Mutismo selettivo e Mutismo situazionale

mutismo

a cura della dott.ssa Paola Taglia

Introduzione

Si parla di mutismo selettivo fin dalla fine del 1800, quando veniva chiamato Afasia Volontaria (Kussmaul,1877), definizione scelta per descrivere una situazione clinica dove si riteneva che la persona non parlasse per sua espressa volontà di non farlo. Nel 1934 il termine fu modificato da Tramer in mutismo elettivo, ma ancora per indicare un “persistente rifiuto di parlare”. Per molti anni l’erronea convinzione fu quindi che il disturbo fosse di origine intenzionale e ciò ne ha compromesso la cura e la risoluzione.

È nel 1994, grazie all’impulso dato dalla Selective Mutism Foundation, che il nome cambia in mutismo selettivo, viene inserito nel DSM IV e classificato tra gli “altri disturbi dell’infanzia, della fanciullezza e dell’adolescenza” (Iacchia, Ancarani, 2018).

Fu da questo momento storico che con la definizione mutismo selettivo venne descritto un preciso aspetto di alcuni bambini, che utilizzano il linguaggio quasi esclusivamente nello stretto ambito familiare.                                                                    

Nel 2013 avviene un ulteriore passo avanti, nel DSM-5 il mutismo selettivo mantiene il nome, ma cambia sede, viene infatti classificato, più correttamente, tra i disturbi d’ansia, a chiarire che non è esclusivamente un disturbo che riguarda bambini e adolescenti, ma anche gli adulti.

Il MS è quindi un disturbo caratterizzato da una forte ansia che blocca la parola in alcuni ambienti, situazioni e con taluni interlocutori. I soggetti vorrebbero parlare, ma non ci riescono. Si tratta di una condizione d’incapacità dovuta appunto all’ansia, non di rifiuto o di sfida; infatti, nelle circostanze in cui l’ansia non è elevata, i soggetti parlano normalmente.

In un’ottica tesa al miglioramento, sarebbe più appropriato utilizzare il termine situazionale anziché selettivo, perché così l’attenzione verrebbe spostata sulle singole situazioni nelle quali l’ansia aumenta, determinando il blocco. Parlando di situazione è il contesto ad essere preso in esame come fattore ansiogeno ed è di conseguenza l’oggetto su cui intervenire, portando sullo sfondo l’idea che sia invece il soggetto che seleziona a causa della paura (Iacchia, Ancarani, 2018).

Il MS secondo Maggie Johnson e Alison Wintgens insorge attraverso lo stesso processo della fobia specifica, ne condivide la fenomenologia e risulta in linea con i criteri di definizione dei disturbi d’ansia del DSM-5, ma con il passare del tempo, si sviluppano ulteriori complicazioni: 1. La costante allerta. 2. La mancata minaccia specifica. 3. L’erronea risposta sociale (es. insistere, fare pressioni, battute sul mutacismo ecc.). 4. Il cambiamento dell’autopercezione (il MS diventa un fattore con cui ci si identifica: sono MS anziché ho il MS).

Per ciò che concerne il comportamento, il MS conduce all’evitamento. Il modo in cui esso si attua è molteplice: può prendere la forma dell’opposizione, della negazione, ma anche, soprattutto quando non vi è una via di fuga, della somatizzazione (mal di pancia, mal di testa, tic ecc.).

Più queste forme di evitamento funzionano come soluzione allo stress, più lo schema comportamentale si rinforza e si irrigidisce, divenendo la sola ed unica modalità conosciuta ed attuata per fronteggiare le emozioni percepite come non gestibili.

Risulta pertanto evidente quanto l’intervento precoce sia fondamentale, non solo per la risoluzione del disturbo in sé, ma anche per intercettare le chiusure cognitive e comportamentali che conducono a tutte le possibili difficoltà ulteriori. A maggior ragione è importante che tutte le figure che si trovano ad avere a che fare soprattutto con i bambini, sappiano cogliere i segnali, tenendo presente che anche in presenza di parola, può ugualmente individuarsi il MS.

Maggie Johnson, a tal proposito, fa una distinzione tra MS di basso profilo e MS ad alto profilo. I bambini con MS a basso profilo risultano essere i più difficili da individuare, perché il fatto che qualche volta parlino (anche se piano, all’orecchio e/o con voce alterata), potrebbe farli passare inosservati. Si potrebbe, ad esempio, non comprendere che siano incapaci di avviare una conversazione di loro iniziativa, chiedere aiuto, fare amicizia, dire che stanno male o che subiscono bullismo. Senza un adeguato contesto conoscitivo e senza un appropriato intervento, molti bambini con MS di basso profilo rischiano di parlare sempre meno, finché non si consolida un MS ad alto profilo, oppure possono arrivare in adolescenza senza miglioramenti, andando così verso l’età adulta pieni di sofferenze e disagi.

