Nuovi strumenti per la gestione dello stress: il biofeedback

biofeedback

a cura della dott.ssa Francesca Bellante

Abstract

Il biofeedback costituisce una metodologia di analisi e training, ampiamente testata e studiata in ambito medico e sportivo sin dagli anni ’70. Questa metodologia fa affidamento su un sistema complesso, composto da una parte hardware e una parte software altamente specializzate. La parte hardware consiste in sensori non invasivi, applicati solitamente sulla mano e sulla testa dei partecipanti, per il rilevamento e la misurazione delle fluttuazioni nei processi psicofisiologici soggetti a controllo e regolazione. Tali sensori monitorano con precisione parametri quali la conduttanza cutanea, la temperatura corporea, la pressione sanguigna, la frequenza cardiaca e la tensione muscolare. La parte software opera una trasformazione e elaborazione di tali dati, che vengono restituiti in tempo reale al partecipante sotto forma di feedback altamente personalizzati, che prendono la forma di rappresentazioni visive o uditive (es: immagini in movimento, musica o effetti sonori) che variano di intensità, ritmo, o dimensione in base alle variazioni fisiologiche del partecipante.

Studi recenti hanno documentato i notevoli benefici del biofeedback nella gestione dello stress: spesso chi è sotto stress se ne accorge solo quando è troppo tardi, e ne sta già subendo gli effetti negativi sul proprio organismo (stanchezza, mal di testa, ipertensione, disturbi del sonno, disfunzioni del metabolismo, ecc. cfr: McEwen, 1998). Imparare a riconoscere i primi segnali dello stress, prima che questo si manifesti attraverso forme di disagio fisico e psicologico o, ancora peggio, sfoci in condizioni di burnout, è fondamentale per migliorare la propria capacità di gestire efficacemente lo stress.

Gli individui sottoposti a training di biofeedback, grazie alla possibilità di visualizzare o ascoltare dei feedback elaborati in risposta alla variazione dei propri segnali corporei, sviluppare una consapevolezza più profonda riguardo alle proprie risposte fisiologiche allo stress; apprendendo, di conseguenza, a mettere in atto strategie di autoregolazione al fine di ridurre efficacemente la tensione e ristabilire uno stato di calma e equilibrio.

L’articolo si pone l’obiettivo di presentare nel dettaglio questa metodologia, approfondendo le evidenze scientifiche a supporto della sua efficacia nella riduzione e gestione dello stress.

Introduzione

Lo stress è uno stato di sovraccarico del sistema di regolazione mentale (Lazarus e Folkman, 1984), che si verifica in situazioni di emergenza, difficoltà o incapacità di raggiungere obiettivi, scopi e valori importanti per la persona. 

Tale stato è caratterizzato da una risposta fisiologica e psicologica a stimoli, noti come “stressors”, che possono essere sia di natura esterna (es: pressioni lavorative, conflitti familiari, traffico intenso, scadenze stringenti, difficoltà economiche, eventi traumatici) che di natura interna (preoccupazioni eccessive, autostima ridotta, perfezionismo, sensazioni di inadeguatezza o timori riguardanti il futuro).

Secondo Hans Selye, uno dei pionieri nello studio dello stress, il fenomeno è caratterizzato da tre fasi (Selye, 1956): la fase di allarme, in cui il corpo riconosce lo stress e attiva risorse adattive; la fase di resistenza, in cui il corpo cerca di adattarsi e far fronte allo stress; e infine la fase di esaurimento, in cui le risorse sono esaurite e possono emergere conseguenze negative sulla salute (McEwen, 2007). 

Lo stress si manifesta quando risorse considerate di grande valore vengono a mancare o sono minacciate (Hobfoll, 1991). Questa mancanza o minaccia può verificarsi sotto forma di eventi limitati nel tempo, come le pressioni degli esami o le scadenze lavorative, oppure di situazioni prolungate, come le richieste familiari, l’insicurezza lavorativa o lunghi viaggi pendolari. Sebbene ognuno di questi eventi possa rappresentare singolarmente una sfida per le capacità di coping, è noto che il loro accumulo o la loro ripetizione abbia un impatto più potente e negativo di qualsiasi singolo evento (Pearlin, 1999). 

L’insorgere prolungato dello stress può innescare cambiamenti nel funzionamento neuroendocrino, cardiovascolare, autonomo e immunologico, portando a problemi di salute mentale e fisica come ansia, depressione e malattie cardiache (Lazarus & Folkman, 1984).

1. Stress e decision-making

La relazione tra stress e capacità decisionale è oggetto di approfonditi studi accademici da oltre quarant’anni. Le evidenze empiriche indicano, infatti, che lo stress può influenzare significativamente la capacità delle persone di prendere decisioni, soprattutto in contesti che coinvolgono la possibilità di ottenere ricompense – di natura economica, sociale, emotiva o di soddisfazione personale (Odum et al., 2020) – differite nel tempo.

