Scrivere il genere e fare educazione

A cura di: Ilaria Catanese

Introduzione

Il sistema educativo è un contesto enormemente determinante per confermare, difendere e modificare le differenze tra i generi. È necessaria un’educazione che produca una pluralità di modelli identitari di genere, coinvolgendo le varie agenzie di socializzazione (famiglia e pari), al fine di decostruire gli stereotipi dominanti. Il genere è qualcosa che si ‘fa’, quindi c’è il modo per disfarlo attraverso la scomposizione dei modelli dominanti di femminilità e mascolinità, per arrivare alla diversificazione dei modelli di genere.

Selmi (2010), in questo caso, sostiene che il sistema educativo abbia un ruolo risolutivo, in cui sarebbe importante educare al desiderio e a sfidare gli stereotipi di genere. Infatti, I contesti scolastici appaiono oggi in difficoltà, in particolar modo si trovano di fronte a delle lacune riguardo all’informazione, tra cui la disinformazione riguardo le tematiche degli studi di genere, le poche iniziative al riguardo e la mancanza di un’adeguata promozione degli studi. Si invitano, dunque, gli istituti scolastici a potenziare le proposte educative intorno all’educare al genere rivolte sia al personale educativo e sia ai ragazzi (S. Leonelli, G. Selmi, 2010).

L’obiettivo principale dell’articolo è quello di fornire gli strumenti e le informazioni necessarie per comprendere la complessità che caratterizza il genere, attraverso un approccio interdisciplinare che offre numerosi spunti di analisi dal punto di vista pedagogico.

1. Il genere, oggi

Nel 1975 l’antropologa Gayle Rubin introdusse il concetto di genere specificando che le diseguaglianze tra uomini e donne non fossero la conseguenza naturale dei loro corpi, ma il prodotto di una costruzione sociale e culturale. Il concetto di genere si crea, dunque, attraverso dei processi di socializzazione ed organizzazione sociale, collocandosi tra le varie interpretazioni che la società attribuisce alle differenze tra maschile e femminile (Gamberi, Maio, Selmi, 2000).

Judith Butler, massima teorizzatrice del genere, spiega che «il genere è una costruzione culturale» (J. Butler, 2013). Quando si parla di differenze biologiche si fa riferimento al sesso biologico, il quale viene assegnato alla nascita ed è stabilito dalle caratteristiche biologiche del nostro corpo (maschio e femmina).

Il termine genere è un concetto che non ha un significato univoco e determinato, ma ha una valenza ‘fluttuante’, in cui l’essere uomo e donna va analizzato tramite le realtà socio-culturali e le relazioni tra i sessi, considerando la loro complessità ed articolazione. L’interpretazione del modo di essere uomo o donna è soggetta ad una molteplicità di esperienze e caratteristiche che variano nel tempo e nelle culture.

1.1 Genere e identità

È, inoltre, necessario prendere in considerazione una fondamentale connessione tra due termini rilevanti sul piano dei processi socioculturali: genere e identità. Questi due elementi sono strumenti fondamentali per cambiare la società e la cultura. Il genere è un’esperienza che costituisce l’identità, entrambe dimensioni mutevoli che si ridefiniscono in continuazione, oltrepassando quel limite posto dalla società che definisce il maschile ed il femminile.

Quando si parla di identità di genere è necessario avere la consapevolezza che il genere è sempre un processo. Le identità di genere, infatti, vengono modellate all’interno di contesti differenti in base ai bisogni dell’essere umano.

Di Cristofaro Longo afferma che l’essere umano non può esistere senza cultura, e viceversa. Ciò che differenzia un soggetto da un altro è, infatti, la cultura. Esiste una coerente relazione tra essere umano e cultura, poiché i processi di costruzione dell’identità avvengono in un determinato contesto e con un impegno attivo del soggetto (R. Pace, 2010).

Le differenze individuali sono le risorse del mondo, in quanto tali vengono valorizzate la ricchezza culturale ed interculturale di ogni individuo. L’identità di genere, dunque, è una matrice sociale che permette ai singoli e ai gruppi di potersi relazionare: oltre a permettere uno scambio di conoscenze differenti, permette di interagire con una molteplicità di identità che definiscono l’unicità di un soggetto. L’identità, per tale motivo, non è unica ma molteplice. La dimensione relazionale è fondamentale poiché permette l’interazione fra gli individui ed in particolar modo elimina il limite presente tra le due dicotomie (maschile e femminile), in quanto avviene un continuum di definizioni tra un individuo e l’altro.

