Sviluppo e importanza dell’intelligenza emotiva: teorie e applicazioni

A cura della Dott.ssa Eloisa Ticozzi
Abstract
Freud agli inizi del Novecento spiegava che le emozioni indesiderate, nel saggio “Al di là del principio di piacere” (1920), non avevano accesso alla coscienza, ma restavano nell’inconscio. Tutto questo portava all’Angoscia (Freud S.,1978) al fine di rimuovere il sentimento indesiderato.
Per Freud le emozioni restano in un terreno sommerso, non esplorato, avendo un loro linguaggio nascosto e da decifrare : appartengono quindi all’inconscio, separato dalla nostra parte razionale. Freud fa riferimento alla sulla teoria delle pulsioni, ipotizzandone l’esistenza di due classi: le pulsionisessualie le pulsioni dell’io.
Secondo questo approccio, le pulsioni sono stimoli interni che influenzano il comportamento dell’individuo e lo spingono a determinate azioni, caratterizzate ognuna da tre elementi: una fonte, una meta ed un oggetto. Non era ancora stata postulata la definizione e la concezione di Intelligenza emotiva trattata da Goleman (1996), secondo il qualequesta intelligenza sarebbe “la capacità di motivare se stessi, di perseguire un obiettivo nonostante le sconfitte, di controllare gli impulsi e di rimandare lagratificazione, di modulare i propri stato d’animo, di essere empatici e di sperare”.
Egli riprende la concezione dell’intelligenza di Gardner (1987) la quale veniva suddivisa in forma intrapersonale (riferita a sé stessi) e la forma interpersonale (riferita agli altri, alla società e all’ambiente). Goleman (1996) descrive cinque pilastri dell’intelligenza emotiva: l’autoconsapevolezza, l’auto- regolazione, la motivazione, l’empatia e la gestione delle relazioni.
Gli individui con alessitimia, e con disturbo autistico, non riescono a comprendere le proprie emozioni e quelle altrui: essi non si relazionano con l’ambiente esterno non riuscendo a empatizzare con l’altro (Taylor , 1984)(Baron-Cohen et. al., 2009).
Goleman afferma che l’intelligenza emotiva possa essere appresa durante tutti i periodi della vita, a differenza del QI che ha una componente innata. I sentimenti e le emozioni, influenzano il mondo, le leggi e le decisioni che l’individuo elabora, permettendoci di relazionare con l’ambiente sociale tramite la condivisione e l’empatia.
Il metodo razionalista ha considerato le emozioni subalterne all’ aspetto cognitivo-razionale, invece alcuni studi dimostrano quanto esse siano affidabili e accurate (Gigerenzer, 2007; Gigerenzer, Hoffrage, & Goldstein, 2008). Gli individui con un’intelligenza emotiva molto sviluppata riescono a correggere strutture di pensiero disfunzionali (Epstein S., 1998); essi riescono a modulare il pensiero e il suo impatto sulle emozioni; mentre coloro che hanno una bassa capacità emotiva tendono a rimuginare in modo improduttivo su antecedenti e conseguenze dei loro problemi. Un legame di attaccamento sicuro è quel legame che permette al bambino di stabilire una connessione emotiva ed empatica con la madre, sviluppare e maturare i propri sentimenti e le proprie emozioni già dalle prime fasi della vita (Bowlby,1979).
In seguito il bambino esplorerà l’ambiente alla ricerca di “altri”, potenziando e modellando la sua intelligenza emotiva sulla loro disponibilità e sulla loro sintonia affettiva. Trevarten ipotizza una sorta di intelligenza interpersonale del neonato, una potenzialità specifica ad entrare in relazione col mondo esterno e se stesso, il vero nucleo della coscienza (Trevarthen C, 1998). Nella EFT (terapia focalizzata sulle emozioni), la relazione stessa tra paziente e terapeuta produce un effetto di regolazione delle emozioni grazie ai processi di attaccamento e al coaching emozionaledel terapeuta (Greenberg, 2015) in una diade reciproca, che rispecchia la diade tipica alla nascita (madre-neonato).
