La sindrome Erasmus

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Negli ultimi anni si è delineata una vera e propria sindrome Erasmus che coglierebbe tutti gli studenti, con intensità e durata differente, che partecipano a questo progetto.

Il Progetto Erasmus (European Action Scheme for the Mobility of University Students) costituisce il mezzo attraverso il quale l’Unione Europea intende sostenere l’istruzione superiore e promuovere la mobilità e lo scambio degli studenti fra i Paesi membri della Comunità ed altri Stati convenzionati.

L’obiettivo del Progetto Erasmus è quindi quello di fornire agli studenti interessati la possibilità di una più approfondita dimensione europea degli studi, offrendo l’opportunità inoltre di vivere un’esperienza personale di vita in uno Stato diverso dal proprio.

Stando ai recenti studi condotti sulla sindrome Erasmus pare che i sintomi si manifestino ancor prima del temuto rientro e che la sindrome colpirebbe in 4 fasi:

  1. Prima di partire: agitazione, nervosismo, paura. Non si vede l’ora di andare via, ma allo stesso tempo si trova ogni giorno un presunto motivo in più per non partire. Si prova a resistere e a raccogliere informazioni che potranno essere utili: numeri di telefono, indirizzi, contatti, e-mail … etc …;
  2. Appena giunti: ci si sente estranei (e infatti lo si è), si ha difficoltà con la lingua del posto, le case sembrano tutte non molto confortevoli, il cibo non appare buono, mancano gli affetti e si è tentati di ripartire, ma si resiste e si passa il primo periodo a conoscere persone nelle stesse condizioni per poi socializzare anche con altri;
  3. Prima di ripartire per l’Italia: ci si sente nati per vivere nella città dove ci si trova, non si sopportano più gli italiani, ci si senti liberi, si vuole prolungare il più possibile il periodo di studi all’estero;
  4. Dopo il rientro in Italia (se si rientra in Italia): ci si sente estranei, ci si sente soffocare, si vuole fuggire, si vuole tornare nell’amata città straniera. Si resiste. Una volta tornati in Italia ripartire sarebbe una follia, dunque si studia, ci si laurea e magari si pensa subito ad un post-lauream all’estero.

Soprattutto una volta rientrati dunque, la maggior parte degli studenti vivrebbe una sorta di depressione, tra la nostalgia e l’apatia, a causa delle differenze con il proprio ambiente, delle difficoltà a condividere l’esperienza, dell’idealizzazione del Paese straniero, del ripiegamento su se stessi.

L’Erasmus equivale ad un rito di passaggio dei giorni nostri: lasciare la città d’origine, i genitori, e ritrovarsi in una situazione sconosciuta con altri pari è una prova che, una volta superata, non deve far dimenticare la necessità di anticipare e di pensare al rientro. Lo studente, lasciato solo con la propria esperienza, finisce spesso per sentirsi straniero in patria e non riuscire a condividere l’anno all’estero in ambito familiare. Questa sindrome Erasmus, tra depressione e idealizzazione, è assolutamente normale sempre che non duri più di qualche settimana. In realtà la malinconia del rientro è come se segnasse l’ingresso nell’età adulta e la perdita di un mondo ideale. Tocca in parte anche alle università farsi carico del rientro dei propri studenti, accompagnandoli in questa fase di passaggio senza la quale l’esperienza può diventare un disastro. Ruolo degli adulti è quello di aiutare i ragazzi a crescere.

Nel cercare di trovare un equilibrio emozionale, si può anche provare a rendere il dolore meno acuto per esempio continuando a viaggiare, mantenendo i contatti anche a migliaia di chilometri di distanza, oppure entrando in un’associazione Erasmus per conoscere gli stranieri che arrivano nella propria città o progettando l’obiettivo di una futura esperienza all’estero magari di specializzazione o lavorativa.

a cura della dott.ssa Laura Gazzella