L’Arte dello Scrivere: Scrittura, Pittura e Filosofia

scrittura

a cura della dott.ssa Giuditta Dinardo

Introduzione

Gotthold Ephraim Lessing con il Laocoonte descrive due arti che nella storia sono sempre state simili e sorelle, ovvero la poesia e la pittura. Egli crede che queste ultime siano connesse e intrecciate in un modo tale che il poeta non riesce a perdere di vista il pittore così come il pittore non lasci andare via il poeta; esse sono così interconnesse che la poesia esprime una forma di arte che la pittura non potrà mai esprimere e viceversa; di fatti, mediante la scrittura e la pittura, è possibile fissare su carta un’immagine presente nella mente di un individuo.

1. Il pensiero di artisti-poeti

Gotthold Ephraim Lessing è stato uno scrittore e pensatore di origine tedesca e destinato alla carriera ecclesiastica, ma preferì, rispetto ad altri studi, quelli letterari e teatrali. Durante la sua permanenza a Berlino, cominciò a svolgere un’attività poetica, si costruì la fama di polemista severo e, essendo un critico teatrale, ad Amburgo, nel 1767, fu colui che promosse l’iniziativa di fondare un teatro nazionale. Questo fu un fallimento, pertanto l’autore pensò di trasferirsi in Italia, trascorrendo nel Paese solo brevi periodi per poi passare gli ultimi undici anni della sua vita come bibliotecario alla corte del duca Ferdinando di Wolfenbüttel. La sua poetica illuministica si manifesta apertamente nel Fabeln in prosa redatto nel 1759, in cui il genere favolistico è rivisitato con intenti pedagogico-razionalisti.

Lessing ha raggiunto la sua fama di critico e di teorico grazie a due suoi scritti importanti: il Laokoon scritto nel 1766 e la Hamburgische Dramaturgie stesa tra il 1767-69. Nel Laokoon, viene proposta una norma che affida all’arte plastica il mondo del bello, ed alla poesia la dinamica dell’agire umano; mentre nella Hamburgische Dramaturgie afferma l’importanza dell’azione, tralasciando come immaginari sia il tempo che il luogo.

Un ulteriore scrittore è Carlo Dossi (GAROSI 2015) il quale stabilisce un’unione tra diversi linguaggi artistici, per cui la connessione tra parola e pittura indica la via di un possibile allargamento dei confini della letteratura la quale viene utilizzata nella riformulazione della realtà. Nei suoi scritti Dossi asserisce che la lingua attribuisce alla pagina un carattere iconico, figurativo, dando una percezione visiva del mondo del tutto originale.

Nell’Ottocento, le novità pittoriche rivestono un ruolo principale nei dibattiti presenti e in tale terreno affondano le radici di quel connubio tra linguaggi e stili artistici tipico della Scapigliatura la quale concerne la fisionomia letteraria che richiama l’idea di «arte totale»; tuttavia, gli studi di Isella (ISELLA, Dante 1992) fatti nel 1958 e di Mariani condotti nel 1967, danno luce a sperimentazioni pittoriche le quali ebbero un ruolo importante nell’allestimento di un nuovo linguaggio narrativo. Dossi, pertanto, intuisce che, grazie all’intreccio di diverse rappresentazioni artistiche, è stato possibile allargare i confini della letteratura, infatti egli preferiva il mondo senza trasferirvi i propri sentimenti e far esplodere l’evidenza di oggetti e figure attraverso un linguaggio adottato.

