“I colori non piangono, sono come un risveglio”: Psicologia dei colori e benessere

colori

a cura della Dott.ssa Alessia Ghisi Migliari

ABSTRACT

La ‘psicologia dei colori’ si occupa degli effetti delle sfumature cromatiche sulla nostra mente e non solo (Elliot, 2015); studia come essi influiscano su percezione, emozioni, stati d’animo e persino cognizione ed azioni (basta pensare all’attenzione che si pone a questo aspetto nel settore del marketing).

Il modo in cui la psiche risponde ai diversi colori, anche fisiologicamente, è oggetto di studio ed è influenzato da numerosi fattori soggettivi, archetipici e culturali. Si tratta di una disciplina che non assurge a scienza (come del resto avviene per una sua branca, la cromoterapia, considerata “pseudoscienza”), non avendo caratteristiche e criteri che ne consentano una definizione rigorosa, ma è comunque oggetto di numerose ricerche i cui risultati trovano riscontro nel quotidiano, anche attraverso indagini qualitative.

Nell’esperienza empirica che porta a scegliere e ricercare determinate nuances non solo a scopo estetico, ma anche supportivo, si riscoprono radici remote: gli antichi Egizi e altri popoli erano soliti dare non solo importanza al simbolismo e al significato dei colori, ma prestavano attenzione anche al potere che potevano esercitare sugli stati d’animo.

Oggigiorno ci si interessa, per esempio, ai colori negli ambienti ospedalieri, per dare un senso di maggiore accoglienza e sollievo.

Fra le applicazioni più note, sono quelle che mirano, nelle terapie alternative, e sovente nella pratica individuale, a ricreare uno stato di maggiore armonia e serenità.

È ampio il campo cui declinare questa dimensione che, appunto, trova vasto corpo di indagine, che spazia dal settore delle vendite sino ad includere anche quello supportivo in caso di patologie anche invalidanti, e del benessere globale.

I colori possono essere potenti trigger per divenire fonte di calma o stimolo per attivare, basandosi sulle loro caratteristiche fisiche.

Questo articolo vuole indagare questo campo relativamente giovane, nei suoi risultati, nei suoi punti di forza e debolezza, concentrandosi alle sue applicazioni in termine di aiuto alla salute.

INTRODUZIONE

“I colori non piangono, / sono come un risveglio”: parole di una poesia di Cesare Pavese, che in quel ridestarsi metaforico ricorda una dimensione intrinseca all’esperienza quotidiana, e che ha la capacità di influenzare l’individuo su diversi livelli: il colore.

Gli occhi e il sistema nervoso sono strutturati in modo tale da tramutare quelle che sono lunghezze d’onda in ciò che viene esperito come tonalità cromatiche.

Tutto è vibrazione, e la manifestazione implica la percezione; si può dunque asserire che anche il rosso di un tramonto è esperienza in potenza, che diviene effettiva in funzione dell’osservatore.

Il paradigma dell’“Embodied Cognition” sostiene come la cognizione, nei suoi molteplici aspetti, emerga da una relazione bidirezionale che coinvolge l’esperienza corporea, quella mentale, i loro feedback, legato all’interazione con l’ambiente.

Il “vivere” il colore, anche nei suoi effetti, potrebbe essere considerato un esempio inusuale di come la biologia sia fondamentale per fare conoscenza di una dimensione che, appunto, ha risvolti multilivello.

Il colore è stato un indicatore fondamentale per l’essere umano, nella sua evoluzione,

per orientarsi, interpretare e sopravvivere: la natura dà indicazioni precise, coi suoi toni.

Ma la sua funzione può andare ben oltre, innestandosi in un settore che è avvertito come controverso, per la sua assenza di purismo scientifico: come molti fenomeni umani, la ‘psicologia dei colori’ si dipana lungo studi attenti, ma non sempre con pieno riconoscimento.

Ciò nonostante, ricercatori di spessore si sono dedicati allo studio della materia, e questo articolo ha lo scopo di considerare le principali conoscenze allo stato attuale dell’arte, e, come sempre, lo si vuole fare concentrandosi sul potenziale di benessere che si può trarre da questa disciplina.

Si ricordi del resto che si è creature estremamente “visive”, il che si rileva anche dal linguaggio, dove verbi e termini che hanno a che fare con la vista sono utilizzati nel comune parlare: “Ci vediamo”, “Sono verde per la rabbia”, “Dai un occhio a questo”, “Sei una persona luminosa”.

1. LA PSICOLOGIA DEI COLORI

La ‘psicologia dei colori’ studia gli effetti del colore sugli stati d’animo, le emozioni ed i comportamenti.

