Una Nuova Identità Sociale Virtuale per una Comunicazione 2.0

Una Nuova Identità Sociale Virtuale per una Comunicazione 2.0

A cura della Dott.ssa Ilaria Sutti

ABSTRACT

In questo articolo mi occupo di valutare l’impatto dell’uso di internet e della diffusione capillare dei Social Network sulla costruzione dell’identità, con particolare riferimento all’identità sociale. Lo sviluppo della tecnologia ha sicuramente svolto un ruolo chiave nel plasmare il mondo odierno. Dietro di essa è però possibile osservare un vero e proprio cambiamento del modo di pensare, di essere nel mondo, dell’etica sociale e psicologica.

In questo elaborato prendo prima di tutto in analisi i processi di creazione dell’identità personale e condivisa delle nuove generazioni, nell’ambito del concetto di identità in rete, al fine di comprendere come le attuali dinamiche di comunicazione e rappresentazione del sé incidano sulla formazione dell’io reale e virtuale. L’uso dei Social Network è oggi un appuntamento fisso nella vita degli individui e ciò suggerisce quanto essi siano diventati di fondamentale importanza per la gestione delle relazioni e interazioni con una rete ampia e spesso eterogenea di persone. Ciò ha portato la ricerca etnografica ad indicare che la comunicazione online possa integrare le relazioni esistenti nel mondo reale piuttosto che sostituirle. Viene quindi introdotta la nozione di capitale sociale, esaminando e sintetizzando i risultati delle ricerche che, in letteratura, hanno esplorato i collegamenti tra il capitale sociale e Internet e in particolare i meccanismi sottostanti la formazione dello stesso, che possono spiegare quale sia il contributo delle relazioni virtuali.

Questo lavoro di ricerca mira quindi a porsi in una prospettiva critica nei confronti delle trasformazioni sociali e tecnologiche più recenti, interrogandosi sul ruolo che possono aver svolto e tutt’ora continuano a ricoprire nella diffusione di una nuova tipologia di ambiente di comunicazione e relazione interpersonale, che alcuni ritengono impoverito dal punto di vista del supporto emotivo tra individui. Ci si domanda, altresì, se le tradizionali relazioni faccia a faccia possano non essere più sufficienti a garantire una percezione di sé completa, per cui serve costruire identità e legami virtuali ed uscire dai confini degli spazi fisici.

Introduzione – L’Identità Sociale Virtuale

Negli ultimi decenni siamo stati testimoni, attraverso il prisma della tecnologia, di un cambiamento nel modo di creare e percepire la nostra identità. L’imponente diffusione della tecnologia nella vita delle persone ha avuto effetti sul modo di sentire, pensare e relazionarsi, facilitando un cambiamento sia sociale che a livello individuale (Riva, 2012). Oggi, l’identità della e-generation, o nativi digitali, come sono stati definiti i ragazzi nati tra la fine degli anni novanta e i primi anni duemila (Manca, 2019), si costruisce soprattutto online, dove è possibile sperimentare con facilità la molteplicità e la diversità di quello che Sherry Turkle, nella sua opera Insieme ma soli, definisce itself, un nuovo stato del sé diviso tra lo schermo e la realtà fisica. È necessario, quindi, comprendere e accettare il fatto che per la e-generation l’esperienza reale del mondo e col mondo non è più solo quella nel mondo fisico, ma anche quella attraverso i media e nel progressivo sgretolarsi dei confini tra reale e virtuale la vita reale «non è che una finestra in più» tra quelle aperte ai margini del monitor di un computer (Turkle, 2019).

1. Identità 2.0

Nel corso della vita non smettiamo mai di lavorare sulla nostra identità; semplicemente, la rielaboriamo con il materiale a disposizione. Secondo Erikson, giocare con l’identità è il lavoro degli adolescenti, ed oggi essi lo svolgono utilizzando i molteplici materiali forniti dal virtuale. I mondi online chiedono costantemente di costruire, correggere e interpretare un sé. Ciò può avere luogo ogni volta che si crea un avatar oppure sui Social Network, dove il profilo stesso di una persona diventa una dichiarazione non solo rispetto a quello che si è come individui, ma anche a quello che si aspira ad essere (Turkle, 2019).