Dunque, la parola che dà corpo alla visione soggettiva del mondo costituisce la sintesi tra oggetto e soggetto, tra forma e contenuto facendo riferimento all’equilibrio che viene raggiunto dalla realtà fenomenica attuata dall’io e dalla narrazione; tuttavia è possibile porre un altro connubio fra le diverse arti grazie a Giuseppe Rovani (Giuseppe Rovani, 2017) che descrive per la prima volta il connubio fra le arti denominandole «Tre Arti sorelle». Si definiva, inoltre, la consapevolezza con cui l’autore impiegava la pittura come fonte di ispirazione per la sua scrittura, o per mettere su carta il suo progetto scritturale. R. Bacone (R. Bàcone, Enciclopedia Treccani) classifica, invece, il carattere soggettivo basandolo sulle ‘facoltà dell’anima razionale’, ovvero memoria, immaginazione e ragione. La memoria è il fondamento della storia naturale e della storia civile, che registrano le opere create. L’immaginazione, invece, produce le opere letterarie e la ragione quelle filosofiche. L’idea di Bacone viene strumentalizzata anche da d’Alembert e D. Diderot in riferimento alla poesia.

Dunque, per quanto queste arti siano affini hanno un modo di comunicare completamente differente poiché la comunicazione tramite un dipinto è immediata, lo si guarda e si comprende quello che il pittore vuole trasmettere; mentre con un testo il messaggio che si vuol inviare è guidato mediante un percorso segnato e deciso dallo scrittore; nonostante ciò si può affermare che con la lettura si possono trasformare le frasi scritte in appositi immagini presenti nella mente poiché la realtà, è una realtà visuale dove ogni azione è correlata a stimoli legati a dalle immagini che si osservano.

Ebbene, se è vero che queste due arti siano sorelle gemelle, la formazione legata per ogni autore è differente poiché un pittore deve conoscere la prospettiva, la teoria delle ombre, le proporzioni e l’anatomia, la combinazione dei colori, gli strumenti da usare; a differenza dello scrittore i cui strumenti principali sono una tastiera ed un dizionario con quale l’autore, abbozza e scrive un testo al fine di condurre il lettore in un percorso programmato a differenza di un dipinto che non può essere modificato.

Scrittura e pittura, per l’appunto, creano due esperienze opposte dato che conducono due consapevolezze diverse; una storia si può rileggerla ma, conoscendola, non dà le stesse emozioni della prima lettura, a differenza del quadro che, ogni volta che lo si guarda, regala un nuovo indizio, una nuova trama ed una nuova storia. Pertanto, dipingere un quadro significa comunicare in modo veloce un messaggio; mentre scrivere un romanzo significa comunicare lentamente qualcosa al lettore.

2. Dostoevskij: tra scrittura e filosofia

Fëdor Dostoevskij è una delle figure che rappresenta maggiormente la letteratura russa, divenendo così scrittore e filosofo russo. Le sue opere, ad esempio romanzi e racconti, sono indicate come delle pietre miliari della letteratura ottocentesca. Le opere più importanti e diffuse sono “Delitto e castigo” e “I fratelli Karamazov”.

Fëdor Dostoevskij nacque nel 1821 a Mosca, il cui padre era un medico e la madre era figlia di ricchi commercianti russi. Nel 1834, dopo essersi trasferiti a Darovoe, Fëdor alloggia presso un convitto privato a Mosca insieme al fratello; ma, tre anni dopo, in seguito alla morte della madre causata dalla tisi e dopo aver affrontato degli esami per l’ammissione all’istituto di ingegneria, l’autore si interessò alla letteratura e alla sua epilessia. Tra il 1841 e il 1842 fu ammesso al corso per ufficiali e successivamente fu nominato sottotenente; tuttavia, questa carriera terminò un anno dopo essersi diplomato. Grazie alla sua situazione di povertà e le sue fragili condizioni di salute, riuscì a dedicarsi alla letteratura facendolo divenire un impiego; infatti scrisse il suo primo libro che terminò nel 1846 intitolato “Povera gente”, al quale susseguirono “Il sosia” e alcuni romanzi brevi e racconti pubblicati su diverse riviste.

