Coming out: dichiararsi a se stessi e al mondo

coming out

Il momento in cui una persona prende coscienza del proprio orientamento sessuale e della propria identità di genere rappresenta una pietra miliare nella costruzione della sua personalità e del suo modo di rapportarsi con sé e con gli altri.

Tuttavia, per chi ha un orientamento sessuale o un’identità di genere che non corrisponde a quanto considerato “normale” secondo la visione eteronormativa, si tratta di un momento estremamente delicato, che pone l’individuo di fronte a nuove domande e nuove sfide, prima fra tutte la scelta di fare o meno (e con chi) coming out.

Cosa vuol dire fare “coming out”

L’espressione inglese “coming out” deriva dalla frase “coming out of the closet” (letteralmente “uscire dall’armadio/ripostiglio”, figurativamente “uscire allo scoperto”) e fa riferimento all’atto di dichiarare apertamente il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere.


Con questa espressione si intende, quindi, la scelta di un individuo di condividere con una o più persone informazioni su di sé. Questa decisione non è, tuttavia, da considerarsi come un evento “unico”, poiché in molti casi si tratta di un processo che si ripete più volte nella vita di una persona: ogni volta che si entra in contatto con nuovi ambienti e contesti sociali, si inizia un nuovo lavoro o si conoscono persone nuove, la scelta tra dichiararsi o meno si ripresenta e si è chiamati a valutare quando, come e con chi aprirsi.

Ben diversa è la situazione in cui sia una terza persona a rivelare l’orientamento sessuale o l’identità di genere di qualcuno, senza chiederne il consenso: in questo caso, anziché di “coming out” si parla di “outing”.

Fare coming out in famiglia

Se parlare dei propri sentimenti con amici e coetanei può essere fonte di imbarazzo o di insicurezza, i timori sono spesso ancora più forti nel momento in cui si decide di fare coming out in famiglia. 

A meno che l’argomento non sia già stato affrontato in casa, infatti, non sempre è facile formarsi un’idea su quali siano le opinioni dei propri genitori o familiari in merito a certi temi ed è naturale provare una certa apprensione nel non sapere come potrebbero reagire di fronte alla propria dichiarazione: in modo aperto e accogliente oppure aggressivo? Con parole di amore, accettazione o delusione e rifiuto? Con disprezzo, sgomento, oppure totale indifferenza? 

La paura delle possibili conseguenze negative può, quindi, portare una persona a rimandare il più possibile il momento del confronto, nascondendosi dietro a bugie o mezze verità oppure isolandosi ed evitando completamente la discussione. In altri casi, prima di affrontare l’argomento in modo diretto, può provare a “tastare il terreno” con affermazioni vaghe, sperando di far sì che la famiglia comprenda la situazione senza bisogno di una dichiarazione “ufficiale”.  

Ovviamente, ogni situazione è diversa e non esiste una regola aurea su come o quando sia “giusto” dichiararsi alla propria famiglia -così come non c’è un momento giusto per fare coming out con gli amici, i compagni di classe o i colleghi di lavoro-, ma si tratta di un passo fondamentale per la costruzione di un buon rapporto non solo con i propri genitori e parenti, ma anche e soprattutto con se stessi.

L’importanza del coming out

L’importanza del coming out risiede proprio nel fatto che “uscire allo scoperto” significa poter vivere i propri sentimenti e le proprie relazioni liberamente, alla luce del sole, e mostrarsi al mondo per come si è, senza nascondersi o indossare maschere di circostanza.

Fare coming out aiuta a migliorare il benessere sia personale che sociale: da un lato, infatti, migliora l’autostima e porta a una maggiore accettazione di sé; dall’altro, contribuisce alla costruzione di relazioni più solide e durature, aumentando il livello di intimità, fiducia e confidenza reciproca.

Viceversa, per comprendere cosa voglia dire vivere “in the closet”, basta provare l’esperimento mentale proposto dallo psicologo statunitense Mark Blechner: pensate di non poter più nominare il vostro partner o la vostra partner, di non poter più parlare di “noi” ma di dover usare sempre e solo la prima persona singolare quando raccontate di eventi della vostra vita, di non poter partecipare ad eventi sociali in coppia. O ancora, nel caso di disturbi dell’identità di genere, di dover utilizzare nomi e pronomi che corrispondono al vostro sesso biologico, indossare abiti o assumere atteggiamenti che corrispondono a un genere in cui non vi riconoscete, e così via.

In breve tempo, l’impossibilità di esprimervi liberamente e il bisogno di misurare continuamente le vostre parole e le vostre azioni vi porterebbe a sperimentare un forte senso di isolamento e, via via, ad evitare sempre di più situazioni potenzialmente “a rischio”. 

Queste sensazioni di solitudine e di estraniamento sono molto comuni tra le persone che vivono nascondendo il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere e, sul lungo periodo, possono portare anche all’insorgere di veri e propri disturbi psicologici.