L’inizio e la fine: nuovo anno e buoni propositi

inizio

a cura della dott.ssa Jacqueline Rindone

Abstract

L’inizio del nuovo anno apre le porte ai festeggiamenti ma è anche il momento in cui si fissano nuovi obiettivi e buoni propositi. Molto spesso, tuttavia, nonostante le nostre buone intenzioni, i nostri desideri scivolano verso le stesse identiche abitudini.

In questo articolo si analizzeranno alcune ragioni per cui questo avviene. Primo fra tutti verrà analizzato il contributo delle neuroscienze. Quest’ultima ha evidenziato che gran parte dei comportamenti umani sono intrisi di automatismi. Gli schemi d’azione sono codificati dal cervello in aree profonde e scevre dall’influenza delle intenzioni. Nonostante il potere delle abitudini e della presenza dei circuiti cerebrali da cui dipendono, il cambiamento resta possibile. Infatti, i processi con cui le abitudini sono state apprese e fissate nel sistema nervoso centrale sono gli stessi su cui agire per modificare le abitudini indesiderate o apprenderne nuove.

Inoltre, verrà analizzato il ruolo del life coaching, inteso come un approccio basato sulla gratificazione, in quanto lavora sulle risorse, sulla capacità e le competenze della persona, focalizzando l’attenzione su ciò che funziona.

Introduzione

Le abitudini sono schemi complessi di azione edificati attraverso successive integrazioni e apprendimenti. Per tale ragione il cambiamento è più semplice se interviene per gradi crescenti di complessità, per mezzo di micro-abitudini concatenate tra loro. È fondamentale, quindi, iniziare a piccoli passi, in modo tale da aumentare le probabilità di successo e la spinta motivazionale ad essa correlata. Infatti, propositi troppo ambiziosi o cambiamenti troppo rilevanti possono aumentare il senso di fallimento e quindi l’abbandono del compito.

L’autoefficacia, che verrà successivamente approfondita, dipende anche dalla percezione della gravosità del percorso verso l’obiettivo prefissato. La strada verso il raggiungimento di un obiettivo non è priva di inciampi (Sharot, 2009). Una strategia utile è quella di prendere nota e riflettere sugli eventi contingenti che accompagnano la realizzazione dell’obiettivo (comportamenti, percezioni soggettive, sentimenti) piuttosto che constatare gli insuccessi.

Questo accorgimento ha due vantaggi: permette di lavorare sulla motivazione e diventa uno strumento di consapevolezza delle condizioni, degli stati d’animo, delle azioni, delle situazioni che facilitano il perseguimento dell’obiettivo.

1. Definizione di propositi e obiettivi: il contributo delle Neuroscienze

Il primo passo per promuovere il cambiamento è quello di stabilire degli obiettivi. Essi devono essere chiari e soprattutto raggiungibili poiché indicano la direzione verso cui muoversi.

Numerosi studi di neuroimmagine dimostrano che circuiti cerebrali deputati al controllo volontario del comportamento, come l’insula, il giro frontale inferiore, la corteccia orbito-frontale si attivano quando il soggetto riflette sulle conseguenze dei delle cattive abitudini (come, ad esempio, il fumo) Queste strutture sono cruciali nelle regolazioni cognitive e sono fondamentali per evitare la reiterazione di automatismi al fine di raggiungere il cambiamento, di conseguire i propri propositi e mantenerli nel tempo (Worhunsky, 2013). 

Definire chiaramente gli obiettivi di cambiamento permettono all’essere umano di percepire l’incongruenza tra la situazione attuale e il livello ideale. Come ha evidenziato per primo Leon Festinger, l’uomo tende a inseguire la coerenza e a sperimentare disagio e stress di fronte alla discrepanza tra condizioni desiderate e situazione di fatto.

Questa situazione di stress suscita una tensione e muove verso la risoluzione della contraddizione vissuta: tende a rimuovere cioè quella che viene definita come dissonanza cognitiva (Festinger, 1959). Dal punto di vista cerebrale, le aree deputate alla dissonanza cognitiva sono la corteccia anteriore cingolata e l’insula. La prima delle due, in particolar modo, media le funzioni di monitoraggio in itinere di un comportamento. Anche la corteccia cerebrale prefrontale dorsolaterale viene attivata in un soggetto che sperimenta una forma di dissonanza cognitiva. Questa area cerebrale, deputata al contenimento e al controllo degli impulsi, interviene per aggiustare i comportamenti indesiderati e che suscitano la percezione di una incongruenza, di un conflitto, tra condizioni attuali e obiettivi desiderati (Mansouri et al, 2004).