Negli anni successivi partecipò come uditore alle riunioni di società segrete e a causa di ciò nel 1849 venne arrestato, ma grazie allo zar Nicola I venne modificata la sua condanna; dalla pena di morte ai lavori forzati a tempo indeterminato. Questi avvenimenti saranno successivamente spunto di riflessione per lo scrittore, che esporrà nei suoi romanzi “Delitto e castigo” e “L’idiota”. Nel 1850 venne rinchiuso nella fortezza di Omsk e in questo periodo scrisse una delle sue opere più rilevanti “Memorie dalla casa dei morti”.

Nel 1854 Dostoevskij fu liberato per buona condotta, ma dovette prestare servizio nell’esercito siberiano per scontare gli ultimi due anni di pena; periodo in cui gli venne imposto il divieto di pubblicare qualsiasi racconto e solo nel 1859 poté fare ritorno in Russia.

Con il fratello fondò la rivista “Il tempo” in cui pubblicò anche alcune delle sue opere e nel 1864, uscì la rivista Epocha ma fu comunque un anno che rappresentò, per lo scrittore, un periodo buio, poiché dovette affrontare sia la morte della moglie che del fratello il quale gli lasciò ingenti debiti che aggravò quando decise di giocare d’azzardo durante un viaggio in Europa.

Nel 1866 decise di pubblicare a puntate il romanzo “Delitto e castigo” e grazie ad una stenografa riuscì a pubblicare alcune delle sue opere; con essa, nel 1867 si sposò ed ebbero la loro prima figlia Sonja, che purtroppo morì tre mesi dopo; tale avvenimento fece sì che La morte precoce dei bambini fosse uno dei temi cardine del romanzo “L’idiota”, che lo scrittore stava elaborando in quegli anni.

Dopo aver fatto ritorno a San Pietroburgo e saldato i propri debiti, Dostoevskij, divenne direttore della rivista conservatrice “Il cittadino”, in cui pubblicò una serie di articoli di attualità raccolti sotto il nome di “Diario di uno scrittore”. Dal 1879 diede inizio alla pubblicazione de “I fratelli Karamazov” su una rivista ma a causa delle sue precarie condizioni di salute, non ebbe la possibilità di scrivere altre opere. Egli morì nel 1881 a San Pietroburgo.

Fëdor Dostoevskij, quindi, era un filosofo che si concentrava maggiormente sull’aspetto morale dei personaggi, sulla loro ideologia e sui loro dialoghi, così come le descrizioni degli ambienti e dei protagonisti, esponendo tramite loro delle riflessioni, in modo da coinvolgere il lettore nella narrazione che diviene consapevole degli avvenimenti, dell’interiorità e della psiche dei protagonisti dell’opera tanto da immedesimarsi.

Nei capolavori di Dostoevskij i protagonisti più rilevanti sono Kirillov dei Demoni e Ivàn dei Fratelli Karamazov. Partendo da Kirillov, è necessario far riferimento alle riflessioni che lo scrittore elaborò nel suo Diario nell’ottobre 1876 col titolo Una condanna nel quale immaginò “un suicida per noia, un materialista”, il quale voleva provare a sé stesso e agli altri che l’autodistruzione è la conseguenza inevitabile della coscienza umana, infatti l’autore scrive:

“Nella mia indiscutibile qualità di querelante e di querelato, di giudice e di accusato, condanno questa natura che senza tante cerimonie e sfrontatamente mi ha creato per la sofferenza – a essere distrutta insieme a me… Ma poiché io la natura non posso distruggerla, distruggo solo me stesso, esclusivamente per il fastidio di sopportare una tirannia della quale nessuno è colpevole”.

Dostoevskij con questa idea, che grazie alla scrittura è riuscito a trasmettere, fu accusato di giustificare chi prova ad uccidersi ed alle critiche egli rispose sempre sul Diario nel quale scrive del “suicidio logico” ovverosia un punto d’ancoraggio di una lucida meditazione e al tempo stesso, segno dell’emancipazione umana, propria e altrui; di fatti Dostoevskij, presenta Kirillov nell’isola serena della risoluzione raggiunta.

