“Great Resignation”: cosa ci insegna il fenomeno delle Grandi Dimissioni?

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“Great Resignation”. “Great Attrition”. “Big Quit”. “Grandi Dimissioni”. È da qualche tempo, ormai, che si parla di questo fenomeno: decine di milioni di persone in tutto il mondo che scelgono di lasciare il proprio impiego perché insoddisfatte delle proprie attuali condizioni di lavoro o per ricercare una maggiore realizzazione di sé.

I primi segni della Great Resignation sono stati osservati negli Stati Uniti già nei primissimi mesi del 2021, e il resto del mondo ha seguito poco dopo. Secondo le rilevazioni del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, solo in Italia, tra aprile e giugno del 2021, si sono registrate 484mila dimissioni volontarie, il 37% in più rispetto al trimestre precedente e l’85% in più rispetto allo stesso periodo del 2021.

Cos’è la Great Resignation

Con l’espressione “Great Resignation” si fa riferimento allo straordinario e -apparentemente- immotivato aumento delle dimissioni volontarie a partire dai primi mesi del 2021.

Si tratta, quindi, di un fenomeno sociale ed economico dalla portata considerevole, che non può essere spiegato semplicemente con le fisiologiche dinamiche di turnover aziendale o con la tendenza al “job hopping” (letteralmente “saltare da un lavoro all’altro”), sempre più comune soprattutto tra Millennials e Generazione Z.

Se da un lato, infatti, la tendenza a cambiare lavoro con una certa frequenza è effettivamente aumentata nel corso degli anni e oggi in media un dipendente resta nella stessa azienda circa 4 anni, la ragione è quasi sempre stata la ricerca di un miglioramento economico – che, “saltellando” con astuzia, può arrivare fino a un 30% in più nello stipendio.

Le motivazioni dietro il fenomeno Grandi Dimissioni, però, non sembrano legate al desiderio di una retribuzione maggiore o di posizioni più prestigiose, bensì all’adozione e alla diffusione di una nuova prospettiva nei confronti del concetto stesso di lavoro.

Perché le persone lasciano il lavoro

Negli ultimi due anni, moltissimi lavoratori in tutto il mondo hanno avuto modo di sperimentare paradigmi diversi e inesplorati, sia sul posto di lavoro che nella vita privata. Allo stesso tempo, la crescente sensibilizzazione sui rischi dello stress da lavoro correlato e la sindrome di burnout ha portato una maggiore attenzione ai temi del benessere psicologico e della job satisfaction.

Questi cambiamenti hanno certamente portato a nuove esigenze, nuove aspettative e nuove priorità da parte dei lavoratori.

Da concetti quasi astratti e sconosciuti alla grandissima maggioranza delle persone, flessibilità, smart working e “work-life balance” sono gradualmente diventate le nuove parole chiave del mondo del lavoro. La cosiddetta cultura del “workism”, ovvero la convinzione che il lavoro rappresenti la pietra angolare della propria identità, è stata, se non del tutto superata, quantomeno messa in discussione.

Inoltre, l’allontanamento -anche temporaneo- dal luogo fisico di lavoro ha avuto un effetto destabilizzante sul senso di identificazione dei lavoratori con la propria organizzazione. Da “dipendente dell’azienda X”, molti hanno ricominciato a vedersi come individui o come membri di altri gruppi sociali: come padri, madri, partner, ma anche come professionisti, fan o hobbisti.

Chi sceglie di lasciare il proprio impiego, oggi, lo fa alla ricerca di una realtà che garantisca il suo benessere e la sua gratificazione personale, che abbia rispetto del suo tempo libero, gli permetta di sviluppare le proprie competenze e metterle in pratica con incarichi più mirati e soddisfacenti, in clima di lavoro etico e collaborativo.

Cosa ci insegna il fenomeno delle Grandi Dimissioni

Il fenomeno delle Grandi Dimissioni evidenzia, innanzitutto, come il sistema di lavoro “tradizionale” non sia più considerato adeguato e soddisfacente. Non da tutti, almeno.

Il focus sembra, infatti, essersi spostato da “ciò che io posso fare per l’azienda”, con il mio tempo, le mie energie, le mie conoscenze e le mie capacità, a “ciò che l’azienda può fare per me”, con le sue risorse, il suo rispetto, le sue opportunità.

Da “eccezione”, il lavoro da casa è diventata per molti la normalità, così come lo è diventata la possibilità di avere orari più flessibili, ma non solo. Doversi confrontare con qualcosa di completamente nuovo e inesplorato, mettersi alla prova con l’uso di tecnologie poco conosciute e ritrovarsi ad affrontare una vera e propria sfida lavorativa, forse per la prima volta in anni di carriera, ha generato un rinnovato interesse verso la formazione personale e l’acquisizione di nuove competenze.

Per venire incontro alle nuove esigenze dei lavoratori, quindi, è essenziale confrontarsi con loro, mettersi in ascolto e capire quali sono le azioni concrete e i comportamenti che si aspettano di vedere sul posto di lavoro.

Ruoli, incarichi e responsabilità sono assegnati alle persone “giuste”?
I carichi di lavoro sono distribuiti equamente all’interno del team?
L’azienda offre delle reali opportunità di crescita e di formazione?
Quanta attenzione viene data alla flessibilità e all’equilibrio vita-lavoro?

Sono domande come queste che possono alimentare il dialogo e aiutare datori di lavoro e addetti alla gestione delle risorse umane a capire da cosa stanno fuggendo i “grandi dimissionari” e in che direzione stanno andando.