Il concetto di genere, dunque, oltre ad essere una costruzione culturale, è il risultato dei processi di socializzazione ed organizzazione sociale. Ognuno di noi, in ogni momento della propria quotidianità, interpreta e produce il genere. Non partecipano unicamente i singoli soggetti ma tutte le agenzie di socializzazione (private e pubbliche) come: la famiglia, la scuola, i pari, i mezzi di comunicazione, il partner, il lavoro ed il linguaggio. Oltre al contributo delle agenzie, i processi di costruzione dell’identità sono fortemente influenzati dalle nuove tecnologie, dalle varie evoluzioni e rivoluzioni storiche ed economiche, in particolar modo dalla globalizzazione.

2. Stereotipi di genere

Nella sfera sociale gli stereotipi sono un insieme di credenze che un determinato gruppo sociale agisce nei confronti di un comportamento, evento, oggetto di un altro gruppo sociale. Queste credenze vengono formulate dalla presenza di pregiudizi (per lo più negativi), che hanno una continuità temporale e una certa resistenza al cambiamento soprattutto riguardo agli stereotipi di genere. Questi stereotipi hanno permesso di consolidare modelli definiti di uomo e donna in cui, ad esempio, l’uomo è visto come un soggetto indipendente e forte, mentre la donna come un soggetto disposto al lavoro di cura e all’ascolto (F. Fusco, 2009).

La base di partenza per la costruzione di uno stereotipo è la presenza di un prototipo, nel momento in cui questo viene ripetuto più volte, rivolgendosi sempre allo stesso oggetto, si trasforma in stereotipo. Quando si parla di identità di genere e identità sessuale, emergono le prime forme di stereotipizzazioni, poiché ognuno di noi ha un’immagine stereotipata dell’altro. In riferimento alla costruzione dello stereotipo, è necessario discutere del termine ‘sistema’, dal momento in cui lo stereotipo crea un vero e proprio sistema. In questo sistema è presente la costruzione della realtà, che non coincide con la realtà veritiera ed oggettiva, ma fa affidamento a pensieri e ideologie del soggetto. A sua volta, la realtà intersoggettiva viene scambiata attraverso le interazioni con l’altro, con il quale si crea una realtà condivisa data dalla negoziazione e rinegoziazione degli stereotipi all’interno di un gruppo. Per questo motivo le agenzie di socializzazione sono un fattore determinante, trasmettono e potenziano gli stereotipi.

Tra le diverse tipologie di stereotipi presenti nelle società moderne, esistono gli stereotipi verso l’identità sessuale e di genere. Per quanto riguarda l’identità sessuale, nella normalità c’è una preferenza eterosessuale, in cui la distinzione tra maschio e femmina avviene attraverso l’assegnazione di determinate caratteristiche sia a uno che all’altro.

2.1 Le pressioni sociali

Le prime pressioni per appartenere ad un gruppo sociale sono domande precise a cui bisogna rispondere in modo netto. Queste domande sorgono poiché si ha la paura di non essere nella norma, e successivamente di non essere abbastanza maschio o femmina. Per non cadere nelle gabbie identitarie date dagli stereotipi, si dovrebbe aumentare i livelli di comprensione e tolleranza della diversità, riducendo così la tensione verso il normale (C. Gamberi, M.A. Maio, G. Selmi, 2000).

Il pensiero e le pressioni dei gruppi sociali a cui si appartiene sono generatori di stereotipi, che veicolano un’idea predefinita del maschile e il femminile. Gli esseri umani tendono a rivolgersi nella direzione del ‘normale’, per evitare il rifiuto e la paura di non essere socialmente accettati. Questo processo comportamentale elimina la fluidità del genere ed ha una valenza negativa sulla costruzione dell’identità di genere.

Il modello di organizzazione della società tradizionale è basato sulla divisione tra donne e uomini con funzioni, caratteristiche e poteri diversi, in cui i gruppi sociali vengono classificati attraverso una convenzione binaria. Con l’arrivo dei Queer Studies, in cui sono stati messi in discussione le costruzioni binarie di sesso e genere, l’identità sessuale ha ricevuto maggiore attenzione ed importanza.