Il suo ulteriore romanzo, intitolato “I fratelli Karamazov”, descrive i componenti della famiglia Karamazov, cioè il padre Fyodor e i suoi quattro figli: Dimitri, nato dalla sua prima moglie, Aljòšacon e Ivàn e infine Smerdjakov, figlio illegittimo, pazzo e malato di epilessia come l’autore stesso. Fulcro del romanzo è l’uccisione di Fyodor e per tale uccisione viene accusato Dimitri, poiché rivale del padre in amore, e tuttavia innocente. Il commissionario è Smerdjakov, che è stato plagiato da Ivàn il quale aveva un’avversione per il padre.

Nel vortice di queste vicende, Aljòša diviene il depositario delle confessioni e definisce suo fratello Yvan “un enigma” esprimendo in modo conciso l’idea di Dostoevskij che ogni uomo è un mistero. Yvan è descritto come un ricercatore della verità tormentato e tenace; in lui c’è un pensiero grande e irrisolto, è cinico, assetato di giustizia, ateo, eppure appassionato di Dio. Egli è l’emblema dell’autoriflessione, e dello sforzo di risvegliare la propria idea sul mondo. L’autore, inoltre, sottolinea che la verità non è un obiettivo auspicabile, perché al di sopra di essa, sta la volontà dell’uomo. La scelta dell’individuo, in quanto libera, prescinde dal criterio normativo che la verità le impone; di fatti egli scrive che: “la verità autentica è sempre inverosimile” (I demoni), “ingiusta”(L’idiota), “quasi mai arguta” (I fratelli Karamazov).

Dostoevskij asserisce che la parola, nel gioco del linguaggio, non solo è aperta a interpretazioni e contestualizzazioni eterogenee, ma “non si consolida nel suo significato ed è pronta in ogni momento, come un camaleonte può mutare il suo tono e il suo senso ultimo”. Questa immagine di una parola che mai si cristallizza, rende l’idea della coscienza dell’uomo, che non fa in tempo a depositarsi che si è già evoluta in altro, pronta a smentirsi e contraddirsi. Per lo scrittore il romanzo diventa la forma che, garantisce l’allestimento di uno spazio «polifonico» al cui interno ogni personaggio è titolare della propria parola e coscienza mantenendo la propria identità.

Dunque, questo riporta quanto descritto nelle precedenti righe che grazie a lettere mescolate e regole grammaticali precise, qualcuno può e riesce a trasmettere, in alcuni versi, il proprio modo di pensare, le opinioni o modi di vivere; non solo scrivendo un messaggio preciso e diretto ma anche mediante un racconto col quale si traccia un percorso che un lettore deve seguire necessariamente se vuole arrivare a destinazione.

3. Nietzsche: tra scrittura e filosofia

Friedrich Wilhelm Nietzsche nacque nel 1844 in un paese vicino Lipsia, ed era figlio di un pastore protestante. Dalla sua tenera età visse con la madre e la sorella senza riuscire a costruire con le due donne un rapporto sereno; fu un ragazzo acuto e dalle grandi

L’opera di Dostoevskij ha giocato un ruolo decisivo non solo in ambito letterario, ma anche nella Filosofia e Psicologia del Linguaggio, nella Linguistica e nella Semiotica ampliando la comprensione di concetti fondamentali come l’enunciazione, discorso interiore, il discorso libero indiretto, il dialogismo, l’autore/eroe, straniamento, segno e ideologia; di fatti ha avuto un ruolo essenziale nel rinnovare la storia della letteratura e del romanzo.

capacità intellettive, infatti a 24 anni divenne professore di lingua e letteratura greca presso l’Università svizzera di Basilea, ma a causa delle sue condizioni di salute fu costretto a lasciare la cattedra ed iniziò il suo pellegrinaggio per le città della Francia, della Svizzera e dell’Italia alla ricerca di una serenità che non riuscì mai a raggiungere. Egli fu rifiutato da quella donna che reputava la sua compagna di vita e questo gli causò una depressione che si trasformò in follia. Pertanto morì a Weimar nel 1900, mentre la sua fama cominciò a crescere sempre più.

