Giornata mondiale della salute mentale materna: l’importanza del benessere psicologico delle madri

Ogni anno, il primo mercoledì di maggio si celebra la Giornata Mondiale della Salute Mentale Materna, istituita nel 2016, il mese dedicato ai temi di salute mentale.

Questa data rappresenta un’importante occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di preservare il benessere psicologico delle madri e promuovere la prevenzione, diagnosi e cura dei disturbi psichici perinatali. Inoltre, la giornata mira a sollecitare le istituzioni affinché intensifichino le misure di supporto tempestivo ed efficace per le donne e le loro famiglie.

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Salute mentale materna e benessere del bambino

Oggi sappiamo che il benessere psicologico della madre è strettamente correlato con quello del bambino. Solo tutelando la salute mentale della donna è possibile garantire quella del bambino.

Recenti studi dimostrano che lo stress prolungato durante la gravidanza e il post-partum può alterare i profili di alcuni parametri ematochimici materno-fetali, con conseguenze sulla salute mentale della madre e sullo sviluppo emotivo, cognitivo e relazionale del neonato. Anche il momento del parto può essere determinante: un’esperienza negativa può lasciare un segno profondo nel vissuto personale della neomamma. Inoltre, è stato dimostrato che le donne che subiscono un trauma durante il parto hanno maggiori possibilità di sviluppare una depressione perinatale.

La violenza ostetrica in Italia

In Italia, la mortalità e morbilità materna e neonatale sono tra le più basse in Europa, ma il tasso di tagli cesarei e di medicalizzazione del percorso nascita è uno dei più alti al mondo.

Nel 1985, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha emesso una serie di raccomandazioni sulla gestione del travaglio, del parto e del post-partum, aggiornate nel 2018, per definire le pratiche appropriate ed efficaci, e quelle sconsigliate o addirittura dannose. Tuttavia, ancora oggi molte strutture sanitarie, sia in Italia che nel resto del mondo, non rispettano le raccomandazioni dell’OMS, ma seguono protocolli obsoleti, fornendo assistenza meccanica, invasiva e spesso non rispettosa delle volontà e dei diritti delle madri.

Il parto, troppo spesso, viene affrontato con un approccio seriale e disumanizzato, soprattutto a causa della carenza di personale medico e infermieristico in Italia e in molti altri Paesi del mondo.

Le donne smettono di essere considerate come individui e vengono trattate secondo procedure standardizzate, a volte invasive e dannose. Quando vengono violati i diritti umani delle donne, ad esempio con la medicalizzazione eccessiva, la somministrazione di cure o farmaci senza il loro consenso o la mancanza di rispetto per la loro persona e volontà, si può parlare di violenza ostetrica.

La violenza ostetrica è un insieme di comportamenti che violano i diritti sessuali e riproduttivi delle donne e costituiscono un grave rischio per la loro integrità fisica e mentale.

Si verifica spesso durante il percorso nascita, ma può verificarsi in qualsiasi fase della vita femminile. La prima legge che definisce la violenza ostetrica come reato è stata introdotta in Venezuela nel 2007.

La violenza ostetrica è un fenomeno molto diffuso e grave che può avere un impatto negativo sulla salute fisica e mentale delle donne. Essa si manifesta attraverso comportamenti e atteggiamenti che violano la libertà di scelta delle donne riguardo alla loro salute riproduttiva e sessuale, e può includere l’eccesso di interventi medici, la prestazione di cure e farmaci senza il loro consenso, e la mancanza di rispetto per il loro corpo e le loro decisioni.

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Le pratiche non raccomandate dall’OMS

L’OMS ha pubblicato un documento ufficiale nel 2014 sulla prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere.

Tra le pratiche non raccomandate dall’OMS perché considerate innecessarie e capaci di generare disagio o sofferenza si trovano:

  • il clistere;
  • la depilazione del pube;
  • il divieto prolungato di assumere cibo o bevande;
  • l’impossibilità di scegliere la posizione preferita durante il travaglio e il parto;
  • il taglio precoce del cordone ombelicale;
  • la separazione del neonato dalla mamma subito dopo la nascita.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inoltre definito una serie di comportamenti che possono essere considerati traumatici per le donne durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere. Questi includono abusi fisici e verbali, umiliazione, procedure mediche coercitive o non autorizzate, la sterilizzazione forzata, la mancanza di riservatezza, la mancanza di un consenso realmente informato, il rifiuto di offrire terapie per il dolore, la violazione della privacy, il rifiuto di ricezione, la trascuratezza nell’assistenza al parto che mette in pericolo la donna, e la detenzione di coloro che hanno partorito e dei loro bambini nelle strutture dopo la nascita, connessa all’impossibilità di pagare.

