Tecnologia e benessere lavorativo: realtà o illusione?

A cura di: Valentina Vellano

INTRODUZIONE

Quando si parla di benessere lavorativo si intende il benessere fisico e il benessere psicologico del lavoratore. Ciò è il risultato di un equilibrio fra le risorse che il lavoratore ha e le richieste che gli vengono fatte. Per risorse lavorative si intendono tutti quegli aspetti che sono funzionali per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, tutti quegli aspetti che diminuiscono i costi fisiologici e psicologici che sono associate a richieste lavorative e anche tutti quegli aspetti che favoriscono la crescita e lo sviluppo personale, come la possibilità di avere un buon supporto all’interno dell’ambiente lavorativo. Quando le risorse vengono meno o sono minori delle richieste che vengono fatte, si va a intaccare il benessere lavorativo e si crea quello che viene chiamato stress da lavoro correlato.

Quando si parla di stress in ambito lavorativo si fa riferimento al senso di fatica mentale, quel sentimento di affaticamento interiore e all’esaurimento sia psichico che fisico che si può verificare durante la giornata lavorativa oppure al termine di essa.

Alcuni anni fa le uniche situazioni che potevano essere dannose per il lavoratore erano di tipo fisico oppure dovute all’utilizzo di particolari sostanze. Al giorno d’oggi questo tipo di pericoli sono stati annullati da misure di sicurezza e sono emersi dei fattori di rischio per la salute del lavoratore differenti che si basano su un carico di stress a livello psicologico più che fisico. Nasce quindi quello che viene chiamato burnout o stress da lavoro correlato, ovvero un esaurimento delle risorse psicofisiche del lavoratore che porta alla manifestazione di sintomi psicologici negativi come demoralizzazione, apatia, che potrebbero scaturire in problematiche fisiologiche.

Sono emerse, inoltre, nuove problematiche legate allo stress date da nuovi modi di lavorare: lo smart working, ad esempio, ha permesso di poter lavorare anche comodamente da casa e di poter meglio gestire il tempo lavorativo, ma d’altro canto ha fatto sì che si annullasse il netto separamento da quella che è la vita privata da quella lavorativa. Tutto ciò ha portato a generare un nuovo tipo di stress, chiamato tecnostress, ovvero un tipo di stress dovuto all’utilizzo della tecnologia.

In questo contesto la sfida per le aziende è saper gestire tutti quei fattori che possono diminuire il carico di stress lavorativo e quindi garantire il benessere all’interno del posto di lavoro

1. Stress in ambito lavorativo/burnout

1.1 Di cosa si parla?

Nel corso del tempo il termine stress ha iniziato ad indicare, in maniera sempre più frequente, i resoconti negativi dell’esperienza lavorativa, andando a rilevare un senso di fatica mentale, sfinimento psicofisico e tensione interiore che possono presentarsi durante l’orario lavorativo oppure al termine di esso. Per un individuo il lavoro dovrebbe essere un modo con il quale soddisfare i propri bisogni ed affermarsi, ma nel lavoro moderno il lavoratore viene esposto a situazioni in cui questo tipo di benessere viene a mancare.

All’interno del mondo del lavoro sono anche cambiati i rischi a cui è sottoposto il lavoratore, in quanto negli anni passati erano prettamente di tipo fisico, chimico o biologico, invece al giorno d’oggi sono legati maggiormente alla sfera psicologica. Essendo essi legati alla sfera psicologica vengono chiamati rischi psico-sociali e sono relativi alla gestione del lavoro e al contesto ambientale e sociale in cui esso si svolge.

Questo tipo di rischio può causare conseguenze negative e gravi per la salute del lavoratore, chiamato stress lavorativo o distress, ma possiamo anche trovare un tipo di stress, chiamato stress positivo (eustress), che porta il lavoratore a rispondere in maniera positiva ed efficiente agli stimoli esterni (Cortese e Emanuel, 2016).

1.2 In che condizioni si genera?

Lo stress lavorativo si genera quando il lavoratore percepisce di non avere le capacità e le risorse per rispondere alle richieste lavorative, tutto ciò fa si che la produttività sia minore, che si generi turnover, incidenti e abbandono precoce del lavoro. Per andare a capire meglio le condizioni in cui si genera lo stress lavorativo dobbiamo andare a definire cosa sono le richieste lavorative e cosa sono le risorse lavorative.

Le richieste lavorative sono tutti quegli aspetti organizzativi o meno del lavoro che richiedono uno sforzo sia fisico che mentale e che comportano dei costi fisiologici o psicologici. Le risorse lavorative sono aspetti fisici, sociali e organizzativi del lavoro che vanno in funzione al raggiungimento di un obiettivo, riducono i costi fisiologici e psicologici associati a delle richieste lavorative e stimolano lo sviluppo e il miglioramento personale.