L’educatore ha il compito di comprendere e valorizzare le diversità dell’individuo a cui si fa riferimento, le azioni vengono orientate verso il contesto di riferimento con l’utilizzo di atteggiamenti e comportamenti costituiti dagli stereotipi di partenza. Dovrà rimuovere e allontanare gli stereotipi, mettere in atto alcune strategie per raggiungere tale scopo possono dare più consapevolezza e conoscenza. Acquisire consapevolezza sul fatto che ognuno di noi è un generatore di pensieri e idee che possono creare stereotipi e pregiudizi; infatti, è necessario prestare attenzione all’utilizzo dei termini principali (come ad esempio: normalità, eterosessualità) indirizzandoli in base al contesto di riferimento. Infine, è necessario creare strategie in grado di permettere la decostruzione dell’ovvio.

Selmi parla di stereotipo di genere come un processo affascinante poiché è in grado di diventare più forte della realtà stessa. Infatti, quando un individuo crede allo stereotipo, modella la propria vita in base all’idea stereotipata che ha. L’ambiente familiare è un luogo di generazione degli stereotipi, in cui vengono riprodotti modelli di genere tradizionali, è necessario decostruire i modelli di genere tradizionali attivando percorsi educativi per le famiglie, proponendo attività per l’acquisizione di maggiore conoscenza e consapevolezza del genere (S. Leonelli, G. Selmi, 2010).

Gli stereotipi e i pregiudizi sono il prodotto di categorizzazioni sociali volte a suddividere gli individui in due gruppi; outgroup e ingroup. Il primo si riferisce al gruppo esterno, il secondo al proprio gruppo di appartenenza. Le conseguenze della categorizzazione sono, tra le più importanti, la differenziazione e l’assimilazione, gli individui tendono a marcare le differenze tra i soggetti dei gruppi esterni e sovrastimare i membri appartenenti al proprio gruppo. La categorizzazione è un processo cognitivo che rappresenta una caratteristica dell’esistenza umana. Le categorie di genere, in questo caso, hanno un’utilità sociale in quanto sono elementi di riduzione della complessità del reale, danno forma alle generalizzazioni e le interpretazioni della realtà (C. Satta, I. Biemmi, 2017).

3. Educare al genere

I termini che definiscono la categoria di genere sono il risultato della negoziazione tra individui e società. In questo caso, il sistema educativo è un contesto assai determinante per confermare, difendere e modificare le differenze tra i generi. È necessaria un’educazione che produca una pluralità di modelli identitari di genere, coinvolgendo le varie agenzie di socializzazione (famiglia e pari), al fine di decostruire gli stereotipi dominanti. Il genere è qualcosa che si ‘fa’, quindi c’è il modo per disfarlo attraverso la scomposizione dei modelli dominanti di femminilità e mascolinità, per arrivare alla diversificazione dei modelli di genere.

Selmi (2010) sostiene che il sistema educativo abbia un ruolo risolutivo, in cui sarebbe importante educare al desiderio e a sfidare gli stereotipi di genere. Educare al genere è un tipo di approccio educativo che permette di pensare all’individuo in base a ciò che è favorevole per la propria esistenza, trasgredire ai modelli dominanti per poter eliminare la dicotomia tra maschile e femminile e la paura di prendere decisioni tradizionali. Le agenzie di socializzazione svolgono un ruolo cruciale: insegnanti, genitori, educatori e pari; dovranno imparare a pensare oltre al rapporto binario tra i generi. Ma elaborare un discorso critico sul piano dell’educare al genere comporta un radicale ripensamento del modo tradizionale di fare scuola, ad esempio valorizzando la neutralità dell’insegnante.

I contesti scolastici appaiono oggi in difficoltà, in particolar modo si trovano di fronte a delle lacune riguardo all’ informazione, tra cui la disinformazione riguardo le tematiche degli studi di genere, le poche iniziative al riguardo e la mancanza di un’adeguata promozione degli studi. Si invitano, dunque, gli istituti scolastici a potenziare le proposte educative intorno all’educare al genere rivolte sia al personale educativo e sia ai ragazzi (S. Leonelli, G. Selmi, 2010).

L’educazione al genere e la pedagogia di genere sono dei programmi per formare tutti i professionisti nel campo dell’educazione, permettendo una trasformazione culturale e sociale. Per poter agire sul campo, è necessario soffermarsi sulle differenze tra pedagogia di genere e educazione al genere.