CAPITOLO 1
1.1 UN PO’ DI STORIA: TEORIA DELLE PULSIONI PER FREUD
Per Freud i sentimenti negativi non vengono rielaborati dalla coscienza e quindi non giungerebbero alla consapevolezza, generando ansia e angoscia. Un sentimento o un ricordo spiacevole può essere quindi negato o rimosso.Il bambino viene definito “un perverso polimorfo” perché cerca sempre la gratificazione immediata e il piacere (S. Freud, 1920) in quanto quest’ultimo sottitende all’Es, la parte inconscia.
Quando un evento è spiacevole, si palesa attraverso l’Angoscia segnale, che è una sensazione spiacevole e pervasiva. Secondo Freud esistono diverse strategie per allontanare la sensazione negativa. La rimozione si attua quando un impulso indesiderato non arriva alla coscienza, permanendo nella parte inconscia dell’individuo. La formazione reattiva si realizza quando i sentimenti intollerabili vengono rimpiazzati dal loro esatto contrario. La negazione si attua quando viene esplicato il rifiuto di una parte spiacevole della realtà attraverso la fantasia. La proiezione avviene quando l’individuo riferisce un proprio desiderio ad un’altra persona. Il rivolgimento contro il Sé si attua quando l’individuo riferisce contro se stesso un impulso o istinto provato nei confronti di un’altra persona; sottintende a comportamenti autolesivi.
L’osservazione di sé e la capacità autoriflessiva aiutano l’individuo nell’allargare il campo delle proprie osservazioni. Freud nel 1915 analizzava che la vita inconscia e i sentimenti non sempre raggiungono la consapevolezza necessaria ad attuare un cambiamento psicologico: le emozioni fanno parte di un nucleo appartenente all’inconscio (attraverso il linguaggio dei sogni e dei lapsus), separato in modo netto dalla parte mentale, la parte conscia dell’uomo. Per Freud le emozioni restano in un terreno sommerso, non esplorato, avendo un loro linguaggio nascosto e da decifrare: per spiegare il concetto “emozioni”, lo psichiatra si riferisce spesso al termine “pulsioni”.
Freud fa riferimento alla sulla teoria delle pulsioni, ipotizzandone l’esistenza di due classi: le pulsionisessuali e le pulsioni dell’io. In questa teoria, le pulsioni sono stimoli interni che influenzano il comportamento dell’individuo e lo spingono a determinate azioni, caratterizzate ognuna da tre elementi: una fonte, una meta ed un oggetto. La fonte di ogni pulsione ha un’origine interna specifica, di natura biologica o fisiologica , che provoca uno stato di tensione interna che spinge l’individuo verso una meta, allo scopo di scaricare la tensione. L’oggetto della pulsione, invece, rappresenta sia il fine che il mezzo attraverso il quale la pulsione raggiunge la sua meta; può trattarsi di una persona, di un oggetto reale o fantasmatico. Delle pulsioni dell’Io fanno parte la fame, la sete, l’aggressivitàe tutti gli impulsi rivolti alla relazione e al comportamento con gli altri, come esercitare potere, attaccare e fuggire.
1.2 INTELLIGENZA EMOTIVA E SENTIMENTI PER GOLEMAN
Salovey e Mayer nel 1990 definiscono l’intelligenza emotiva come “ L’abilità di controllare i sentimenti propri e degli altri , incanalandoli a guidare i propri pensieri e le proprie azioni”(Lo Presti, Quadernucci B., 2004).
Per Goleman l’intelligenza emotiva è la capacità di autodeterminarsi e di sintonizzarsi attraverso l’empatia e l’autoconsapevolezza, dirigendo i nostri sentimenti in rapporto alla società e all’ambiente che ci circonda. L’intelligenza emotiva è un’abilità anche sociale, perché ci permette di relazionarci e di sintonizzarci con il mondo circostante. Può essere interpretata anche in termini metacognitivi come una riflessione finalizzata all’autoconsapevolezza alla conoscenza di sé.