1.2 Formulazione degli obiettivi e piani d’azione

Le persone che si danno degli obiettivi hanno una maggiore probabilità di raggiungere il proprio scopo. L’obiettivo di cambiamento deve avere due caratteristiche: la specificità e la difficoltà.

La specificità dell’obiettivo riguarda la chiarezza di informazioni su cosa deve fare un individuo per raggiungerlo. Più l’obiettivo è specifico o esplicito, più precisamente le prestazioni sono regolate. Allo stesso tempo, l’obiettivo non deve essere utopico o troppo difficile da raggiungere; piccoli cambiamenti hanno una maggiore possibilità di successo e permettono al soggetto di sperimentare un senso di gratificazione e maggiore motivazione.

Un altro elemento importante è la costruzione di un piano dettagliato di cambiamento. Gli studi dimostrano che la scrittura a penna degli obiettivi da raggiungere e dei piani d’azione è funzionalmente più utile rispetto alla scrittura digitale. La scrittura a mano ha un impatto cognitivo molto più elevato che digitare parole su una tastiera di un computer e questo impatto si riverbera sulle capacità di controllare cognitivamente e volontariamente le abitudini e gli automatismi (Mangen et al,2010).

1.3 Monitoraggio e Feedback

La specificità degli obiettivi e dei piani permette di monitorare il percorso di cambiamento ed avere un riscontro costante sugli esiti. Il feedback e il riscontro in itinere dei risultati delle azioni orientante al cambiamento sono elementi cruciali per il raggiungimento dell’obiettivo (Erez et al, 1983).

Il raggiungimento di un obiettivo è più facile quando c’è un feedback che mostra se la direzione e il ritmo sono adeguati. Senza feedback, le prestazioni possono essere emotivamente poco importanti e non coinvolgenti. Il feedback in itinere e costante, al contrario, permette di appurare il raggiungimento dei traguardi intermedi previsti nel percorso di cambiamento (Bandura,1991).

2. Autoefficacia e motivazione al raggiungimento degli obiettivi

La motivazione al raggiungimento dell’obiettivo dipende anche dalla cosiddetta autoefficacia, cioè dal credere nelle proprie capacità di esercitare, con i propri comportamenti, un controllo sugli eventi (Bandura, 1986). Maggiore è il senso di autoefficacia, maggiore è l’investimento che un individuo sosterrà in un percorso di cambiamento.

L’autoefficacia non è esclusivamente un fattore intrinseco ma è anche fortemente influenzata dal rapporto con gli altri individui.  Un esempio di autoefficacia deriva dall’esperienza vicaria. I gruppi di auto mutuo aiuto, come quello degli Alcolisti anonimi, possono garantire numerose esperienze vicarie attraverso la condivisione di storie di dipendenza e di rinascita. Analogamente l’autoefficacia di una persona si nutre della fiducia delle sue persone care.

Le persone significative che ruotano attorno all’individuo devono perciò fare grande attenzione all’atteggiamento tenuto nei confronti di chi è alle prese con un lavoro di cambiamento per non rischiare di sabotare la loro motivazione e la fiducia in se stessi (Bandura,1986). Tra le figure deputate allo sviluppo e alla crescita personale e professionale delle persone vi è il Coach.

Il Life Coaching è un metodo di sviluppo del potenziale umano, fondato su una relazione tra il coach e il suo cliente, focalizzato sulla scoperta e valorizzazione delle potenzialità personali, il cui scopo è il raggiungimento degli obiettivi. Si tratta di un metodo che mira a sviluppare le potenzialità personali fondato sul presupposto dell’unicità dell’individuo e finalizzato al cambiamento e l’autorealizzazione individuale, per come la percepisce, desidera e costruisce il cliente, attraverso un processo di continua maturazione e consapevolezza (Crispino,2007). Il Life Coaching mette a fuoco, dunque, le parti funzionali del sé del cliente affinché raggiunga un determinato obiettivo. Si tratta di un processo di “allenamento” dove vengono migliorate le performance o la qualità dell’esperienza, piuttosto che trattate le disfunzioni (Crispino,2007).