Durante la sua permanenza a Torino, l’autore rimase estasiato dalla città, ma il suo ultimo periodo di permanenza nel capoluogo fu caratterizzato dal collasso mentale del filosofo; infatti un giorno, Nietzsche, svenne in una piazza della città e iniziò a scrivere lettere esaltate le quali furono chiamate “biglietti della pazzia” ed erano indirizzati ad amici, uomini di Stato e membri di case regnanti. Elisabeth, la sorella del filosofo, dopo la morte della loro madre, si prende cura del fratello e diventa l’unica curatrice delle opere dello scrittore manipolandole a suo piacimento e dando loro un’impostazione antisemita.

Il pensiero di Friedrich Nietzsche è complesso e utilizza differenti stili attraverso cui egli esprime il proprio pensiero tramite aforismi e poesie in prosa; ed è possibile distinguere nell’arco della sua vita quattro fasi:

  • La fase giovanile: dove domina l’interesse e l’ammirazione per il filosofo Schopenhauer e il musicista Wagner. In tale periodo scrive l’opera “La nascita della tragedia dallo spirito della musica” volendo celebrare il trionfo della vita sulla crudeltà, sofferenza, incertezza dell’esistenza; inoltre sceglie di essere un discepolo di Dioniso, il dio dell’ebbrezza che incarna le passioni del mondo e che si oppone ad Apollo, dio dell’ordine e della razionalità;
  • La fase intermedia: dove ripudia i precedenti ispiratori e si avvicina ad un approccio di tipo “scientifico” ed è mosso dal proposito di liberare la mente degli uomini da un “errore” fondamentale: la metafisica. La critica a quest’ultima disciplina filosofica si rileva nella sua espressione “morte di Dio” con la quale egli asserisce che Dio è “la nostra più lunga menzogna”, è la personificazione di tutte le varie certezze: «C’è un solo mondo ed è falso, crudele, contraddittorio, senza senso (…) Noi abbiamo bisogno della menzogna per vincere questa realtà, questa ‘verità’. Cioè per vivere». Pertanto con l’affermazione “Dio è morto” intende la fine di tutte quelle certezze che hanno guidato gli uomini; tuttavia, la morte di Dio è un evento visibile solo all’ “uomo folle” ovvero il filosofo che può vivere liberamente solo se accetta che non esistono più menzogne rassicuranti.
  • La fase di Zarathustra con l’opera Così parlò Zarathustra in cui realizza che dopo la morte di Dio c’è l’avvento dell’“ultimo uomo” o del “superuomo”, ovvero Zarathustra, che esclama: «Morti sono tutti gli dei: ora vogliamo che il superuomo viva». Di conseguenza, il superuomo (Nietzsche di Chiara Colangelo) è un concetto filosofico che corrisponde all’idea di un uomo nuovo e diverso il quale incarna un modello in cui si condensano tutti i temi della sua filosofia; infatti, il superuomo possiede l’accettazione della dimensione dionisiaca dell’esistenza, della “morte di Dio” e della fine delle certezze come la realtà. Secondo Nietzsche tutti gli eventi del mondo si ripresentano sempre identici a sé stessi infinite volte. Pur essendo difficile stabilire con certezza cosa sia effettivamente questa teoria, il suo significato è chiaro e differenzia l’uomo dal superuomo: mentre il primo reagisce con terrore alla prospettiva di un eterno ripetersi degli eventi, il secondo la accoglie con gioia. Tale reazione scaturisce dalla prospettiva di vivere la vita come un qualcosa di “creativo” che ha in sé il proprio appagamento; in sintesi: vivere la vita come se tutto si dovesse ripetere all’infinito.
  • La fase finale, che comprende gli scritti “Genealogia della morale” ed “Ecce homo” scritti tra il 1887 e il 1888. In conclusione, il superuomo, infatti, vive nel creare e progettare la sua esistenza in modo libero e al di là di ogni schema costituito; con questo si definisce un artista il quale stabilisce un senso di fronte al caos del mondo e si libera dal peso del tempo e del passato; egli vive la vita come se tutto dovesse ripetersi e non cerca il senso dell’esistenza in un “altro” mondo pieno di nuovi valori e significati. (Friedrich Nietzsche, di Chiara Colangelo)