Goleman (1996) distingue cinque aspetti fondamentali che regolano l’intelligenza emotiva: l’autoconsapevolezza, il controllo e la regolazione delle emozioni, la motivazione, l’empatia e la gestione delle relazioni.
Il primo pilastro è la Conoscenza delle proprie emozioni attraverso l’autoconsapevolezza, la loro conoscenza globale e analitica. Goleman riconosce tre funzionamenti emotivi tramite il quale gli individui gestiscono e riflettono sulle proprie emozioni. La persona autoconsapevole è autonomo nel gestire e capire i propri limiti; hanno una prospettiva positiva verso la vita e la sua vita interiore appagata e ricca lo aiuta a gestire le emozioni. Il sopraffatto è colui il quale non è distaccato dalla realtà e dai propri sentimenti e non è consapevole del tutto delle proprie emozioni. Il rassegnato è consapevole ma subisce i sentimenti passivamente; egli accetta i sentimenti negativi, pur non riuscendo a modificarli.
Controllo e regolazione proprie emozioni: è la capacità di controllare i sentimenti in modo che siano consoni a una data situazione. I sentimenti negativi e positivi coesistono e sono regolati in un equilibrio omeostatico interno.
Motivazioni di se stesso: tutto quello che spinge l’individuo a perseguire uno scopo o un fine. Seligman (1996) definisce il pensiero positivo una forma di ottimismo flessibile, la capacità di prevedere la realtà in termini realistici e con cautela. Il pensiero positivo è connesso all’autoefficacia. Bandura (2000) la definisce come la credenza circa le proprie capacità al fine di regolarle verso gli scopi prefissati. L’autoefficacia è correlata a sua volta al concetto di sé: il sé materiale contiene informazioni sul corpo e dell’ambiente; il sé sociale racchiude i pensieri o le credenze che la società ha dell’individuo; il sé spirituale è l’autoconsapevolezza, i valori, le motivazioni, gli interessi .
Empatia: è la sintonizzazione emotiva partecipe agli altri e a se stessi. Stern (1987) definisce la sintonizzazione quella percezione che il bambino dovrebbe possedere dopo gli otto mesi. La capacità di entrare in contatto con il caregiver e di sentirlo poi infine come qualcosa di diverso da sé nel processo di separazione.
Gestione delle relazioni: sono le abilità sociali tramite le quali l’individuo gestisce le proprie emozioni in riferimento agli altri.
1.3 INTELLIGENZA EMOTIVA COME FATTORE PROTETTIVO
L’intelligenza emotiva è definita la competenza di identificare, monitorare ed esprimere le emozioni, differenziarle fra loro, capirne la loro struttura complessa. L’intelligenza emotiva può contribuire a risolvere gli eventi negativi con successo, vale a dire, nell’educazione (Zeidner M., et al., 2002), nell’intervento clinico (Matthews G. et al, 2002) e nell’attività lavorativa.
Gli individui con un’intelligenza emotiva molto sviluppata riescono a correggere strutture di pensiero disfunzionali (Epstein S., 1998); essi riescono a modulare il pensiero e il suo impatto sulle emozioni; mentre coloro che hanno una bassa capacità emotiva tendono a rimuginare in modo improduttivo su antecedenti e conseguenze dei loro problemi. Inoltre individui con risorse emotive, si avvalgono del supporto sociale. La riparazione emotiva è una delle componenti della IE che è alla base di un coping adattativo (Salovey P. et al., 2000). Per riparare stati emotivi negativi, si possono usare strategie finalizzate alla distrazione mentale, impiegandosi in attività piacevoli.