È un metodo che punta al cambiamento delle condizioni di vita della persona, accrescendo le possibilità di scelta che l’individuo ha davanti a sé, in vista di un’espansione della conoscenza di sé, di una riscoperta e valorizzazione delle proprie risorse, che diventano gli strumenti su cui imparare a far leva per raggiungere i propri propositi. Il cliente viene incoraggiato a impegnarsi su ciò che sta già facendo al fine di raggiungere un ulteriore miglioramento. Ciò aumenta il grado di autoefficacia percepita e di locus of control interno, stimolando la motivazione al cambiamento con l’intento di aiutarlo a trovare ed esprimere più liberamente la propria unicità.

Lo scopo è quello di stimolare il cliente a lavorare su piccoli e specifici cambiamenti relativi a sentimenti, pensieri, sensazioni, immagini interne (Crispino, 2007). In genere le persone che si rivolgono alla figura del Coach sono spinta dalla volontà di sviluppare ed utilizzare al meglio le proprie potenzialità e la propria creatività al fine di raggiungere un obiettivo, migliorare le proprie relazioni (d’amore, d’amicizia, di lavoro), risolvere un problema. Ciò che accomuna tutte le persone che decidono di affidarsi all’esperienza di un Coach, è la voglia di raggiungere i propri obiettivi, l’aspirazione di rendere concreto e raggiungibile un proprio desiderio, la volontà di fronteggiare cambiamenti significativi nella propria vita. In definitiva, la voglia di mettersi in gioco e di affrontare il cambiamento (Crispino,2007).

Tutto questo comporta, da parte del cliente la presa in carico di una piena assunzione di responsabilità delle scelte effettuate. Alla persona sono riconosciute capacità, esperienza e competenze tali per cui egli e nelle condizioni per poter liberamente scegliere la meta e il percorso attraverso il quale raggiungerla. L’aiuto che il coach fornisce al suo cliente si orienta in direzione della crescita e dell’autonomia dell’altro, ed è quindi scevro da manipolazioni, imposizioni, metodi eterodiretti volti ad assoggettare la volontà della persona (Crispino, 2007).

Il vero compito del coach è quello di mettersi al servizio del cliente, utilizzando le sue competenze perché il cliente decida autonomamente gli obiettivi e le azioni coerentemente con le proprie capacità e peculiarità. La conditio sine qua non affinché tale lavoro possa essere attuabile e pervenga a significativi livelli di efficacia, è il raggiungimento di alti livelli di motivazione da parte del cliente nell’intraprendere il percorso che porta al cambiamento, unito all’assoluta autonomia e libertà di scelta.

Per tale ragione, il Life Coaching viene considerato come un approccio, le cui tecniche e i cui metodi sono tesi a porre il soggetto nelle condizioni ottimali affinché possa riconoscere e potenziare le risorse connaturate alla sua personalità e ad utilizzarle correttamente al fine di sortire esiti positivi in termini di perseguimento degli obiettivi prefissati (Crispino, 2007). L’obiettivo implicito di tale approccio risulta dunque quello di garantire l’indipendenza personale e il miglioramento della qualità delle relazioni (di qualsiasi natura esse siano), in definitiva, nella promozione della salute Psicologica dell’individuo. In conclusione, data la sua natura, il Life Coaching viene definito un valido e potente strumento preventivo grazie alle sue caratteristiche di approccio volto allo sviluppo delle potenzialità personali e al raggiungimento dell’autonomia e dell’auto-realizzazione (Crispino,2007).

3. Procrastinazione come meccanismo di difesa

L’ansia o il panico che si prova al sol pensiero di praticare o iniziare un’attività nuova conduce l’essere umano a rimandarne l’inizio o lo svolgimento al fine di spazzare via il più velocemente possibile tale sensazione sgradevole. Infatti, la procrastinazione è il modo più immediato per provare sollievo. Tuttavia, tale strategia non è la soluzione più utile. Infatti, essa è efficace nel breve termine ma non nel lungo periodo. È possibile, quindi, considerare la procrastinazione come una forma di evitamento che risponde all’urgenza di gestire uno stato d’animo indesiderato e sgradevole.

Tale meccanismo di difesa permette all’uomo di evitare il contatto con sensazioni ed emozioni spiacevoli e rappresenta quindi un fallimento nelle capacità di autoregolazione emotiva. Nei casi più estremi, la procrastinazione aumenterà l’ansia, il senso di colpa, i sentimenti depressivi e l’autocritica: con l’aumentare dell’intensità delle emozioni negative aumenta di conseguenza anche la spinta a procrastinare ulteriormente. Attraverso il meccanismo della procrastinazione l’individuo riuscirà a sentirsi meglio nell’immediato ma in questo modo il risultato che ha ottenuto è l’opposto. Il prezzo futuro da pagare per le scelte di oggi possono essere molto alte (Gustavson, 2015).

