Il bias del sopravvissuto: quando la storia racconta dei vincitori

bias del sopravvissuto

Quando si parla di grandi eventi, scontri politici o guerre, spesso si sente dire che “la storia la scrivono i vincitori”, per evidenziare come non sempre ciò che viene raccontato corrisponde esattamente alla realtà; allo stesso modo, in molte circostanze, le persone tendono a considerare soltanto le caratteristiche e il punto di vista dei vincitori, trascurando gli altri elementi della storia: questo fenomeno prende il nome di survivorship bias o bias del sopravvissuto.

Cos’è il bias del sopravvissuto

Il bias del sopravvissuto è un bias cognitivo che si manifesta quando, nella valutazione di una situazione, si prendono in considerazione esclusivamente quegli elementi che hanno già superato un processo di selezione (i “sopravvissuti”, per l’appunto).

A causa di questo bias, spesso percepiamo il successo come più frequente di quanto non sia e trascuriamo informazioni importanti sulle cause, invece, del fallimento. In moltissime circostanze, infatti, i dati visibili e disponibili si riferiscono solo a quelli che “ce l’hanno fatta” e, per questo motivo, non siamo in grado di ricostruire un quadro completo.

Il survivorship bias ci porta, quindi, a sviluppare una percezione ottimistica ma fuorviante della realtà: eleviamo i vincitori a modelli per capire cosa fare per avere successo nella vita ma, allo stesso tempo, ignoriamo completamente i perdenti, che potrebbero insegnarci, invece, quali sono i rischi, cosa può andare storto, a cosa fare attenzione.

Per superare questo errore logico è, quindi, necessario innanzitutto essere più consapevoli della sua esistenza e di come condiziona il nostro modo di pensare e, in secondo luogo iniziare ad ascoltare, a porre domande e a interessarsi anche delle storie di chi non ce l’ha fatta, di non chi non ha raggiunto il suo obiettivo.

Esempi ed effetti del bias del sopravvissuto

Il bias del sopravvissuto è uno dei bias cognitivi più diffusi ma, allo stesso tempo, più difficili da riconoscere perché, basando le nostre opinioni e le nostre decisioni sulle informazioni che abbiamo a disposizione, tendiamo naturalmente a trascurare il peso quelle che ignoriamo o che non sono (più) reperibili. 

Aviazione

La “scoperta” del bias del sopravvissuto si fa risalire a uno specifico evento, avvenuto negli anni ‘40 negli Stati Uniti, e a una specifica persona, il matematico e statistico ungherese Abraham Wald.

Durante la Seconda guerra mondiale, il Gruppo di Ricerca Statistica della Columbia University condusse degli studi finalizzati a minimizzare le perdite di bombardieri. Esaminando le condizioni degli aerei rientrati dalle missioni, l’esercito americano riteneva opportuno rinforzare le aree dell’aereo che avevano subito più danni. In contraddizione con questa conclusione, Wald suggerì invece di aggiungere armature alle zone che non riportavano danni o presentavano soltanto danni minori. 

Questo approccio all’apparenza controintuitivo si basava sulla realizzazione da parte dello statistico del fatto che gli aerei disponibili per l’analisi erano solo quelli che, per quanto danneggiati, erano riusciti a tornare; di conseguenza, Wald comprese che gli aerei che non erano rientrati dovevano aver subito danni nei punti che si presentavano ancora integri sui superstiti, ovvero quei punti che, se colpiti, potevano portare a gravi malfunzionamenti e alla conseguente perdita del mezzo.

Architettura

Anche quando si parla di architettura e d’ingegneria siamo spesso soggetti al bias del sopravvissuto, come dimostra il pensiero comune che “i ponti romani sono ancora lì, mentre quelli moderni crollano”.

La verità è che non tutti i ponti romani sono arrivati fino a noi, ma soltanto i più resistenti. 

Le costruzioni e gli edifici storici che vediamo ancora in piedi sono solo una piccola parte di tutti quelli che sono esistiti nel corso dei secoli, sono i “vincitori” e i superstiti di una costante evoluzione che ha visto scomparire i fabbricati più fragili o meno funzionali a favore di strutture più moderne.

L’architettura del passato di cui possiamo godere ancora oggi rappresenta un apice di eccellenza di ciò che le epoche precedenti avevano raggiunto, non uno standard.

Vita quotidiana

Il bias del sopravvissuto condiziona il nostro modo di percepire anche situazioni della vita quotidiana: ad esempio, quando per scegliere una scuola superiore o un’università ci basiamo sul numero di diplomati o laureati con il massimo dei voti. Per quanto possa rappresentare un indicatore importante della qualità dell’istruzione erogata, non tiene conto di alcuni fattori fondamentali: il numero totale degli studenti, la differenza tra numero di iscritti e numero di laureati o diplomati ogni anno, il numero di studenti fuori corso o che hanno abbandonato gli studi, ecc.

Allo stesso modo, anche quando si sceglie una carriera spesso si rischia di essere “accecati” dal bias di sopravvivenza: il proliferare di start-up e attività di successo (soprattutto nel mondo digital) ha portato, negli ultimi anni, sempre più persone a mettersi in proprio e dedicarsi a progetti personali, senza considerare il fatto che il numero di start-up e attività che falliscono entro un anno è di gran lunga superiore al numero di quelle che resistono e, effettivamente, riescono a prosperare e crescere nel tempo.