I giovani sono tra i primi a crescere con l’aspettativa di una connessione costante ed è rarissimo trovare un adolescente che, avendone la possibilità, non abbia un cellulare connesso alla rete. I dati riportati dall’Osservatorio Nazionale Adolescenza (2016), a seguito di una ricerca svolta su un campione di oltre 7.000 adolescenti di età compresa tra i 13 e i 19 anni, mostrano che il 95% degli adolescenti ha almeno un profilo sui Social Network, fino alla gestione parallela di 5-6 profili differenti e di 2-3 app di messaggistica istantanea; tra queste WhatsApp prevale sicuramente sulle altre, con ben il 98% degli adolescenti che la utilizzano per “parlare” con amici e parenti.

Osservando i dati non stupisce il fatto che, in una società sempre più basata sulla tecnologia e sull’immediatezza, sulla semplicità nel comunicare e nell’ottenere informazioni, si sia modificata la percezione stessa che si ha di questi strumenti digitali. Il messaggio di testo è diventato la prima scelta per la connessione. La comunicazione online non è più considerata un ripiego nel caso in cui il contatto faccia a faccia sia inattuabile, ma è diventata la preferenza. Tra i motivi plausibili c’è sicuramente il fatto che le conversazioni vis-à-vis possono essere difficili, spontanee, spesso imbarazzanti, improvvisate e caotiche e allora preferiamo l’alternativa.

La generazione dei nativi digitali è quella dei principali consumatori di tutto ciò che ruota intorno a uno smartphone ed è, allo stesso tempo, anche quella dei principali produttori di materiale digitale, perché i ragazzi creano costantemente nuovi modi di comunicare e di esprimere il loro mondo. Smartphone e app, soprattutto quelle di messaggistica istantanea come WhatsApp, o i social network, sono quindi parte integrante della loro vita, sono una protesi della loro identità (Manca, 2019). I ragazzi stanno online per il desiderio di restare in contatto con gli amici, per sapere cosa fanno, cosa postano o cosa stanno organizzando; per loro non c’è soluzione di continuità tra l’online e l’offline, tra gli amici reali e quelli virtuali.

Per gli adolescenti di oggi la rete è parte integrante dei processi di socializzazione, di conoscenza e di espressione di sé (Romano, 2017). Si può dire che stare online è un vero e proprio status. Per la maggior parte degli adolescenti, quindi, scrivere su WhatsApp significa a tutti gli effetti parlare con una persona, mettere un post o una foto su un profilo social significa comunicare quello che si sta facendo; “postare” o inviare la propria posizione sui Social Network o via chat significa riferire il luogo dove ci si trova senza bisogno di comunicarlo direttamente. Una volta che si usano i Social Network o le chat, diventa quindi scontato che le altre persone siano state messe a conoscenza (Manca, 2019).

Attraverso il digitale è possibile operare una continua sperimentazione, manipolando e de-costruendo i significati e i codici comunicativi, avvalendosi delle possibilità di interazione che i nuovi media offrono. La costruzione personalizzata di ambienti sociali, reti e spazi di navigazione online da parte dell’utente, che permette di annullare la barriera spaziale tra il soggetto e il mondo virtuale, fa sì che l’individuo proietti il suo io all’interno dell’artificialità della rappresentazione digitale e conseguentemente lo moltiplichi, lo frammenti e lo renda “fluttuante”. Gli anni della costruzione dell’identità, cioè quelli dell’adolescenza, riformulati in termini di scrittura dei profili, implicano quindi la negoziazione tra tutti i personaggi che rappresentano l’individuo nella sua vita online e l’individuo in carne ed ossa.

Secondo la Turkle:

Quando l’identità è così multipla la persona si sente “totale”, non perché sia una e completa, ma perché le relazioni tra i vari aspetti del sé sono fluide. Ci sentiamo “noi” se possiamo spostarci facilmente tra i vari aspetti del nostro sé.

(Turkle, 2019: 240).

Nell’ambito di una concezione dell’identità come multipla e fluida, parte del processo di scoperta di sé consiste quindi nella capacità di destreggiarsi all’interno del mondo online, tra tutti i profili che vengono creati; ciascuno dei quali mostra una parte diversa dell’essere.

Capitale Sociale Virtuale

La nascita di queste nuove tecnologie per le comunicazioni e quindi il fatto che le connessioni digitali abbiano integrato quelle sociali, fa sì che “l’identità totale” dell’individuo possa essere definita “identità condivisa” (Turkle, 2019). L’aspetto della condivisione con l’intera comunità digitale diventa parte integrante del processo stesso della sua creazione e quindi parte della nostra identità si plasma in relazione a come noi ci percepiamo attraverso lo sguardo altrui. In un mondo di condivisione costante qualsiasi aspetto dell’individuo, dalla costruzione dell’identità all’espressione delle emozioni, non viene pienamente vissuto finché non viene comunicato agli altri.