È una dimensione sfaccettata, che coinvolge aspetti più prettamente “psicologici”, così come studi di neuroscienze, pur con tutte le limitazioni che a livello dogmatico questa tematica deve affrontare.

Tematica approfondita notevolmente nel marketing, ma sempre più anche per quel che concerne la salute dell’individuo e dei gruppi.

All’inizio del ventesimo secolo in Europa spicca, nello studio del colore, la figura di Rudolph Steiner, che ha correlato il colore a forme e suoni, affermando che la qualità vibrazionale di alcuni colori (e della mescolanza tra essi) può avere effetti negativi o rigenerativi sugli esseri viventi. Ed è solo uno dei numerosi nomi che si sono dedicati alla materia, attraverso gran parte della storia dell’umanità.

1.1 La teoria dei colori di Goethe

In una revisione della letteratura circa il rapporto tra colore e funzionamento psicologico (Elliot, 2015), si cita l’opera (in più volumi) “La teoria dei colori” di Goethe, del 1810, nel quale il celebre letterato collegava alcune risposte emotive ai diversi colori; in esso, il poeta descrive fenomeni come la rifrazione e le “aberrazioni cromatiche”; Goethe era avvinto dai suoi studi scientifici, e anche se ovviamente l’ambito scientifico non mostrò particolare interesse per questa sua ampia dissertazione, che va dalla storia alla didattica (e in cui la sua visione si contrappone addirittura a Newton), essa ebbe grande seguito tra i filosofi e soprattutto tra gli artisti, ed è stata stimolo per ulteriori ricerche e per la nascita della colorimetria (ossia l’analisi delle variazioni cromatiche attraverso cui si arriva a modelli matematici per misurare la percezione del colore).

1.2. Evoluzione della psicologia dei colori

A circa metà del ventesimo secolo, in una ricerca (Goldstein, 1942) si ipotizza che alcuni colori producano risposte fisiologiche con influenze emotive, cognitive e a livello di azione.

In seguito, ulteriori autori (Nakashian, 1964; Crowley, 1993) hanno suggerito che le tinte la cui lunghezza d’onda è più lunga siano “attivanti” e calde, mentre quelle più corte si rivelerebbero rilassanti e fredde.

Un’ulteriore teoria che ha tenuto conto del contesto è emersa recentemente (Elliot et al., 2012), attribuendo importanza sia alla componente biologica che sociale: da un lato vi è un aspetto di apprendimento di determinate associazioni e significati del colore, mentre dall’altro si trova un’intrinseca “predisposizione” fisiologica che è rinforzata appunto dall’apprendere; ciò implicherebbe che il contesto in cui il colore è percepito “si pensa influenzare il significato (del colore, n.d.a.) e, di conseguenza, la risposta ad esso”.

1.3. Limitazioni degli studi sui colori

A questo punto è essenziale sottolineare, come fa Andrew J. Elliot, autore stesso di questa review, che è necessaria notevole cautela nell’avvicinarsi a questa disciplina, in termini sia di conclusioni che di applicazioni – monito assai valido di fronte a campi che non possono essere approfonditi col giusto rigore (senza negarne il valore); infatti questa revisione evidenzia le numerose falle metodologiche a cui si può andare incontro addentrandosi nell’argomento.

Il ricercatore constata inoltre che le teorie in merito sono sempre “estremamente specifiche” o “estremamente generali”; in più c’è la tendenza a concentrarsi su poche tinte (soprattutto il rosso), sottostimando le influenze di altre, e si precisa che il contesto non è stato preso in considerazione seriamente, nelle indagini (egli è infatti l’autore della teoria succitata che prende in considerazione proprio gli aspetti di contestualizzazione).

Questa disciplina è quindi sì promettente, ma agli inizi, richiedendo più attenzione, più controllo della variabile colore e la presa in considerazione che il percepire i colori è un fenomeno legato a numerose variabili sovente trascurate.

1.4 Il Colour Affects System di Angela Wright

Un ulteriore nome che appare nelle ricerche sulla ‘psicologia dei colori’ è quello di Angela Wright, psicologa inglese, che già nel 1984 aveva elaborato una propria teoria, ponendo le basi del suo Colour Affects System: per la studiosa, ad avere effetto psicologico è una palette di tinte, più che un colore unico (paragonando qualitativamente il fenomeno alla musica, composta non da una nota, ma dalla combinazione di più di esse, per poter creare un’armonia che sia evocativa).