3.1 Il “meta-livello” della pedagogia di genere

Leonelli (2011) definisce la pedagogia di genere come un “meta-livello”, cioè una teoria di come si dovrebbero orientare i programmi educativi per introdurre un progetto di genere. Si occupa, in particolare, di aspetti fondamentali come la rilevazione dei modelli impliciti di bambine e bambini a cui fanno riferimento gli insegnanti, gli educatori e le famiglie quotidianamente. Inoltre, è necessaria l’osservazione dei modelli e come questi vengono espressi attraverso le azioni, studiare i legami tra l’educazione di genere e il mondo globale dell’educazione, ed infine confrontare il passato con il futuro, soprattutto, l’avvenire delle nuove teorie legate al genere.

La pedagogia di genere ha un atteggiamento costruttivo in quanto serve a promuovere una riflessione in grado di affrontare le emergenze e le nuove problematiche che si creano all’interno delle strutture educative. L’azione educativa, dunque, è fondamentale perché permette di plasmare l’interpretazione personale della propria appartenenza di genere e del corpo. È utile tenersi aggiornati sugli studi di genere sui cambiamenti che avvengono nel corso del tempo, realizzando progetti di educazione di genere che sappiano riferirsi alla pluralità e consapevolezza critica. Attualmente la pedagogia legata agli studi di genere ha un approccio critico e costruttivo, poiché studia l’identità attraverso la sua molteplicità, sia nell’ambito maschile e sia in quello femminile. Lo scopo è quello di agire su ciò che fa parte del sistema binario di genere dominante, il passaggio da un sesso all’altro, l’omosessualità e l’intersessualità. Il percorso pedagogico dedicato al genere fa fatica ad essere introdotto negli istituti educativi, soprattutto nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria.

Conclusioni

L’obiettivo dell’educazione al genere è offrire ai giovani studenti le conoscenze di base e portarli alla consapevolezza della propria identità di genere, includendo la dimensione cognitiva, relazionale ed emotiva. Bisogna unire il saper ‘essere’ con il saper ‘fare’, il primo termine indica la conoscenza di sé stessi e dei propri valori, il secondo termine si riferisce allo sviluppo delle competenze cognitive e relazionali.

È necessario costruire uno spazio multidisciplinare all’interno dell’ambiente scolastico, offrendo conoscenze e nozioni storiche, antropologiche e filosofiche. Per fare educazione al genere è consigliato utilizzare metodologie didattiche attive, alcune di queste possono essere tecniche e giochi che facilitano la partecipazione dei giovani sia sul piano emotivo che cognitivo.

Si ricordano tecniche come: la narrazione, il lavoro di gruppo, l’analisi dei casi, la visualizzazione, il brainstorming, il role play, la simulazione ed il problem solving (C. Gamberi, M.A. Maio, G. Selmi, 2000).

Infine, è importante ridefinire il ruolo dell’insegnante o dell’educatore. Oltre alle funzioni tradizionali dell’insegnante, è necessario svolgere il ruolo di facilitatore e di conduttore delle attività didattiche con un’attenzione costante alle differenze di genere.

Nelle metodologie didattiche, dunque, è utile proporre giochi e attività che suscitano interesse ai ragazzi, strutturando lavori individuali, di coppia o in gruppo. Bisogna fornire materiali adeguati e saper creare uno spazio di libertà, ascolto, partecipazione, riflessione e di interesse reciproco.

Bibliografia

  1. Biemmi, I., & Satta, C. (2017). Infanzia, educazione e genere. La costruzione delle culture di genere tra contesti scolastici, extrascolastici e familiari. AG AboutGender International Journal of Gender Studies, 6(12), 1-21.
  2. Butler, J. (2006). La disfatta del genere (Vol. 32). Meltemi Editore srl.
  3. Butler, J. (2013). Questione di genere: il femminismo e la sovversione dell’identità. Gius. Laterza & Figli Spa.
  4. Fusco, F. (2009). Stereotipo e genere: il punto di vista della lessicografia. Linguistica, 49(1), 205-225.
  5. Gamberi, C., Maio, M. A., & Selmi, G. (Eds.). (2010). Educare al genere: riflessioni e strumenti per articolare la complessità. Carocci.
  6. Leonelli, S., Selmi, G., & dello Storico, L. L. B. (2010). Educare al genere: appunti di un seminario. La camera blu. Rivista di studi di genere, (6), 131-140.
  7. Leonelli, S. (2011). La Pedagogia di genere in Italia: dall’uguaglianza alla complessificazione. Ricerche di Pedagogia e Didattica. Journal of Theories and Research in Education, 6(1)
  8. Pace, R. (2010). Identità di genere: libertà nel fare e nel disfare. Identità di genere, 1000-1032.