Indagine neuroscientifica sulla meditazione: comprendere i sistemi neuronali utilizzati per arrivare allo stato meditativo e definire gli effetti della pratica mindfulness sul cervello

mindfulness

a cura della Dott.ssa Monica Cecconi

Abstract

Nel seguente articolo viene affrontata l’organizzazione del cervello e i vari studi che hanno confermato, a livello scientifico, il ruolo della tecnica della Mindfulness nel modellamento del sistema nervoso.

Vengono affrontate le tecniche di neuroimaging, le quali consentono l’osservazione dell’attività cerebrale: la tomografa a emissione di positroni (PET) e la tomografia computerizzata a emissione di fotoni singoli (SPECT) e altre tecniche di indagine come l’elettroencefalogramma (EEG), l’elettromiografia (EMG) e la megnetoencefalografia (MEG).

Gli studi fondanti le teorie presenti nell’articolo sono stati effettuati da Davidson nel 1992 e poi nel 2001 con monaci meditatori esperti.

Un ulteriore studio del 2003, svolto su 41 dipendenti di un’azienda americana, è andato a misurare l’attività celebrale alla fine di una pratica meditativa.

Ci sono stati diversi studi che dimostrano come la mindfulness porti a cambiamenti salutari nel cervello. I neuro-scienziati indicano il cervello come “plastico”, visti i suoi continui cambiamenti. Il modellamento del sistema nervoso ha inizio durante la gestazione e per tutto il corso della vita è soggetto a continue modifiche (Cozolino L., 2008).

«Fino a dieci anni fa, nel campo delle neuroscienze, vigeva il dogma secondo il quale il cervello, già alla nascita, disponesse di tutti i suoi neuroni, e che questa quantità non fosse modificata dalle esperienze vissute. […] Attualmente, le neuroscienze considerano sempre di più la neuroplasticità, ovvero la capacità del cervello di evolversi in funzione delle esperienze vissute. […] La professione del misicista, in cui si lavora sul proprio strumento tutti i giorni per anni, è uno dei migliori esempi di neuroplasticità.» (Matthieu R., 2014, p. 267)

1. Organizzazione del cervello

1.1 Il sistema nervoso

Il sistema nervoso inizia il suo sviluppo già nell’embrione; esso si divide in:

  • Sistema nervoso centrale che comprende il cervello e il midollo spinale.
  • Sistema nervoso periferico che si divide a sua volta in sistema nervoso autonomo o involontario e sistema nervoso somatico o volontario.

Entrambi i sottosistemi sono connessi ed in relazione con gli organi di senso, con le ghiandole, con i vari sistemi dell’organismo (scheletrico, muscolare ecc.) e quindi si può affermare che esistono delle specifiche vie di “comunicazione” di stimoli e segnali che attraversano tutto il corpo e che trovano nel cervello “punti di partenza” e “punti di arrivo”.

Il SNA ha due suddivisioni:

  • Sistema simpatico che controlla l’attivazione del SN come risposta ad una minaccia.
  • Sistema parasimpatico che mantiene l’energia del corpo e le funzioni immunitarie. Inoltre, è adibito alla riparazione dei sistemi danneggiati.

Per il sistema nervoso centrale la ricerca ha dimostrato che le scariche neuronali vengono generate in risposta a degli stimoli e che la ripetizione dello stimolo accresce il numero delle connessioni sinaptiche. Questa è la modalità in cui l’esperienza modella la struttura neuronale; infatti, i neuroni vengono attivati proprio da essa e in base a questa cambiano. Questo fenomeno prende il nome di neuroplasticità.

Quando si parla di consapevolezza mindful si osserva che essa è un’esperienza che promuove la plasticità neuronale.

Per studiare i cambiamenti che avvengono nel cervello durante la pratica della mindfulness e non solo dal punto di vista della struttura fisica e funzionale, sono state utilizzate tecniche come la fMRI, che permette di studiare il cervello in azione misurando i cambiamenti nel flusso sanguigno nelle varie regioni celebrali della persona impegnata nella meditazione o in un compito specifico (Baer A.B., 2012), e di rivelazione elettrica come l’EEG.

1.2 Funzionamento del cervello

Il cervello è suddiviso in due emisferi con funzioni diverse:

  1. Emisfero destro: si sviluppa e si attiva nei primi due o tre anni di vita ed è specializzato nello svolgimento delle seguenti funzioni:
    • Linguaggio non verbale;
    • Pensiero creativo;
    • Percezione visivo-spaziale;
    • Capacità solistica e di cogliere gli “insiemi”;
    • Memoria autobiografica;
    • Emozioni spontanee;
    • Risposta empatica non verbale;
    • Misurazione dello stress (alcuni studi hanno rilevato la possibilità che l’emisfero destro faccia da mediatore per il distress e le emozioni dolorose).
  • Emisfero sinistro: si attiva intorno al secondo anno di vita ed è specializzato:
    • Nel linguaggio;
    • Nel pensiero analitico;
    • Nel pensiero lineare e letterale;
    • Nell’analisi del dettaglio e del particolare (con relativa capacità percettiva);
    • Nella mediazione degli stati affettivi positivi.