4. Heidegger: tra scrittura e filosofia

Martin Heidegger studia teologia e filosofia presso l’Università di Friburgo, ottenendo il dottorato nel 1913; successivamente diviene l’assistente di Edmund Husserl dal 1919 e durante quegli anni utilizza le categorie della fenomenologia husserliana per svolgere delle indagini su alcuni autori che aiutano la formazione del pensiero filosofico e religioso occidentale. Nel 1923 viene nominato professore straordinario e si trasferisce a Marburgo, dove resterà fino al 1928. L’obiettivo dell’autore è quello di mostrare come la struttura stessa dell’essere umano, che egli chiama «esserci» (Dasein), lo conduca a interrogare il problema dell’essere. Dopo il 1933, Heidegger è nominato rettore dell’università di Friburgo, e aderisce alla politica e ideologia nazista che, congiuntamente alla sua dottrina antisemita, divengono dei temi delicati e dibattuti, anche in virtù della pubblicazione dei cosiddetti “Quaderni neri”, ovvero diari privati che il filosofo ha tenuto dal 1931 al 1957 in cui è possibile leggere alcune riflessioni che permettono di comprendere il suo rapporto con le vicende storiche che lo hanno riguardato.

Naturalmente il pensiero di questo filosofo subisce dei mutamenti nel tempo; infatti quello che interessa ad Heidegger sono la poesia e il rapporto ch’essa ha con la verità pertanto si possono ricordare i volumi ed i corsi universitari dedicati al tema della lingua poetica come ad esempio le raccolte In cammino verso il linguaggio e La poesia di Hölderlin Heidegger crede che assumere il ruolo di «pastore dell’Essere» e prendersi «cura» della sua immaterialità nei confronti di ogni ente, significa riscattare la condizione dell’Esserci dai rischi connessi al predominio, nel mondo contemporaneo, della tecnica e della tecnologia. Heidegger scomparirà nel 1976 a Friburgo, lasciando in eredità ai posteri un denso corpus filosofico.

5. Differenti tipi di Scrittura

Come si è potuto notare, nel tempo la scrittura ha avuto un ruolo fondamentale nella comunicazione e nel riuscire a trasmettere modi di agire e pensieri anche filosofici che sono diventati un’impronta che ancora tutt’oggi si cerca di studiare e comprendere. La scrittura, tuttavia, ha intrapreso nuovi ruoli, rifacendosi sempre alla sua carica comunicativa ma maggiormente professionale, quindi legata ad una professione ben specifica utile per rendicontare gli obiettivi che si sono posti, e quello che si è fatto in riferimento ad essi; pertanto si possono considerare due autori importanti ovvero William Grabe (William Grabe, 2008) e Robert B. Kaplan (Kaplan, 1997). Da menzionare è anche la varietà delle forme scritte ed ognuna delle quali ha una essenza differente, che come è stato suddetto alcune sono fondamentali per la professione che si esercita; ma in altre circostanze è necessaria per instaurare una rete di relazioni sociali e per poter utilizzarle tutte, è importante che si conoscano le regole grammaticali della lingua che si sta parlando. (La Nuova Italia, pp. 3-40)

Per comprendere dunque i molteplici usi della scrittura è indispensabile capire il perché la gente scrive, a chi scrive, quali tipi di scrittura sono realizzati, con quale scopo creando una varietà di forme scritte che si intrecciano fra loro e dal quale dipende la capacità di controllo della lingua e dei suoi usi.