Un concetto particolarmente rilevante in questo ambito è quello di “delay discounting” o “temporal discounting”, che indica la tendenza a svalutare le ricompense ritardate rispetto a quelle immediate. Numerosi studi hanno mostrato che situazioni di stress, sia acuto che cronico, possono aumentare la propensione delle persone a preferire ricompense immediate piuttosto che attenersi a ricompense più vantaggiose ma ritardate (Kimura et al., 2013).

Gli effetti dello stress sul processo decisionale sembrano essere mediati da vari meccanismi neurobiologici. Ad esempio, l’aumento della secrezione di cortisolo e le modificazioni nella trasmissione dei neuroni dopaminergici, coinvolti nei circuiti cerebrali delle ricompense, potrebbero giocare un ruolo chiave nel modificare la percezione delle ricompense temporali durante momenti di stress (Takahashi et al., 2008; Kimura et al., 2013).

Tuttavia, va sottolineato che le risposte allo stress e la valutazione delle ricompense differite possono variare in base a diversi fattori, e alcune ricerche indicano che il rapporto tra stress e valutazione delle ricompense potrebbe non essere lineare (Haushofer et al., 2013).

1.1. Strategie di coping per la gestione dello stress

Tra le principali tecniche adottate per gestire e ridurre e lo stress, sono emerse come particolarmente efficaci le strategie di coping basate sull’apprendimento dell’autoconsapevolezza psicologica e corporea.

A partire dai primi studi condotti da Kabat-Zinn et al. (1985), la letteratura scientifica ha dimostrato sistematicamente gli effetti della mindfulness nella riduzione dello stress. Alcuni studi hanno rilevato che gli interventi basati sulla mindfulness possono ridurre i livelli di stress, promuovere strategie di coping più adattive (Weinstein, 2009) e diminuire i marcatori fisiologici dello stress come il cortisolo e la pressione sanguigna (Pascoe, et al., 2017). Inoltre, uno studio di Hofmann et al. (2010) ha confermato l’efficacia della mindfulness nel trattamento di disturbi d’ansia e depressione, fornendo un’ulteriore evidenza del suo impatto positivo sulla salute mentale.

Tuttavia, raggiungere questo stato di consapevolezza è un processo lungo e continuo, che richiede risorse non sempre o non immediatamente disponibili.

Così, a partire dagli anni ‘70, alcuni ricercatori hanno iniziato a indagare l’efficacia di una nuova e promettente pratica, con l’obiettivo di facilitare l’apprendimento dell’autoconsapevolezza e dell’autoregolazione: il biofeedback.

2. Cos’è il biofeedback

Sebbene non si tratti di una metodologia nuova – questa pratica viene applicata in numerosi contesti ormai da oltre 40 anni -, il biofeedback può essere ancora considerato da alcuni come una terapia “ad alta tecnologia”, in quanto prevede l’utilizzo di un sistema complesso, composto da una parte hardware e una parte software altamente specializzate (Brown, 1977).

La parte hardware è costituita da sensori in grado di ricevere le misure fisiologiche dell’individuo (es: respirazione, conduttanza cutanea, temperatura corporea, frequenza cardiaca, ecc.) e di sistemi di output quali schermi, cuffie o altoparlanti, che forniscono in risposta uno stimolo visivo o uditivo coerente (es: dimensione o velocità di movimento di un’immagine, ritmo o frequenza di un suono, ecc.).

La parte software mette in comunicazione i due componenti hardware: riceve i valori registrati dai sensori, li elabora e li associa in tempo reale alle variabili corrispondenti (es: velocità, frequenza), che vengono restituite sotto forma di stimoli uditivi o visivi tramite lo schermo e/o il sistema audio utilizzati.

2.1 Biofeedback per la gestione dello stress

Le tecniche di biofeedback possono avere un duplice effetto (Everly et al., 2013): il primo, a breve termine, consiste nel generare una risposta di rilassamento, intervenendo sulla risposta immediata allo stress; il secondo, più a lungo termine, è quello di alterare l’attività degli organi bersaglio, andando a trattare i sintomi dell’eccitazione da stress eccessivo e “abituandoli”, così, ad un’autoregolazione più efficace. 

Ad esempio, con un training di biofeedback respiratorio, i pazienti possono imparare a controllare e modificare la risposta fisiologica sottoposta a misurazione e riportare queste misure a un livello sano (Liu, Huan e Wang, 2011).

Allo stesso modo, training di biofeedback basati sulla variabilità della frequenza cardiaca (HRV) si sono dimostrati particolarmente efficaci per il trattamento di sintomi legati a stress e ansia, con una differenza tra pre-training e post-training pari a 0.81 g (di Hedges) e una differenza tra gruppo sperimentale e gruppo di controllo pari a 0.83 g (di Hedges), come riportato nella meta-analisi di Goessl, Curtiss e Hofmann (2017).