Quindi la tecnologia non determina, ma può incoraggiare, una sensibilità in cui i sentimenti e i pensieri possono formarsi «grazie ai commenti altrui» (Turkle, 2019: 217), al numero di amici o follower sui Social Network, ai “mi piace” che rappresentano il livello di popolarità e condizionano profondamente l’autostima e l’umore di molti adolescenti oltre, talvolta, a rinforzare la percezione del proprio valore. Si tratta di aspetti di forte rilevanza per quanto riguarda il lavoro di accettazione personale che essi fanno e in cui si trovano a dover fronteggiare il gap tra la realtà e le aspettative, sia proprie che altrui, alimentate dalla realtà virtuale.

È possibile analizzare da un punto di vista sociologico questa nuova modalità di costruzione della propria identità sociale, determinata dalla coesione dei mondi online e offline, a partire dalla definizione delle diverse tipologie di legame che si possono venire a creare tra gli individui. I sociologi fanno generalmente una distinzione tra due tipologie relazionali: i legami forti, cioè quelli con i familiari e gli amici più cari, e legami deboli, cioè i rapporti di conoscenza che ci aiutano nel lavoro e nella nostra comunità.

Facendo riferimento a ciò che scrisse Granovetter nell’articolo The Strength of Weak Ties (1973), anche nella vita in rete è possibile distinguere tra due forme di attività sociale online: in primo luogo, Internet può servire a mantenere o intensificare i legami sociali esistenti con amici e parenti; in secondo luogo, può essere utilizzato per mantenere i legami con i conoscenti o creare nuovi legami con i conoscenti virtuali. In altre parole, la comunicazione mediata dal computer può essere utilizzata per rafforzare legami forti, ma anche per espandere legami deboli.

I Social Network dove si “aggiungono” amici più che fare amicizia, possono essere considerati mondi in cui vengono celebrati i legami deboli; la comunicazione mediata dal computer ci consente di abolire la distanza e quindi facilita le interazioni “molti-a-molti”. Da un punto di vista sociologico è possibile affrontare il discorso in termini di capitale sociale esaminando il modo in cui l’uso di Internet influenza la formazione e il mantenimento dello stesso.

Il capitale sociale è un concetto ampiamente discusso tra gli scienziati sociali, eppure comprende un insieme così complesso di variabili che non rendono possibile attribuirgli un significato singolare o un singolo strumento di misurazione. Un punto di partenza comune è la definizione di Bourdieu:

L’aggregato delle risorse effettive o potenziali che sono collegate al possesso di una rete duratura di relazioni più o meno istituzionalizzate di conoscenza reciproca e riconoscimento.

(Bourdieu, 1985).

In altre parole, il capitale sociale è la somma delle risorse a cui una persona è in grado di attingere a seguito di connessioni sociali con altri individui. Sono perciò individuabili varie dimensioni del capitale sociale associate a diversi tipi di relazioni; in particolare, in letteratura è stata fatta una distinzione tra capitale bonding (capitale di legame) e capitale bridging (capitale ponte) (Adkins, 2009).

Partendo da questo concetto è possibile ridefinire la concezione di legame definita da Granovetter; il “capitale di legame” è il prodotto di legami sociali forti: relazioni affiatate che si basano su somiglianza, intimità e contatti frequenti, come quelli tra familiari e amici intimi (Granovetter, 1973). Questi tendono ad essere caratterizzati da connessioni omogenee ed esclusive che generano quella che Coleman (1988) ha definito “thick trust” tra individui che condividono simili credenze e opinioni.

Il capitale di legame offre quindi il massimo in termini di supporto emotivo. Al contrario il “capitale ponte”, che deriva dalle connessioni tra reti diverse, è il prodotto dei legami deboli che si creano quando persone di diversa estrazione entrano in relazione tra loro (Granovetter, 1973). I legami deboli tendono a essere socialmente eterogenei e meno costosi da mantenere rispetto a quelli forti e hanno quindi meno probabilità di offrire supporto emotivo. Tali connessioni generano una “thin trust” che è più inclusiva di una vasta gamma di persone (Coleman, 1988).

