure tecniche da adottare in ambito sanitario, previsti dall’articolo 274 e dall’allegato XLVII, sono l’utilizzo di filtri particolati ad alta efficienza (del tipo HEDA) e la camera a pressione negativa (inferiore alla pressione dell’aria) per intrappolare l’agente, il controllo di vettori quali roditori e insetti, la gestione di rifiuti e delle carcasse dei vettori, e la presenza di superfici resistenti agli agenti acidi, facilmente lavabili e impermeabili (applicabile per bancone, pavimenti o superfici che sono state evidenziate nella valutazione del rischio), accertarsi che in quelle zone possono accedere solo persone autorizzate e formate. Infine si deve accertare che il luogo di lavoro dove vengono manipolati questi agenti biologici possa essere isolato rispetto agli altri luoghi di lavoro ed essere sigillabile in modo da contenere la fumigazione.

Di fondamentale importanza assume anche l’igiene personale dei lavoratori: infatti, l’articolo 273 richiama gli aspetti igienico-sanitari da attuare nel caso in cui si opera con un agente biologico. Tra questi abbiamo la presenza di dispositivi di protezione individuale (detto anche DPI) monouso, di servizi igienici adeguati nonché una doccia con acqua calda/fredda; qualora i DPI non siano monouso essi devono essere riposti in spogliatoi separati dagli abiti civili, disinfettati dopo ogni loro utilizzo o distrutti se necessario. Nelle zone dove vi è un agente biologico è vietato introdurre cibi o bevande, fumare, o applicare cosmetici. 9)

Vi sono anche procedure che il personale sanitario deve effettuare in caso di puntura accidentale (che rappresenta il 75% degli infortuni dovuti al rischio biologico), quali l’accertarsi che non vi sia infezione di agenti biologici quali HBV, HCV, HIV e di effettuare due prelievi ematici il primo sarà il prelievo zero, da eseguire non appena l’operatore si è punto; il successivo sarà alla fine del “periodo finestra” per verificare che non vi sia sieropositività nel lavoratore.

5.4 Circolare 2013

Vi è infine una circolare edotta nel 2013 in cui si sottolinea come nella visita pre-assuntiva (detta anche visita preventiva, effettuata dal medico competente per verificare l’idoneità al lavoro del lavoratore) non sia necessario effettuare il test sulla sieropositività sui lavoratori dal momento che l’accertamento della sieropositività non risulta motivo di discriminazione per l’accesso al mondo lavorativo. Si ha un discorso diverso nel caso di visite periodiche o di idoneità specifica: qualora vi sia un rischio significativo di contrarre l’HIV, d’accordo con il medico competente, si procede con il monitoraggio individuale, previa informazione al lavoratore sul significato di sorveglianza sanitaria e sulla necessità di eseguire il monitoraggio.

Aspetto fondamentale, da non sottovalutare, richiama l’aspetto della formazione e della informazione ai lavoratori: è necessario, infatti, una formazione continua (aggiornamento della formazione dei lavoratori, formazione ECM, …) sui rischi dovuti dall’HIV e dall’AIDS.

Bibliografia

  1. Istituto Superiore di Sanità, “Infezione da Hiv e Aids: Informazioni generali”, URL: www.epicentro.iss.it/aids
  2. Istituto Superiore di Sanità, “Infezione da Hiv e Aids: Fasi della Malattia”, URL: www.epicentro.iss.it/aids/fasi
  3. Istituto Superiore di Sanità, “Infezione da Hiv e Aids: Un po’ di storia”, URL: www.epicentro.iss.it/aids/storia
  4. Istituto Superiore di Sanità, “Infezione da Hiv e Aids: Aspetti epidemiologici in Italia”, URL: www.epicentro.iss.it/aids/epidemiologia-italia
  5. Istituto Superiore di Sanità, “Infezione da Hiv e Aids: Vie di Tramissione”, URL: www.epicentro.iss.it/aids/trasmissione
  6. European Agency for Safety and Health at Work, (2019), “Exposure to biological agents and related health problems for healthcare workers”.
  7. Legge 5 giugno 1990 n.135 “Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS (GU Serie generale n.132 dell’8 giugno 1990)
  8. Decreto Ministeriale 28 settembre 1990- Norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie ed assistenziali pubbliche e private. (pubblicato in GU n.235 del 8 ottobre 1990)
  9. Decreto legislativo 9 aprile 2008 n.81 “Testo Unico sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro” Attuazione dell’articolo 1 della Legge 3 agosto 2007, n. 123 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. (Gazzetta Ufficiale n. 101 del 30 aprile 2008 – Suppl. Ordinario n. 108) (Decreto integrativo e correttivo: Gazzetta Ufficiale n. 180 del 05 agosto 2009 – Suppl. Ordinario n. 142/L)
  10. Circolare prot. 0010748 del 10/05/2013 Oggetto: “Tutela della salute nei luoghi di lavoro: Sorveglianza sanitaria – Accertamenti pre-assuntivi e periodici sieropositività HIV – Condizione esclusione divieto effettuazione”