Transessualismo: il percorso di transizione in Italia

transessualismo

La possibilità di intraprendere un percorso di riassegnazione chirurgica e/o anagrafica del sesso è sancita, in Italia, da due riferimenti normativi: la legge n. 164 del 1982 e il decreto legislativo n. 150 del 2011. 

Sebbene si tratti di due testi ormai datati e consolidati, il percorso di transizione è ancora molto complesso e delicato, non solo per quanto riguarda l’aspetto “pratico” della questione, ma anche e soprattutto per quanto riguarda l’aspetto del riconoscimento sociale e della lotta ai pregiudizi e agli stereotipi legati a persone transgender e transessuali.

Cos’è il transessualismo

Il transessualismo (o transessualità) è la condizione di chi non si riconosce nel sesso che gli è stato assegnato alla nascita sulla base delle proprie caratteristiche biologiche e, per questo motivo, prende la decisione di trasformare il proprio corpo attraverso interventi di tipo chirurgico e/o farmacologico.

Per comprendere meglio questa situazione, è importante distinguere i concetti di sesso e genere: il primo, infatti, è determinato dalla connotazione fisica di un individuo (i suoi attributi sessuali, il suo patrimonio genetico, il suo quadro ormonale) e viene assegnato alla nascita; il secondo è, invece, legato alla sfera psicologica, emotiva e sociale dell’individuo e, per questo motivo, può anche differire da quello assegnato alla nascita.

Differenze tra transessualismo e transgenderismo

Sebbene i termini “transessualismo” e “transgenderismo” siano spesso usati erroneamente come sinonimi, i due concetti non sono del tutto sovrapponibili, in quanto fanno riferimento a due aspetti differenti della delicata e complessa tematica dell’identità di genere.

Con “identità di genere” si intende il genere (maschile, femminile o non-binario) in cui un individuo si identifica e a cui sente di appartenere, indipendentemente dal proprio sesso biologico. 

Si può distinguere, quindi, tra persone cisgender, ossia persone la cui identità di genere combacia con quella del proprio sesso biologico e persone transgender, ossia persone la cui identità di genere è diversa da quella assegnata alla nascita. Il termine transgender, a sua volta, indica una varietà di situazioni diverse:

  • persone con identità di genere opposta al proprio sesso biologico:
    • FtM (Female to Male): persone cui è stato assegnato il sesso femminile che si riconoscono nel genere maschile;
    • MtF (Male to Female): persone cui è stato assegnato il sesso maschile che si riconoscono nel genere femminile;
  • persone che si identificano in entrambi i generi (bigender);
  • persone che non si identificano in alcun genere (agender);
  • persone che si identificano in uno o entrambi i generi, ma non stabilmente (genderfluid).

Non tutte le persone transgender, quindi, si riconoscono nel genere opposto e, anche per questo motivo, non tutte sentono il bisogno di modificare il proprio corpo per raggiungere una congruenza tra le proprie caratteristiche fisiche/sessuali e la propria identità di genere.

Come funziona il percorso di transizione in Italia

Il primo passo per intraprendere un percorso di transizione in Italia è rivolgersi a psichiatra o uno psicoterapeuta per ottenere la corretta diagnosi di incongruenza di genere e iniziare una terapia ormonale sostitutiva volta a modificare le caratteristiche sessuali secondarie per far sì che si allineino con l’identità di genere della persona che li assume.

Una volta terminata la terapia ormonale o durante l’assuzione, è possibile iniziare il processo di “rettificazione di attribuzione di sesso”. La legge italiana prevede che la procedura si svolga in due passaggi: 

  • Nella prima fase, la persona transessuale presenta un’istanza al Tribunale della zona di residenza, (preferibilmente corredata da una perizia tecnica favorevole rilasciata da un perito accreditato presso il tribunale), per ottenere l’autorizzazione a ricevere il trattamento chirurgico necessario per la riassegnazione del sesso. Una volta ottenuta l’autorizzazione, tramite sentenza del tribunale, può, quindi, rivolgersi a una qualsiasi struttura ospedaliera per richiederne gli interventi chirurgici (penectomia, orchiectomia, vaginoplastica per le persone MtF, mastectomia, isterectomia, falloplastica o metoidioplastica per le persone FtM)
  • Nella seconda fase, la persona transessuale può rivolgersi nuovamente al Tribunale per ottenere la rettifica dei dati anagrafici (nome e sesso) indicati sui propri documenti ufficiali come, ad esempio: carta d’identità, passaporto, codice fiscale e tessera sanitaria, tessera elettorale, patente di guida, titoli di studio, licenze e certificati di proprietà. Nel caso di documenti già rilasciati e non rinnovabili (come, ad esempio, il diploma di laurea o di maturità), è possibile fare domanda all’Università o alla scuola superiore di produrre nuove pergamene originali con i dati anagrafici modificati, documentando la richiesta con la sentenza del tribunale.

Inizialmente, l’avvenuto intervento chirurgico di riassegnazione del sesso era considerata una condizione necessaria per ottenere il cambio di sesso anagrafico sui propri documenti. Tuttavia, grazie a una sentenza della Corte Costituzionale, da luglio 2017 è possibile fare richiesta al tribunale anche senza sottoporsi a trattamenti demolitivi e/o ricostruttivi. Secondo questa interpretazione, sostenuta dal Tribunale di Trento, infatti, l’intervento chirurgico dev’essere visto “non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico”.

In questo modo, la possibilità di rettificare i propri dati anagrafici è riconosciuta anche alle persone transgender che, pur non riconoscendosi nel proprio sesso biologico, non intendono modificarlo chirurgicamente.