Odiernamente sussiste il bisogno di praticare una scrittura efficace e funzionale in riferimento alle esigenze comunicative del mondo. La richiesta sociale di livelli mediamente più alti di alfabetizzazione, richiede un passo avanti nella diffusione e generalizzazione di tecniche didattiche riguardanti la scrittura e per raggiungere questo obiettivo si fa uso di nuove scienze come quella del linguaggio, della comunicazione, della psicologia e della pedagogia. (La Nuova Italia, pp. 3-40)

In riferimento a quanto suddetto, esistono quattro abilità linguistiche ossia ascoltare, parlare, leggere e scrivere, ma gli studiosi durante i loro apprendimenti cercano di evitare il rischio di considerare la scrittura e la lettura come delle capacità e competenze distinte; di fatti queste sono strettamente correlate ed a rafforzare questo pensiero ci pensano Carlo Bernardini e Tullio De Mauro i quali dissero che “sia leggere che scrivere evocano accezioni diverse e parallele” (…) “Ai livelli più alti, leggere e scrivere indicano attività molto complicate (…), “per entrambi i verbi, le diverse accezioni sono come gradini di una scala, non si sale a uno successivo se non si è superato il primo, ciascuno più alto implica i precedenti.(Bernardini-De Mauro, 1985.)

Da queste parole trapela la complessità di queste due capacità che sono cresciute negli anni e che implica il possesso di tecniche articolate che possono essere imparate e insegnate. Pertanto, un rilevante problema è che la scrittura, così come la lettura, sono viste come strumenti e non come oggetto di apprendimento. Per attuare questo cambiamento è necessario che siano chiare a tutti quanto sia complesso produrre testi scritti; di fatti la dimensione sintattica riguarda le scelte di costruzione di una frase, la capacità di connetterla con tutto il testo; la dimensione pragmatica comporta la necessità di tenere sempre presenti i destinatari possibili del testo; la dimensione semantica riguarda la conoscenza che si ha degli argomenti che si vogliono trattare, mentre la dimensione espressiva riguarda le modalità di realizzazione materiale del segnale. ( La Nuova Italia, pp. 3- 40)

Imparare a controllare contemporaneamente queste quattro dimensioni significa imparare a muoversi consapevolmente entro spazi legati a regole e vincoli di vario tipo; pertanto un obiettivo dell’educazione linguistica è quello di riuscire a garantire ai giovani la pluralità delle soluzioni espressive che la lingua mette a disposizione, la capacità di imparare a praticarle in diverse situazioni. (La Nuova Italia, pp. 3-40) Tuttavia, sulla base dei pochi studi esistenti, le possibilità di scrittura e di composizione grafico-tipografica del testo messe a disposizione dai programmi di scrittura, sembrano influenzare sia l’estensione del testo sia la sua riscrittura almeno in situazioni didattiche osservabili.

Flower e Hayes hanno elaborato un modello cognitivo del processo di scrittura secondo il quale i processi di scrittura sono interattivi, intrecciati e simultanei; inoltre, la composizione è indicata come un’attività che è diretta a uno scopo. Bereiter e Scardamalia, invece, sostengono che esistono differenti modelli nelle diverse fasi di sviluppo della capacità di scrittura. Attualmente la dominante ricerca su processi cognitivi della scrittura sembra privilegiare il rapporto che si stabilisce tra chi scrive e chi

legge; inoltre, ciò che emerge dalle ricerche sui processi di scrittura è che molte acquisizioni di base sono ormai largamente disponibili e utilizzabili per la didattica della scrittura, tuttavia, da ulteriori ricerche si è dimostrato che chi scrive pianifica a lungo il testo, ipotizza più piani di lavoro, rivede e riadatta il lavoro su delle valutazioni precise, mette insieme più prospettive nella stesura della bozza del testo, lo rivede in funzione più dei suoi scopi generali che delle di singole porzioni di esso e dispone di un’ampia gamma di strategie di scrittura e di revisione-riscrittura. ( La Nuova Italia, pp. 3-40)Tutte queste ricerche, condotte prevalentemente in ambiente anglo-americano, hanno dimostrato la necessità di avere tecniche didattiche esplicite per l’insegnamento della scrittura; pertanto è doveroso sottolineare che quanto esposto è anche riportato nelle ricerche condotte sia da Bereiter e Scardamalia che da Flower e Hayes.