Iacchia e Ancarani s’interrogano, inoltre, su quale impatto possano avere specifici eventi di vita su bambini/ragazzi con MS, in particolare il riferimento è alla nascita di un fratellino/sorellina, alla malattia o alla morte di un familiare, alla separazione dei genitori, ai traslochi in altre città ecc. Ogni evento significativo incide sulla vita delle persone, ma il modo migliore per affrontarlo non è tentare di evitarlo; infatti, i bambini/ragazzi con MS percepiscono il clima emotivo intorno a loro, pertanto è fondamentale guidarli e rassicurarli, fornendo risposte e strumenti affinché ciò che accade (e fa parte della vita, morte compresa) possa essere compreso e gestito. Un primo strumento idoneo da utilizzare in questi casi sono i racconti, utili anche agli adulti, perché non servono soltanto a trovare un supporto per parlare in modo appropriato con i più piccoli, ma ad avere anche un sostegno per sé.

1. Riconoscere il Mutismo Selettivo

Nel DSM-5 il mutismo selettivo è inserito nei disturbi d’ansia. I criteri diagnostici sono:

  1. Costante incapacità di parlare in situazioni sociali specifiche, in cui ci si aspetta che si parli (per es. a scuola), nonostante si sia in grado di parlare in altre situazioni.
  2. La condizione interferisce con i risultati scolastici o lavorativi o con la comunicazione sociale.
  3. La durata è di almeno un mese (non limitato al primo mese di scuola).
  4. L’incapacità di parlare non è dovuta al fatto che non si conosce o non si è a proprio agio con il tipo di linguaggio richiesto con la situazione sociale.
  5. La situazione non è meglio spiegata da un disturbo della comunicazione e non si manifesta esclusivamente durante il decorso di disturbi dello spettro autistico, schizofrenia o altri disturbi psicotici.

Queste persone non sono dunque “mute” a causa di deficit di apprendimento, di un disturbo dello spettro autistico o altri disturbi dell’età evolutiva o del comportamento: non parlano per uno stato di paura, vergogna e forte ansia. Si tratta di un vero e proprio “congelamento”, ossia un blocco della produzione verbale come comportamento istintivo di reazione di fronte ad un pericolo percepito. Per percepito s’intende che il pericolo è sentito tale soggettivamente, non secondo parametri giudicati oggettivi e congrui. Questa distanza tra percezione soggettiva e collettiva determina ancora oggi una delle principali difficoltà di riconoscimento e di comprensione della condizione.

1.1 Campanelli d’allarme in età evolutiva

I segnali che nei bambini possono essere ritenuti campanelli d’allarme e far pensare al MS, sono quelli legati all’eccessiva ansia. Tra questi:

  • Difficoltà di addormentamento e disturbi del sonno (compresa l’insonnia);
  • Difficoltà nell’alimentazione, che può diventare selettiva rispetto alla scelta dei cibi o legata agli ambienti che il bambino frequenta;
  • Episodi di enuresi e/o encopresi;
  • Ansia esternalizzata;
  • Ansia internalizzata (che si trasforma in paura della separazione nell’affrontare situazioni nuove);
  • Difficoltà a salutare i vicini di casa, benché conosciuti da sempre o i parenti che poco si frequentano;
  • Timidezza eccessiva;
  • In presenza di persone non familiari, uso del solo canale non verbale per comunicare un malessere o un desiderio;
  • In presenza di persone non familiari, parlare all’orecchio di un genitore o d’altra figura nota.

1.2 Caratteristiche di adolescenti e adulti che soffrono di mutismo selettivo

Essendo il MS classificato tra i disturbi d’ansia, esso non riguarda esclusivamente i bambini e le bambine, ma può interessare anche adolescenti e soggetti adulti.

Di seguito si riporta lo schema di Iacchia e Ancarani adattato a ciò che concerne le caratteristiche tipiche di adolescenti e adulti che soffrono di MS, tratto dall’originale riferito all’età infantile (Corona, De Giuseppe, 2016).