I principi del suo sistema si basano sull’idea che gli influssi dei colori sulla psiche siano universali, e che singole tinte influiscano in maniera specifica, classificando anche quattro differenti gruppi di colore che rispecchiano quattro differenti tipi di personalità che hanno un ruolo nel modo in cui si reagisce al colore. Per cui diviene essenziale capire quale gruppo di colore utilizzare, il modo in cui farlo, considerando le caratteristiche di personalità del singolo.

Questa categorizzazione mostra la variabilità di punti di vista e paradigmi che si sono man mano creati sulla tematica.

1.5 Test di Lüscher

Non si può a questo punto non citare il celebre test di Lüscher, test che risale al 1947 e che si basa sull’idea che la scelta o il disdegno di un preciso colore, a seconda del momento e della situazione, diano informazioni psicologiche rilevanti su emozioni e personalità.

Stiamo parlando di un test che si potrebbe vedere come “remoto”, eppure ancora oggi altamente indicativo della realtà della ‘psicologia dei colori’.

Vi sono, in esso, quattro colori base (rosso, giallo, verde e blu) e quattro ausiliari (viola, marrone, grigio e nero). Quali valenze vengono date, qui tratteggiate assai celermente, da Lüscher, ai vari colori?

  • Il rosso è vitalità e desiderio, associato al successo, la spinta verso il nuovo, l’intraprendere – è audacia ed energia.
  • Il giallo è tensione verso il cambiamento, voglia di rinnovarsi, di aprirsi all’esperienza, con rilassatezza e un senso di libertà – è ottimismo e calore.
  • Il verde è costanza, resilienza, sicurezza di sé – è tranquillità e crescita.
  • Il blu è pace, armonia, si adatta alla meditazione, è ricerca della quiete profonda – è stabilità ed affidabilità.
  • Il viola è intuizione, sensibilità, creatività, il gesto del sogno, l’irrazionale – è ingegnosità e saggezza.
  • Il marrone è liberazione dallo sconforto e dall’incertezza, una necessità intensa di risolvere problematiche pressanti – è pratico.
  • Il grigio è neutro, è una non-posizione, quasi una volontà di non partecipare e non intervenire, un bisogno di stare in disparte – è volontà di separazione, di distanza.
  • Il nero è una negazione, rinuncio, abbandono, rifiuto – è fine.

Questo test è stato applicato e lo è ancora in molti ambiti: dal marketing (che conosce molto bene i risvolti dei colori), alla selezione del personale, ai disturbi psicotici e ossessivi, in clinica generale, nello sport, e ha mostrato una validità predittiva nel campo criminologico.

È un test “proiettivo”, nel quale quindi il soggetto proietta sullo stimolo presentato componenti assai soggettive.

Ci si trova nuovamente a non poter creare oggettività, pur trovandosi di fronte ad uno strumento che ha una storia di ampio uso.

2. CROMOTERAPIA: il potere terapeutico dei colori

Se c’è un filone che si è dipanato da questa innovativa branca della psicologia, e che ancora di più è visto come pseudoscienza, ma che è importante citare, è la cromoterapia.

Essa ha radici remote che affondano nell’antichità: gli Egizi sfruttavano a scopo terapeutico la luminosità solare.

La cromoterapia consiste nell’utilizzo di colori e luce per aiutare il benessere su più fronti, partendo dal presupposto che la componente cromatica abbia un effetto sulla salute. Chi sostiene la cromoterapia sostiene che essa produca risultati su vare condizioni: ansia, depressione, aggressività, problemi del sonno sino all’ipertensione e ad altre patologie.

E, riflettendo, è esperienza di ognuno, quella per cui il vedere un determinato colore può far sentire meglio, mettere allegria o creare comunque un determinato tipo di atmosfera – tenendo in conto anche delle preferenze individuali. Notoriamente, il colore presente in alcuni luoghi hanno caratteristiche precise che si tende a riconoscere, facendo inferenze sullo spazio – consente anche di attribuire caratteristiche a identità di posti e persone.

Appare consono evidenziare come determinate associazioni legate al colore, che hanno sì aspetti culturali, ma che tendono ad essere globalmente accettate, appaiono quasi “scontate”, ovvie, e proprio questo testimonia che forse, più che banalità, il connettere una tinta ad uno stato d’animo o una reazione è quasi istintivo.

Come istintivo è stato declinare il colore al benessere e al rilassamento, che sono forse tra le applicazioni più diffuse della “psicologia del colore”.

3. BENESSERE E RILASSAMENTO

Se è riconosciuto che i toni della natura e il viola ben si abbinano alla Mindfulness e alla meditazione in generale, sono numerose le analisi che si dedicano a sondare come i colori possano fare star meglio e consentire di rilassarsi.