È importante notare che le donne più vulnerabili a questo tipo di violenza sono spesso giovani, non sposate, appartenenti a contesti socioeconomici di svantaggio o affette da malattie come l’HIV.

Violenza ostetrica e violazione dei diritti umani

La violenza ostetrica rappresenta una grave violazione dei diritti umani e della dignità delle donne, e deve essere affrontata attraverso l’implementazione di politiche e procedure che proteggano i diritti delle donne e promuovano un’assistenza al parto rispettosa e basata sull’empatia e la comprensione delle loro esigenze e desideri.

L’International Journal of Gynecology & Obstetrics ha pubblicato i risultati dell’indagine svolta dal centro collaboratore dell’Oms dell’istituto Burlo Garofalo di Trieste sulla situazione delle donne che hanno partorito in Italia nel periodo più duro della pandemia, da marzo 2020 a febbraio 2021. Su 3.981 donne che hanno affrontato il travaglio, il 78,4% non ha potuto essere assistito dal partner, il 39,2% non si è sentito totalmente coinvolto nelle scelte mediche, il 24,8% non si è sempre sentito trattato con dignità mentre il 12,7% ha dichiarato di aver subito abusi.

In un’indagine commissionata dall’Osservatorio sulla violenza ostetrica in Italia nel 2017 e condotta da Doxa, in collaborazione con le associazioni La Goccia Magica e CiaoLapo, è stato riscontrato che circa il 21% delle madri italiane ha subito una forma di violenza ostetrica durante il parto, mentre il 41% ha dichiarato di essere stato vittima di pratiche lesive per la propria dignità psicofisica. Inoltre, si stima che 1,6 milioni di donne in Italia siano state sottoposte a un intervento di episiotomia senza consenso informato. Nel 2016, le cofondatrici di OvoItalia hanno promosso la campagna #Bastatacere: le madri hanno voce su Facebook per raccogliere le testimonianze delle donne che hanno subito violenza ostetrica.

Correlazione tra violenza ostetrica e depressione post partum

Dopo il parto, molte mamme possono sperimentare una forma leggera di depressione ansiosa, conosciuta come maternity blues, che colpisce fino all’85% delle donne. Tuttavia, un numero minore di donne, fino a 1 su 5, può sviluppare una condizione più grave: la depressione post partum.

Recenti studi hanno dimostrato che c’è una forte correlazione tra la violenza ostetrica e il rischio di sviluppare questa grave forma di depressione.

Infatti, il benessere psicologico della madre dipende dalla qualità dell’assistenza e del supporto ricevuti durante il parto.

Un parto difficile o traumatico può avere ripercussioni sulla salute mentale della madre e influire negativamente sul benessere del bambino. La violenza ostetrica può aumentare il rischio di sviluppare disturbi post traumatici da stress, ansia, panico e condotte disfunzionali, e può anche peggiorare condizioni preesistenti o scatenare disturbi come l’anoressia, il bipolarismo, il disturbo ossessivo-compulsivo e l’abuso di sostanze.

Inoltre, le donne che subiscono episodi di violenza ostetrica possono sperimentare sentimenti di rabbia, svalutazione e autocolpevolizzazione, e possono avere difficoltà a prendersi cura del neonato e a creare una relazione empatica con il proprio figlio. In alcuni casi, il trauma può persino portare alcune donne a negarsi la possibilità di avere altri figli. Per questo motivo, proteggere le madri significa proteggere anche le nuove generazioni e garantire un futuro migliore per tutti.

Di fondamentale importanza diventa il ruolo dei corsi di accompagnamento alla nascita e dell’educatore perinatale, sia nell’acquisizione di maggiori consapevolezze della gravidanza e del parto da parte della madre e della coppia genitoriale, sia nel supporto pratico ed emotivo alla madre durante la gravidanza ed il puerperio.