  • Inibizione temperamentale Aspetto che si esprime con la presenza di un’estrema timidezza, soprattutto nelle situazioni nuove in cui è richiesta una prima familiarizzazione con l’ambiente. Spesso l’inibizione è associata all’ansia da separazione dalle figure di attaccamento.
  • Ansia sociale Forte disagio che si manifesta con il timore di essere presentati a persone sconosciute, di divenire oggetto di burla o critica, di essere messi al centro dell’attenzione se si deve eseguire una prestazione.
  • Desiderio di interazione sociale Desiderio di costruire amicizie. Al contrario di chi rientra nello spettro autistico, possiedono adeguate competenze sociali.
  • Lamentele somatiche L’ansia spesso provoca mal di pancia, mal di testa, nausea, dispnea.
  • Espressività e atteggiamento Volto poco espressivo, tendenza ad evitare il contatto visivo, postura rigida.
  • Emotività Vasta gamma di sentimenti disfunzionali: preoccupazione eccessiva, tristezza, scoramento, sfiducia in sé stessi.
  • Ritardo nello sviluppo Maggiore probabilità di sviluppare ritardi nell’area motoria, comunicativa e nella sfera della socializzazione.
  • Comportamento Spesso i soggetti sono inflessibili e testardi. Appaiono volubili, con sbalzi di umore che vanno da un atteggiamento prepotente e aggressivo, a crisi di pianto e tristezza. Sono inclini al ritiro, alla chiusura e all’evitamento di tutte le situazioni che generano ansia.
  • Difficoltà comunicative e di socializzazione Il nucleo del problema comunicativo è del tutto situazionale. Uno stesso soggetto può apparire tanto chiuso, isolato, ritirato in situazioni ansiogene, quanto socievole e chiacchierone in ambiente sicuro e prevedibile.

2. Aspetti epidemiologici del mutismo selettivo

Nella letteratura scientifica la maggior parte delle ricerche condotte sul mutismo selettivo si basa su piccoli gruppi o casi singoli. Gli studi epidemiologici dimostrano che si tratta di un disturbo con un’incidenza da 0,11% al 2,2%, a seconda della popolazione esaminata e dai criteri diagnostici applicati. Il MS sembra interessare maggiormente il sesso femminile rispetto a quello maschile, con un rapporto 2:1 e prevale nei bambini bilingue, nelle minoranze etniche o nei casi in cui vi siano altri componenti della famiglia ansiosi e che presentano difficoltà nelle relazioni sociali.

L’età di esordio del mutismo selettivo oscilla in un range dai 2 ai 5 anni, anche se i sintomi passano inosservati fino a quando il/la bambino/a non inizia a frequentare la scuola. In alcuni studi si evidenzia un intervallo di circa 14 mesi dalla comparsa dei sintomi alla diagnosi, questo perché il comportamento del soggetto è frainteso inizialmente con un atteggiamento di profonda timidezza (sottovalutandone la gravità). Una diagnosi precoce permetterebbe di prevenire e limitare la compromissione del funzionamento sociale del bambino.

2.1 Famiglie bilingui

Il mutismo selettivo è frequente in bambini che vivono in famiglie bilingui, che appartengono a minoranze etniche o laddove sono presenti altri componenti della famiglia ansiosi, timidi e/o che presentano difficoltà nelle relazioni sociali.

Nei casi delle famiglie straniere i bambini parlano e sentono parlare in casa la lingua madre, ma quando entrano nei nuovi contesti, la lingua è diversa e non sempre ben compresa o padroneggiata. Si crea perciò una separazione tra la realtà familiare e quella sociale. In queste situazioni accade che siano i bambini/ragazzi i soli a parlare la lingua del paese di accoglienza, in famiglia manca la possibilità di allenarla o, talvolta, implicitamente, manca anche l’autorizzazione ad usarla. Può comprensibilmente succedere, infatti, che le famiglie straniere temano di perdere oltre alla propria patria, anche le proprie radici.

Per questo è molto importante che tutte le culture siano pensate come fonte di arricchimento reciproco, creando momenti in cui esse possano incontrarsi ed integrarsi (Iacchia, Ancarani, 2018).

2.2 Fattori eziopatogenetici

Non è stata identificata una causa primaria legata al MS, ma si sostiene che esso, al pari di altri disturbi, sia dovuto ad una concatenazione di fattori. Molti studi concordano su un’ipotesi multifattoriale (Sharon et al., 2006, Freeman et al., 2004, citati da Capobianco, 2009), cioè su una combinazione sfavorevole di fattori temperamentali, ereditari ed ambientali. Sono comunque da confutarsi le convinzioni che il bambino con MS abbia subito forti traumi, abbandoni o violenza, oppure che si tratti di soggetti oppositivi. A tal proposito è sempre bene differenziare tra grandi traumi e piccoli traumi: in generale per il MS è possibile parlare di fattori precipitanti, vale a dire di situazioni che lo conclamano (eventi specifici come l’ingresso a scuola, forzature rispetto al parlare, ospedalizzazioni, ecc.).