Pennebaker (1997) sostiene che nel semplice atto di rivelare esperienze personali, ad esempio attraverso la scrittura, migliora il benessere psicofisico. L’individuo può strutturare quindi le esperienze emotive dandole un significato preciso secondo un senso logico e compiuto. Si definisce coping, lo sforzo dell’individuo per controllare, regolare le situazioni che eccedono le sue risorse. Il coping può minimizzare l’impatto sullo stress e alleviare le conseguenze negative. Il coping ha tre funzioni protettive: eliminare le condizioni che danno problemi, reinterpretare i significati cruciali in modo da neutralizzare lo stress e gestire le conseguenze nei limiti delle proprie risorse.
Lazarus e Folkman (1984) distinguono due categorie principali di coping: l’emotion-focused cerca di regolare il distress modulando lo stato emotivo; il problem-focused è rivolto verso il mondo esterno e si riferisce ai comportamenti razionali per risolvere il problema.
2.1 UN ATTACCAMENTO SICURO POTENZIA L’INTELLIGENZA EMOTIVA
Quando i bambini sono piccoli, sono alla ricerca di nuove esplorazioni e sensazioni, imparano in modo veloce e duttile (Le Doux,1996). Nell’infanzia si assiste a uno sviluppo nervoso veloce: i neuroni ricercano nuove sinapsi, sviluppi e ramificazioni. Goleman afferma che l’intelligenza emotiva possa essere appresa in qualunque periodo della vita, a differenza del quoziente intellettivo che è in parte innato,e aumenta proporzionalmente alla consapevolezza dei nostri stati d’animo attraverso la fiducia, la curiosità, l’intenzionalità , l’autocontrollo, la connessione con gli altri, la capacità comunicativa e la capacità di cooperazione.
L’intelligenza emotiva può essere sviluppata nella prima infanzia grazie a un legame di attaccamento saldo e organizzato e di una madre “sufficientemente buona”, che permetta al bambino di esplorare il mondo, ma sia anche una presenza costante.
Vengono descritti da Bowlby (1978) quattro stili principali di attaccamento: sicuro, insicuro-evitante, insicuro-ambivalente, disorganizzato. L’attaccamento sicuro è quel legame che permette al bambino di esplorare il mondo, pur sapendo che potrà fare affidamento sulla madre. Il bambino potrà distaccarsi dal caregiver per brevi periodi, riponendo fiducia nelle proprie capacità e nella protezione della madre. Nell’infanzia si sviluppa un’empatia condivisa fra madre e bambino; in questa diade costituita da parole e da gesti, il bambino consolida i propri sentimenti, impara a comunicare, quindi a parlare, inizia a esplorare l’ambiente e a conoscere gli oggetti, ma soprattutto imparerà a relazionarsi gradualmente con persone differenti dalla madre in un modo sempre più personale e svincolato dalla figura d’origine. Il bambino svilupperà quindi, attraverso le sue esperienze e la sua comunicazione, una forma di intelligenza emotiva, condivisa solamente dalle persone scelte da lui.
2.2 INTELLIGENZA EMOTIVA NELLA DIADE MADRE-BAMBINO
La ricerca in ambito evolutivo ha evidenziato che la nostra è una mente relazionale (Shore A., 2003; Siegel D, 1999); il termine intersoggettività (Carli L. et al., 2007) è alla base della capacità degli individui di relazionarsi ed è individuata nella diade madre-bambino.
Meltzoff ha studiato la capacità imitativa del bambino a partire dalla nascita e lungo il primo anno di vita, concludendo che l’imitazione è un processo attraverso il quale il Sé acquisisce qualcosa dall’altro (Meltzoff et al., 1995). L’imitazione precoce, è stata notata già poche ore dopo la nascita, questo consente di ipotizzare una forma di rappresentazione primaria o pre-simbolica. Trevarten ipotizza una sorta di intelligenza interpersonale del neonato, una potenzialità specifica ad entrare in relazione col mondo esterno e se stesso, il vero nucleo della coscienza (Trevarthen C, 1998). L’ipotesi che i bambini siano dotati di un cervello emotivo comunicativo (Damasio A. 2004), è sostenuta dalla constatazione della capacità dei neonati di riconoscere mutazioni del tono della voce, dei movimenti della testa e delle mani del caregiver, rispondendo e regolandosi nel miglior modo possibile. Molti studiosi si sono chiesti come il bambino possa comprendere che ciò che viene rimandato è l’emozione, da lui stesso enfatizzata. Il caregiver marca quindi in modo saliente le proprie manifestazione di rispecchiamento emotivo per differenziarle dalle emozioni del bambino. Winnicott aveva intuito che “il bambino vede se stesso nel volto della madre”.