Secondo alcuni studi quando richieste e risorse non sono correlate in maniera positiva danno vita a indebolimento della salute, chiamato anche health impairment, perché il lavoratore non ha modo di recuperare le proprie energie e risorse e questo porta a una sensazione di stress che si manifesta con esaurimento emotivo, emicrania, ansia, disturbi a livello fisico, ecc..

Un altro processo a cui questo aspetto negativo dà vita è la scarsa motivazione, perché quando l’individuo non ha risorse e non riesce a far fronte alle richieste lavorative mette in atto dei comportamenti di protezione propria che vengono percepiti come uno stato di demotivazione.

Alcuni studi ci hanno portato a capire come sia importante che le richieste e le risorse vengono bilanciate in modo corretto, in modo tale non andare intaccare il benessere fisico e mentale del lavoratore e fare in modo che vengano tutelati gli obiettivi che il datore di lavoro pone. Un modo che il datore di lavoro ha per tutelarsi e valutare il rischio da stress lavoro correlato unito alla valutazione degli altri rischi legati all’attività lavorativa che si svolge.

Questa valutazione è stata resa obbligatoria dal decreto legislativo 81 del 2008 che ha recepito quanto stabilito nell’accordo europeo del 2004, che è stato sottoscritto dalle maggiori organizzazioni datoriali europee, nel quale sono stati introdotti per la prima volta i concetti di rischio psicosociale e stress da lavoro correlato, vengono anche definiti i criteri per la prevenzione di questi rischi (cortese e Emanuel, 2016).

2. Valutazione oggettiva e soggettiva dello stress in ambito lavorativo

La valutazione dello stress da lavoro correlato è divisa in due fasi, la prima fase è una valutazione oggettiva mentre la seconda prevede una valutazione soggettiva.

Nella prima fase si analizzano e rilevano tutti gli indicatori di rischio correlati allo stress lavorativo che sono oggettivi e verificabili attraverso un metodo di osservazione diretta e tramite una checklist. Se in questa valutazione non si rilevano elementi di rischio è sufficiente attivare un piano di monitoraggio, nel caso in cui si sia riscontrato esito positivo alla valutazione, occorre pianificare e delineare interventi correttivi e passare alla valutazione di tipo soggettivo.

La valutazione di tipo soggettivo si costruisce attraverso l’analisi delle percezioni che vengono condivise dai lavoratori, per fare ciò viene utilizzato un questionario strutturato oppure vengono fatte direttamente delle interviste ai lavoratori.

Tramite questo tipo di valutazione si vuole andare a indagare le condizioni lavorative, le risorse che lavoratori hanno, le richieste lavorative e tutte quelle percezioni che sono inerenti alla soddisfazione lavorativa oppure al Burnout (Cortese e Emanuel, 2016).

3. Stress in ambito lavorativo e smart working

Con la nuova concezione di lavoro, tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, si è del tutto rinnovato la natura del lavoro, andando a richiedere sempre di più un lavoro di tipo mentale e conoscenze specialistiche. Anche il lavoro più manuale, tramite l’utilizzo di macchinari, si è evoluto andando a generare nuovi agenti produttivi come robot, che cooperano con il lavoro umano, oppure l’intelligenza artificiale che è destinata a sostituirlo.

La tecnologia viene anche utilizzata per cambiare il modo di lavorare, un esempio eclatante è lo smart working, che in Italia ha iniziato essere una costante per molte aziende durante la pandemia del COVID. Secondo i dati del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, in piena pandemia oltre 1.800.000 lavoratori erano in smart working, mentre prima di essa i lavoratori in smart working erano pari a 187.000.

Si credeva che questo tipo di lavoro potesse migliorare la conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare, potesse incrementare la propria produttività, riducesse lo stress dello spostamento fisico per recarsi al lavoro e che riducesse i costi dell’utilizzo degli spazi delle aziende, ma purtroppo non è stato così perché ci sono stati molte più implicazioni negative rispetto a quelle positive (Avanzi, Fraccaroli, Vignoli, 2020).

Molti studi invece hanno evidenziato come questo cambiamento repentino degli spazi e delle tempistiche del lavoro possa condizionare, sia il futuro delle organizzazioni sia quello del lavoratore, infatti molte aziende hanno dovuto cambiare il luogo di lavoro senza avere il tempo necessario per attuarlo in maniera adeguata tramite fasi e obiettivi (Avanzi, Fraccaroli, Vignoli, 2020).

Lo smart working influisce sulla percezione del benessere e ne altera la percezione, in quanto il soggetto ha un’errata percezione dell’effettivo carico lavorativo che gli viene affidato, perché può svolgerlo comodamente da casa, in questo modo viene aumentata la conflittualità fra la vita lavorativa e la vita privata.