Infatti, tale meccanismo di autosabotaggio impedisce di raggiungere un obiettivo personale, e questo non è salutare per l’autostima, riduce il senso di autoefficacia, è fonte di stress e non permette di vivere con serenità. La mente, difatti, continuerà ad occuparsene finché il compito non sarà risolto, con conseguente spreco di energie che non consente di avere più tempo libero. La procrastinazione ha degli effettivi emotivi da considerare. Tra le conseguenze emotive del procrastinare possiamo considerare: noia, ansia, stress, vissuti depressivi di inefficacia e di insoddisfazione, tendenza alla ruminazione, sentimenti di inadeguatezza e di insicurezza. Si crea quindi un circolo vizioso che si autoalimenta di continuo, in un processo di procrastinazione cronica o seriale (Knaus,2010).

Fra le cause più frequenti della procrastinazione troviamo:

  • Paura di fallire;
  • Senso di inadeguatezza o insicurezza;
  • Paura di avere successo (in questo senso procrastinare è una forma di autosabotaggio);
  • Paura di ricevere una critica o rifiuto);
  • Peso della responsabilità rispetto a quello che potrebbe succedere;
  • Carico eccessivo di lavoro o di pressione che genera bisogno di pause o di distrazioni;
  • Scarso interesse per l’attività;
  • Considerazione degli obiettivi prefissati come al di fuori della propria portata
  • Pigrizia;
  • Tendenza al perfezionismo (non tollerando gli errori o le imperfezioni vengono prescelte attività semplici e con poco margine di errore);
  • Resistenza al cambiamento (essendo il nostro cervello tendente al risparmio energetico vengono scelte vie più facili da percorrere);

3.1 Come smettere di procrastinare

Superare la procrastinazione è possibile e anche, apparentemente, molto semplice. Sarebbe opportuno agire anche quando la voglia è poca o anche quando sempre difficile farlo, tenendo a mente un giusto equilibrio tra autodisciplina e self compassion, senza eccedere quindi nel rigore e nell’autocritica. Il rimedio più efficace è l’azione stessa, ossia smettere di evitare.

Se il soggetto riuscirà a non procrastinare, compiendo un’azione in programma, anche per poco, ne avrà un diretto rinforzo positivo che funzionerà da motivazione e da incoraggiamento. È necessario accettare l’idea che la procrastinazione non è un problema di gestione del tempo, ma di regolazione emotiva e che la motivazione segue l’azione: occorre prima iniziare e poi vedere che la motivazione seguirà a ruota. Accettare la possibilità di essere imperfetti e fallibili: è possibile fare quel che è possibile nel tempo e con le risorse che ci sono a disposizione, mettendo da parte il perfezionismo e la rigidità (Gordon, 2012).

La nostra società ci educa alla produttività e alla perfezione; pertanto, è faticoso vivere pensando di dover raggiungere certi standard. Così, la tendenza a procrastinare si diffonde a macchia d’olio. Praticare atti di accettazione e gentilezza verso sé stessi, quando il traguardo non è raggiunto, senza darsi addosso e senza vivere con frustrazione il fallimento. Per fare tutto questo è necessario concedersi degli spazi e del tempo di cura per sé stessi, alternando momenti di concentrazione intensa a momenti di relax o attività fisica che ci liberino cognitivamente; bisognerebbe creare spazi di ozio e di distrazione che siano edificanti: sport, passioni, una passeggiata nella natura, un buon film o un buon libro, una bella chiacchierata con una persona cara possono rappresentare una boccata d’aria per la nostra mente e per le nostre emozioni.

Illudersi che arriverà il momento o l’anno giusto per iniziare non servirà. Ciò che è utile fare è iniziare subito in breve tempo così da impedirci di inciampare in pensieri e scuse per rimandare l’azione e vincere l’inerzia iniziale. Una strategia utile è quella di evitare le distrazioni digitali che velocemente portano via tanto tempo e che esauriscono enormemente le nostre energie mentali.

Lavorare in modalità multitasking risulterà infatti dispersivo: è meglio raggruppare gli impegni occupandosi di un impegno alla volta per evitare che il nostro cervello impieghi troppo tempo e risorse tra diverse attività insieme. In conclusione, ogni tanto, in questa lunga corsa, concedersi il lusso di fermarsi ad immaginare e a pregustare il momento in cui avremo portato a termine quel lavoro tanto difficile quanto desiderato (Gordon,2012).

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