L’uso di Internet è diventato parte integrante della vita quotidiana come luogo di scambio sociale e le relazioni faccia a faccia non sono più considerate come l’unico modo possibile di comunicazione. La partecipazione alla vita sociale non è più limitata ai confini degli spazi fisici, quindi l’esame delle tendenze della rete e la produzione di capitale sociale non dovrebbe escludere l’interazione con Internet (Adkins, 2009).

Incontrare nuove persone online sembra essere una caratteristica prevalente delle giovani generazioni, la e-generation (Manca, 2019) per la quale l’uso di Internet e dei materiali che i mondi online offrono sono fondamentali per la creazione e la percezione dell’identità. Di conseguenza, i giovani potrebbero avere un capitale sociale composto da legami più deboli e una rete sociale più scarsamente unita rispetto alle generazioni precedenti.

La diversa proporzione di legami forti e deboli nel capitale sociale dei giovani utenti di Internet potrebbe influire sulla loro capacità di ottenere supporto e sostegno sociale ed emotivo, forniti dai legami forti. D’altra parte, potrebbe portare ad ottenere l’accesso a più informazioni, risorse o opportunità di lavoro, fornite dai legami deboli (Granovetter, 1973). In questo modo, collegando individui e gruppi ad altri al di fuori delle proprie reti sociali, quello che Coleman ha definito “capitale ponte” può migliorare la capacità delle persone di mobilitare risorse e aumentare l’impegno personale per il benessere della comunità, incoraggiando il compromesso e la cooperazione, promuovendo il superamento della distanza sociale e la riduzione dell’antagonismo tra gruppi diversi (Adkins, 2009).

In Conclusione

In un mondo in cui la connessione digitale rappresenta un aspetto integrato della vita quotidiana delle persone e non c’è più discontinuità tra l’esperienza online e offline, è necessario definire un nuovo modo di concepire e costruire la propria identità. I modi in cui i giovani percepiscono il mondo esterno e le circostanze sociali attuali, oltre che il loro posto all’interno di questa dimensione collettiva, vanno attentamente esplorati.

Utilizzare lo smartphone come una sorta di protesi del proprio corpo porta progressivamente a minimizzare, fino a far scomparire, il distacco tra l’identità rappresentata, cioè quella che si costruisce online, e l’identità “effettiva”. Il sé che una persona si costruisce nella rete, quando crea un avatar o un profilo social, non è qualcosa di assolutamente estraneo all’individuo. Allo stesso modo l’agito online, anche se talvolta molto diverso da quello nella vita offline, non per questo è meno reale (Turkle, 2019).

Ormai è necessario smettere di pensare ad Internet come una realtà alternativa, ma iniziare a viverla come una realtà accresciuta. Non c’è il mondo reale da una parte e quello virtuale dall’altra. La rete è ormai il luogo in cui accade la maggior parte delle cose che hanno una ricaduta sulla nostra vita reale, e gran parte di quello che facciamo lo facciamo comunicando e condividendo. Quindi, partendo dal fatto che il fine ultimo del mondo digitale è supportare e aumentare la nostra esistenza interconnessa, creando occasioni d’incontro e interazione, è compito di tutti comprendere la grammatica di questa realtà per muoversi al suo interno con consapevolezza.

Bibliografia

Adkins, A. M. (2009). Myspace, facebook, and the strength of internet ties: online social networking and bridging social capital (Doctoral dissertation). University of Akron, Akron, Ohio.

Bourdieu, P. (1985). The Social Space and the Genesis of the Group. Theory and Society, 14(6), 723?744.

Coleman, J. S. (1988). Social capital and the creation of human capital. The 39 American Journal of Sociology, 94 (Supplement). S95?S120.

Cooley, C. H. (1963). L’organizzazione sociale. Milano: Comunità (testo originale del 1909).

Granovetter, M. (1973). The Strength of Weak Ties. American Journal of Sociology, LXXVIII, n.6, 1360-80.

Manca, M. (a cura di) (2016). Generazione hashtag. Gli adolescenti disconnessi. Roma: Alpes Italia.

Riva, G. (2012). Psicologia dei nuovi media. Bologna: Il Mulino.

Romano, R. G. (2017). Famiglia, scuola e mondo virtuale. Come la Rete sta modificando le dinamiche familiari e scolastiche. Annali online della Didattica e della Formazione Docente, 9(13), 90-106.

Turkle, S. (2016). La conversazione necessaria. La forza del dialogo nell’era digitale. Torino: Einaudi.

Turkle, S. (2019). Insieme ma soli. Torino: Einaudi (testo originale del 2011).