In una di queste trattazioni (Lubos, 2008), si accenna a come, negli anni Quaranta del Ventesimo secolo, lo scienziato russo S. V. Krakov avesse osservato che il colore rosso stimola il sistema nervoso simpatico ed il blu quello parasimpatico (legato appunto ad uno stato di calma).

Questi risultati furono poi confermati (Gerald, 1958), stabilendo che il rosso ha una funzione di arousal del sistema nervoso autonomo, venendo quindi sconsigliato a soggetti ansiosi, mentre il blu è assai tranquillizzante.

Nel 1990 fu riportato alla conferenza annuale dell’American Association for the Advancement of Science l’utilità della luce blu in diversi contesti di disagio psicologico, compresi depressione, impotenza, dipendenze e disordini alimentari.

Paragonando gli effetti dell’esposizione alla luce blu e rosa sullo stress esperito da un gruppo di studenti si è visto che entrambe le tinte hanno spiccate capacità rilassanti, ma il blu in misura maggiore.

Volendo quindi agendo sul benessere, si trovano ricerche che vogliono scoprire il ruolo del colore in ambienti stressogeni, per poter usare il loro potenziale calmante; in un’indagine sulle tinte presenti in ambito medico (Mirzaei et al., 2020) si ricorda come in India e in Cina, nel passato, le persone fossero curate in templi, utilizzando il colore; e i loro risultati suggeriscono un minor tempo necessario di terapia e una diminuzione dello stress in setting con colori graditi alla persona.

In un altro studio (Hong et al., 2009) si è voluto indagare il ruolo dell’esposizione ai colori sullo stress, utilizzando l’elettroencefalogramma (EEG), cui sono stati sottoposti 36 soggetti prima e dopo la stimolazione con rosso, verde e blu.
Il rosso ha mostrato di aumentare lo stress (alza il livello di onde Beta), mentre gli altri due aumentano le onde Alfa, indicando rilassamento e diminuzione dello stress.

La lunghezza d’onda dei colori impatta sul sistema nervoso umano, il che predispone a perseguire un approfondimento della materia.

Il blu pare confermarsi il colore più idoneo alla riduzione dello stress, seguito dal verde, che ha un effetto calmante.

Del resto, è risaputo il ruolo stesso della luce sull’umore e sulla stimolazione di alcuni ormoni, legati al ritmo circadiano – ciò richiama il noto esempio di come la carenza di luminosità in alcune popolazioni dell’estremo nord contribuisca a stati depressivi.
Appare quindi intuitivo che, anche se le conoscenze vanno approfondite in modo adeguato, sia innegabile un’azione del colore che permea tutto l’ambiente circostante.

Non essendo ben stabilito entro criteri assodati, l’uso del colore viene applicato alle più svariate condizioni cliniche, al di là della riduzione di stress e ansia e depressione: dall’autismo a varie forme di riabilitazione e stimolazione (è una componente delle “stanze polisensoriali”, adibite proprio a questi ultimi due scopi), solo per fare alcuni esempi – senza contare la creazione di spazi di variegate tinte per favorire la concentrazione, piuttosto che la socialità.

Ogni area ed oggetto sono ottimali per essere manipolati attraverso il colore.

CONCLUSIONI

È innegabile che si ricerchi un preciso colore – non solo perché “dona” all’aspetto, o perché piace, ma perché, in un certo momento, si può sentire il bisogno di averlo attorno, in casa propria.

Le associazioni mentali che nascono osservando queste tipologie di scelte, porta inevitabilmente ad attribuire, inconsciamente, determinate caratteristiche personologiche – in parte mediate culturalmente, in parte insite in significati reconditi e socialmente trasversali.

Per quanto la ‘psicologia dei colori’ e le pratiche che ne sono derivate non riescano ad oggi ad assurgere a scienza, è di rilievo non perdere di vista l’attenzione che il fenomeno suscita, e come esso venga applicata in maniera pervasiva – come si è più volte detto, se il marketing è padrone del maneggiare questo campo e lo sfrutta in ogni dettaglio, l’aspetto clinico, supportivo, e di benessere, sono altrettanto rilevanti.

Può essere argomento controverso e deriso, in un certo senso, l’uso dei colori per produrre un maggiore stato di benessere. Eppure, è atto che fa parte del quotidiano e il suo uso nel rilassare è indubbio e globalmente accettato.

Un elemento di tale portanza non deve essere sottovalutato, pur nella attuale scarsità di mezzi per delineare il fenomeno, nel suo potenziale.

Del resto, come scriveva Pavese, alla fine della sua poesia, in cui “i colori non piangono”: “Ogni nuovo mattino, / uscirò per le strade cercando i colori”.

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