In questo contesto altri fattori importanti causa di stress sono: l’indebolimento delle relazioni interpersonali fra colleghi, della partecipazione emotiva, dell’interazione organizzativa e l’aspetto motivazionale. Lo stress principale deriva da un contesto lavorativo che viene privato di spazi idonei e di tempi ben definiti, il lavoratore non ha più il proprio spazio all’interno di un ufficio, non ho più nei tempi stabiliti (orario standard di inizio e fine lavoro) per svolgere la mansione lavorativa, si trova destabilizzato (Flamini, Palumbo, Pellegrini, 2020).

Si è andato a delineare un nuovo stress che è causato dall’utilizzo costante di strumenti tecnologici, chiamato tecnostress, dovuto all’eccessivo uso della tecnologia e all’insufficiente preparazione nell’uso di essa. Per andare a migliorare gli aspetti sopraccitati le aziende devono attuare soluzioni organizzative che favoriscono la conoscenza e l’utilizzo consapevole delle tecnologie, tramite corsi che mettono in guardia il lavoratore da tutti i possibili rischi che l’uso delle tecnologie e il lavoro in smart working possono rivelare.

3.1 effetti negativi dello smart working sull’equilibrio vita lavorativa e privata

Un lato negativo dello smart working è rappresentato dalla sovrapposizione degli impegni lavorativi e della vita privata con effetti negativi sulla capacità di gestire l’equilibrio tra impegni lavorativi e privati, in quanto vengono effettuati entrambi nello stesso luogo. Chi lavora da remoto può anche essere soggetto a sovraccarico eccessivo di lavoro, che se non viene gestito nella maniera corretta, porta ad assottigliare sempre di più la linea tra il tempo lavorativo e il tempo personale, portando il soggetto, in casi estremi, all’isolamento sociale (Flamini, Palumbo, Pellegrini, 2020).

Lo smart working porta ad un aumento dell’autonomia del lavoratore e del controllo che egli ha sulle proprie attività lavorative, infatti, da un lato la flessibilità dei vincoli spazio tempo è aumentata e il lavoratore ha sempre più autonomia di gestione lavorativa, in base agli obiettivi che ha da raggiungere, inoltre può decidere quando e come svolgere il proprio lavoro.

Questa situazione può essere una condizione ideale di lavoro per quelle persone che possiedono capacità di autogestione e organizzazione molto elevate, ma può essere deleterio per quelle persone che non hanno tale capacità, andando a minare su quello che è il benessere lavorativo del soggetto (Avanzi, Fraccaroli, Vignoli, 2020).

Un’altra problematica molto importante è quella dell’allontanamento dal contesto lavorativo, che sradica il lavoratore dal proprio postazione lavorativa rendendo difficile sentirsi parte delle dinamiche organizzative dell’azienda e ciò potrebbe deteriorare il rapporto fra il lavoratore e i colleghi, andando sempre a rinforzare l’isolamento sociale e professionale (Flamini, Palumbo, Pellegrini, 2020).

CONCLUSIONI

Il benessere lavorativo è un fattore molto importante da tutelare sia per le aziende sia per il lavoratore, in quanto se il lavoratore è immerso in un ambiente di lavoro sano che produce benessere sarà molto più produttivo rispetto a un lavoratore sotto stress.  Purtroppo non è in tutte le aziende ciò accade, infatti negli ultimi anni si possono trovare degli ambienti di lavoro molto tossici che creano continuamente fattori di stress, in cui il lavoratore non riesce a mantenere il proprio benessere psicologico.

Tutti questi fattori vengono accentuati dalle dinamiche del COVID che hanno portato la maggior parte delle persone a lavorare in smart working, ovvero un tipo di lavoro effettuato da casa, che ha portato conseguenze positive ma anche molte negative. In questo contesto sono stati creati metodi per andare ad analizzare e misurare il carico di stress legato al lavoro.

Per le aziende la sfida è cercare non solo di misurare questo carico ma di creare un contesto lavorativo in cui questo stress viene ridotto quasi a zero. La domanda che sporge spontanea è, questo tipo di controllo da parte delle aziende viene davvero effettuato?

Bibliografia

  1. Flamini, G., R. Palumbo, and Pellegrini, M. “Quando la digitalizzazione porta il lavoro a casa: le implicazioni del lavoro da remoto sul bilanciamento vita-lavoro e sul benessere lavorativo.” PROSPETTIVE IN ORGANIZZAZIONE (2020).
  2. Cortese, C. G., and Emanuel, F. “Stress e benessere lavorativo: una rilettura alla luce del modello richieste-risorse.” PERSONALE E LAVORO 584 (2016): 10-16.
  3. Avanzi, L., Fraccaroli, F. and Vignoli, M. “Luci e ombre dell’esperienza psicologica nello smart working.” (2021)