Da tutti questi studi si evince che anche la scrittura ha la natura di problem-solving per cui è necessario avere autodisciplina, capacità di valutazione, diagnosi e riflessione. Si può notare che delle professioni come insegnanti, giornalisti, politici, sindacalisti, amministratori pubblici, comunicatori sociali necessitano di una quantità di produzione scritta e parlata maggiore di quella richiesta a chi esercita altri mestieri.

Esistono, infatti, soprattutto nella scrittura per la comunicazione, delle regole oggettive che consentono di produrre testi adeguati alle diverse situazioni d’utenza, tenendo in considerazione il destinatario, gli obiettivi, le condizioni di ricezione dei testi; tali regole possono essere imparate, ma qualcuno deve conoscerle e insegnarle.

Per trasparenza delle forme linguistiche ci si riferisce a tutte quelle che hanno una funzione informativa, formativa, regolativa, normativa, legislativa e che devono avere una massima chiarezza, semplicità e precisione, per ridurre al minimo i rischi di ambiguità nella (ri)costruzione del senso da parte del ricevente; in tal contesto è fondamentale una precisazione terminologica e ciò riconduce al concetto di scrittura oggettiva con la quale si fa riferimento a quattro sensi (De Mauro, Vedovelli, Piemontese, 1986; Lucisano e Piemontese, 1988:), ovvero alla decifrabilità materiale in altre parole la calligrafia, la grafica, l’impaginazione e stili, il tipo e il grado di interesse del lettore per il contenuto del testo; le caratteristiche formali lessicali e sintattiche che rendono il testo agevole; all’organizzazione logico-concettuale, cioè il grado di pianificazione del testo.

In conclusione è fondamentale menzionare il libro Proust e il calamaro (Wolf, 2012), il quale spiega in modo scientifico come sia nata la lettura e come si sia dovuto trasformare il cervello per poter leggere poiché per poterlo fare l’uomo si è evoluto e si è adattato a differenza del guardare immagini che lo ha fatto sin dalle origini; infine, come descritto nel libro citato, la scrittura può comunicare un messaggio con simboli che il nostro cervello è stato costretto ad imparare e ad associarli a immagini, a concetti di sua conoscenza.

Bibliografia

  1. Bernardini-De Mauro, 1985: 14-17; La scrittura: un caso di problem solving
  2. De Mauro, Vedovelli, Piemontese, 1986; Lucisano e Piemontese, 1988: 110-124; De Mauro, 1999; Lucisano, 1992, Piemontese, 1996: La scrittura: un caso di problem solving
  3. Estratto da A.R. Guerriero a cura di Laboratorio di scrittura, Quaderni GISCEL, Scandicci-Firenze, La Nuova Italia, pp. 3-40
  4. ISELLA, Dante di Serena Andreotti Ravaglioli
  5. Robert B., October, 1997: Language Planning: From Practice to Theory
  6. Heidegger, Martin. Saggi e Discorsi, 1976. Edizioni Mursia, Milano.
  7. Maryanne Wolf (2012): Proust e il calamaro: Storia e scienza del cervello che legge
  8. William Grabe, 30 dicembre 2008: [Reading in a Second Language: Moving from Theory to Practice]
  9. Revista de Filología Románica di Linda GAROSI 2015: L’evocazione del reale tra pittura e scrittura negli esordi narrativi di Carlo Dossi