CAPITOLO 3
3.1 LA DIFFICILE CONDIVISIONE DELLE EMOZIONI
Secondo Damasio (2005), le emozioni sono dei “marcatori somatici” che ci indicano ciò che “vogliamo” fare. Gli approcci razionali al decision making si basano sulla “teoria dell’utilità” e postulano che le persone, dopo aver valutato tutti i dati a loro disposizione, prendano una decisione effettuando un compromesso fra eventi facilitanti e svalutativi.
Contrariamente a quanto sostiene il modello razionalista secondo il quale le reazioni “viscerali” sono considerate scarsamente valide e affidabili , alcuni studi invece dimostrano come queste siano molto efficaci, immediate e accurate (Gigerenzer, 2007; Gigerenzer, Hoffrage, & Goldstein, 2008). Persino alla base dei giudizi morali o etici non si trovano ragionamenti sempre particolarmente complessi, quanto piuttosto valutazioni emotive o intuitive (Haidt, 2001; Keltner, Horberg, & Oveis, 2006).
Le reazioni viscerali, vale a dire le emozioni, sono alla base di quello che è il mondo e l’ambiente, seppur in maniera inconscia. Le emozioni ci aiutano a relazionarci con gli altri, grazie alla “teoria della mente” socialmente condivisa. Chi è affetto da sindrome di Asperger o da autismo non riesce però a valutare accuratamente le emozioni altrui, emettendo comportamenti impacciati e disfunzionali nella relazione con le altre persone (Baron-Cohen et. al., 2009). Le persone autistiche non riescono a immedesimarsi nell’altra persona, sia in modo volontario (Simulazione standard), sia in modo involontario (Simulazione Incarnata), secondo alcuni studi sui neuroni specchio (Rizzolatti, 1990). L’incapacità di riconoscere le emozioni e di etichettarle, differenziarle e collegarle agli eventi prende il nome di “alessitimia”, condizione associata ad abuso di sostanze, disturbi alimentari e disturbi di personalità (Taylor, 1984). L’alessitimia è l’incapacità di riconoscere i propri e altrui stati emotivi, non differenziando tra i propri sintomi somatici e quelli psichici; inoltre coesistono in questo disturbouna difficile relazione all’ambiente circostante e una scarsa empatia instauratasi con l’altro. Inoltre l’individuo alessitimico ha un pensiero impoverito e poco incline al simbolo e all’immaginazione, sembrerebbe ancorato a una realtà pratica ma tuttavia afinalistica.
3.2 TERAPIA FOCALIZZATA SULLE EMOZIONI
La terapia focalizzata sulle emozioni (EFT; Emotion-Focused Therapy) è una terapia umanistico-sperimentale, supportata empiricamente, che attinge dalla teoria dell’attaccamento, dalla scienza connessa al proprio vissuto emotivo e dal concetto di intelligenza emotiva (Greenberg, 2015). Nella EFT, la relazione stessa tra paziente e terapeuta produce un effetto di regolazione delle emozioni grazie ai processi di attaccamento (Greenberg, 2015).
In questa terapia, si fa uso di modalità come l’accettazione, il contatto con il momento presente, la consapevolezza non giudicante (mindfulness), l’empatia e l’attivazione di processi di attaccamento oltre al coaching emozionale del terapeuta. Sia il terapeuta che il paziente condividono delle esperienze e delle sensazioni in una speciale diade di rapporto reciproco, riproducendo la diade antica madre-bambino alla nascita.
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