  • Componente ereditaria un altro componente della famiglia ha a sua volta un disagio legato all’ansia o è stato un bambino/a o ragazzo/a con MS. Queste caratteristiche possono essere ereditate e quindi, percentualmente, incidere sulla predisposizione dei figli verso un disturbo ansioso.
  • Componente temperamentale o costituzionale il bambino/ragazzo ha un temperamento individuabile nei tratti ansiosi/fobici, per cui risulta esposto all’insorgenza del MS e/o altri disturbi di ansia. In questo fattore rientra la componente biologica del MS, che va quindi anche ricondotta alla storia della gravidanza e di ciò che ha connotato questo delicato periodo.
  • Componente ambientale gli ambienti in cui una persona si forma e si misura con gli altri e con la vita (famiglia, scuola, ecc.) incidono in modo significativo sulla sua risposta emotiva, nonché sullo sviluppo di comportamenti e difese dalla paura e dall’ansia.

Sono questi tre fattori, insieme, che determinano quella causa che sempre si cerca per il MS. Ciascun fattore può incidere per percentuali diverse.

2.3 Comorbilità

Il MS presenta diverse comorbilità correlate ad altri disturbi d’ansia e disturbi dello sviluppo. Alcuni studi evidenziano le seguenti percentuali di comorbilità: 82,5% con il disturbo d’ansia sociale, il 19,3% con la fobia specifica, il 15,8% con il disturbo d’ansia da separazione, il 15,8% ADHD, il 7% con l’ansia generalizzata, il 5,3% con i disturbi del controllo sfinterico, il 3,5% con il disturbo oppositivo/provocatorio, l’1,8% con la distimia. Come si può notare, il tasso di comorbilità con disturbi esternalizzanti (es. disturbo oppositivo) è minore, motivo per cui il MS sembra essere più spesso correlato a disturbi internalizzanti (disturbi d’ansia).

Spesso, associate alla diagnosi di MS, si registrano compresenze di tipo fisico e psichico in tre fasce d’età:

– nei bambini si presentano tic, tricotillomania e/o sintomi del disturbo ossessivo compulsivo;

– negli adolescenti si verificano episodi di depressione, problemi di adattamento sociale, ansia sociale, ritiro sociale volontario (fenomeno degli hikikomori);

– negli adulti si può presentare un disturbo di personalità evitante

In tutte le tre fasce d’età possono comparire gli attacchi di panico (Iacchia, Ancarani, 2018).

Conclusioni

Alla luce di quanto esposto, il trattamento del MS è orientato primariamente alla riduzione dei sintomi ansiosi, all’eliminazione dei rinforzi negativi, al miglioramento dell’autostima e all’espressione delle emozioni. Per intervenire professionalmente, la scelta dell’approccio terapeutico più efficace è fondamentale; non esiste un approccio migliore dell’altro, ma semplicemente quello che al meglio si adatta alle necessità della persona.

Le principali quattro aree di intervento su cui si dovrebbe fondare il trattamento riguardano: l’area cognitivo-comportamentale per la riduzione dei sintomi ansiosi e il lavoro emotivo, quella sistemica per analizzare le dinamiche relazionali e gestire la storia familiare, l’area psicodinamica per far emergere i conflitti intrapsichici e, infine, quella integrata di gruppo paziente-genitore che utilizza tecniche di rilassamento, fiabe e psicoeducazione (Iacchia, Ancarani, 2018).

Bibliografia

  1. Aa.Vv. (2018). Mutismo selettivo. Sviluppo, diagnosi e trattamento multisituazionale. FrancoAngeli.
  2. Aa.Vv. (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Raffaello Cortina, Milano.
  3. Capobianco, M. (2009). Il mutismo selettivo: Diagnosi, eziologia, comorbilità e trattamento. Cognitivismo clinico, 6(2), 211-228.
  4. D’Ambrosio, M. (2019). Fiat vox. Psicoterapia, psicodiagnostica e psicotecnologia del mutismo selettivo. FrancoAngeli.
  5. Iacchia, E., Ancarani, P. (2018). Momentaneamente silenziosi: Guida per operatori, insegnanti e genitori di bambini e ragazzi con mutismo selettivo. FrancoAngeli.
  6. Johnson M., Wintggens A. (2016). The Selective Mutism Resource Manual 2 ed., Speechmark Publishing London, n. 36.
  7. Levi, G. (2008). La mia mamma guarirà. Feltrinelli, Milano.
  8. Statolla, F., Fascione, M. (2013). Il mutismo selettivo. Libellula, Lecce.

Sitografia

  1. AIMUSE, Associazione Italiana Mutismo Selettivo https://aimuse.it/
  2. Corona, & De Giuseppe. (2006). Istituto A. T: Beck – terapia cognitivo comportamentale. Istituto A. T. Beck. Tratto da http://www.istitutobeck.com
  3. Pivetta, F. Il mutismo selettivo, un disturbo così difficile di cui parlare. Uno studio su caratteristiche cliniche, credenze e strategie di coping. Quale ruolo per l’Educatore Professionale? Padua Thesis and Dissertation Archive 2002/2003. https://thesis.unipd.it