3. Autoregolazione con biofeedback: uno studio italiano

Il concetto di “autoregolazione psicofisiologica” denota la capacità di un individuo di gestire i propri stati emotivi e cognitivi, adattandosi alle varie circostanze ambientali (Prinzel, Pope, & Freeman, 2001). Nel caso dei segnali fisiologici, tuttavia, la regolazione risulta più complessa, soprattutto in condizioni di stress. 

Numerosi studi scientifici hanno evidenziato (Gross, 2013; Lupien et al., 2009) hanno dimostrato che lo stress può compromettere la regolazione delle emozioni, portando a una maggiore reattività emotiva e riducendo la capacità di modulare le risposte emotive in situazioni stressanti, oltre a compromettere le funzioni cognitive superiori, come l’attenzione, la memoria e il processo decisionale, limitando la capacità di adattamento alle richieste ambientali.

In questo contesto, si colloca un recente studio condotto dai ricercatori del Laboratorio di Economia Comportamentale dell’Università di Chieti-Pescara e della startup innovativa Umana-Analytics (Iodice et al., 2022), che ha indagato le potenzialità del biofeedback nel facilitare l’apprendimento e lo sviluppo della capacità di autoregolazione delle risposte fisiologiche e di gestione dello stress.

3.1 Metodologia

Lo studio ha coinvolto 23 manager di alto livello, con esperienza lavorativa comparabile e privi di precedenti esperienze con pratiche orientate allo sviluppo dell’autoconsapevolezza e della percezione corporea quali meditazione, mindfulness o yoga.

I manager sono stati divisi in due gruppi: il gruppo sperimentale ha seguito un protocollo di formazione basato sul biofeedback utilizzando segnali fisiologici come temperatura e conduttanza della pelle, mentre il gruppo di controllo ha seguito un protocollo di formazione diverso, non inerente al biofeedback o all’autoregolazione.

Dopo una valutazione psicologica iniziale per controllare le variabili individuali, entrambi i gruppi hanno svolto dei test di valutazione, sia in condizioni di riposo che sotto stress, seguito da compiti di scelta probabilistica e discounting temporale sotto stress. 

Il gruppo sperimentale ha partecipato a otto sessioni di training di circa 25 minuti ciascuna, focalizzate sull’auto-regolazione attraverso il neuro-biofeedback, addestrando i partecipanti a modulare la conduttanza cutanea e la temperatura corporea. Il gruppo di controllo, invece, ha assistito a video divulgativi su argomenti non correlati al neurobiofeedback o all’autoregolazione.

3.2 Risultati

L’addestramento con neuro-biofeedback ha ridotto il tempo di attivazione dei meccanismi di autoregolazione durante condizioni di stress e ha migliorato la capacità di adattamento dei manager. Ciò ha portato a una maggiore resistenza percettiva allo stress, migliorando la capacità dei manager di regolare le proprie condizioni neuroviscerali in situazioni stressanti.

Inoltre, l’addestramento ha influenzato positivamente il comportamento decisionale durante un task di temporal discounting, che consiste nell’analizzare come le persone valutano e scelgono tra ricompense ritardate nel tempo rispetto a ricompense immediate. In questo task, ai partecipanti vengono presentate due opzioni e devono scegliere se ricevere una ricompensa di minor valore immediatamente oppure una ricompensa di valore maggiore in futuro (es: 2€ oggi, vs 10€ tra 30 giorni).

Studi precedenti condotti sulla presa di decisioni sotto stress, evidenziano come questo possa aumentare la propensione verso ricompense immediate (Kimura et al., 2013). Tuttavia, i risultati del nostro studio mostrano come i manager, dopo l’addestramento con NBF, siano in grado di contrastare questa tendenza, manifestando comportamenti decisionali più razionali e lungimiranti rispetto al gruppo di controllo.

4. Conclusioni

Il biofeedback è, ormai, una pratica dall’efficacia comprovata nella gestione dello stress e nell’apprendimento e miglioramento delle capacità di autoregolazione psico-fisiciologica. Grazie alla non invasività dello strumento e alla facilità di utilizzo, inoltre, questa pratica si presta ad essere adottata anche nell’ambito della psicologia positiva, con interventi mirati alla promozione del benessere individuale, oltre che in contesti terapeutici (es: per il trattamento di disturbi d’ansia, disturbo post-traumatico da stress, stress cronico, burnout ecc.).

Particolarmente promettenti sono le applicazioni in ambito organizzativo, ad esempio, dove il training con biofeedback si è dimostrato uno strumento in grado di ridurre la percezione di stress da parte dei lavoratori (manager, nello specifico, nello studio di Iodice et al., 2022) e di migliorarne le capacità decisionali, superando tendenze comportamentali legate allo stress ampiamente studiate e riconosciute, quali il temporal discounting.

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