«La coordinazione tra l’emisfero destro e sinistro nel plasmare il nostro tono emotivo globale può essere una dimensione importante del modo in cui la consapevolezza mindful altera il nostro stile affettivo.» (Siegel D.J., 2009, p. 50)

Nella tabella che segue è schematizzata una più dettagliata descrizione delle caratteristiche dei due emisferi del cervello.

Predominanza dell’emisfero sinistroPredominanza dell’emisfero destro
Uso della logicaUso delle sensazioni/sentimenti
Orientamento ai dettagliOrientamento ai grandi progetti
Basato sulla realtà dei fattiBasato sul’immaginazione
Parole e liguaggioSimboli ed immagini
Presente e passatoPresente e futuro
Matematica e scienzaFilosofia e religione
Capacità di comprendere, capireCapacità di comprendere, cogliere il significato
Capacità di conoscereCapacità di credere
Capacità di riconoscereCapacità di apprezzare (riconoscere il valore)
Percezione dell’ordine o schemaPercezione spaziale
Identifica gli oggetti per nomeIdentifica gli oggetti per la funzione
Crea strategiePresenta possibilità
PraticoImpulsivo
Preciso, accurato, cautoSi prende dei rischi

1.3 Il tronco encefalico

«Il tronco encefalico è il palmo della nostra mano, le aree limbiche sono il nostro pollice (idealmente, dovreste avere un pollice destro e uno sinistro in ogni mano), e la corteccia è rappresentata dalle vostre dita curvate.» (Siegel D.J., 2009, p. 39)

Il tronco encefalico adempie a processi di base fondamentali, come la regolazione del battito cardiaco, gli stati di veglia e di sonno, la frequenza cardiaca e la risposta di attacco e fuga. Per la sua fondamentale funzione è la parte più centrale e protetta perché essenziale per la sopravvivenza. È l’area più antica del cervello e, per questo motivo, viene anche chiamata “cervello rettiliano”.

Secondo la teoria evoluzionista, con la trasformazione dei rettili in mammiferi, si è sviluppata la regione limbica, impiegata nell’attaccamento, nella memoria (memoria episodica e autobiografica) e nella produzione di affetti e di emozioni. La regione limbica comprende anche l’ipotalamo, il principale regolatore ormonale.

Le zone limbiche e il tronco encefalico si organizzano per condizionare le pulsioni motivazionali e i nostri bisogni primari.

1.4 La corteccia cerebrale

La corteccia cerebrale è uno strato laminare continuo. È la parte più esterna del cervello (telencefalo) ed è più sviluppata nei mammiferi rispetto agli altri animali. È formata dai neuroni, dalla glia e dalle fibre nervose. Gioca un ruolo primario nella memoria, nel pensiero, nella coscienza, nella concentrazione e nel linguaggio ed è anche implicata nei processi più complessi come l’attenzione e la pianificazione. È suddivisa in diversi lobi e si organizza in 6 aree:

  1. La corteccia frontale;
  2. L’insula;
  3. La corteccia cingolata;
  4. La corteccia parietale;
  5. La corteccia temporale;
  6. La corteccia occipitale.

Queste aree sono presenti sia nell’emisfero destro che nell’emisfero sinistro, nel quale sono specializzate a svolgere le funzioni di seguito sintetizzate:

  1. Il lobo occipitale ha la funzione visiva;
  2. Il lobo temporale ha la funzione uditiva, linguaggio recettiva e della memoria;
  3. Il lobo parietale funziona come collegamento tra la capacità motoria con i sensi portando alla cognizione della sensazione del corpo nello spazio;
  4. La corteccia dell’insula e la corteccia cingolata servono come integrazione dell’elaborazione limbica collegandola alle reti corticali;
  5. I lobi frontali fungono da regolatori del comportamento motorio, del linguaggio, del funzionamento esecutivo, dell’attenzione diretta e del ragionamento astratto.

La corteccia è poco sviluppata alla nascita e quindi il suo sviluppo è legato alla capacità recettiva e adattiva alle varie esperienze. Le varie aree possono comunicare tra di loro grazie ai collegamenti neurobiologici e anatomici secondo processi ancora non del tutto conosciuti.

La parte posteriore della corteccia ha il compito di elaborare le percezioni che arrivano dall’esterno. La parte anteriore è specifica per i processi motori, cognitivi e attentivi.

L’area frontale, o area premotoria, è la regione in cui sono stati scoperti i neuroni specchio, i quali consentono di interiorizzare gli stati emotivi e le intenzioni degli altri.

Prima delle aree motorie e premotorie troviamo la corteccia prefrontale.

La corteccia prefrontale interviene nelle diverse funzioni che l’essere umano incontra. È una delle principali strutture implicate nella meditazione. Nella corteccia prefrontale si riconoscono due aree, una laterale ed una mediale, con funzioni diverse ma che lavorano in modo sinergico.

  • L’area laterale può essere definita la “lavagna della mente”, in cui andiamo a “scrivere” quello che riteniamo importante per quel momento. Essa è addetta alle funzioni esecutive consentendo l’auto-regolazione dei comportamenti e condizionando il flusso dell’attenzione;
  • L’area mediale riceve degli input da tutto il cervello, con particolare aiuto della corteccia dell’insula che con i suoi dati sembra essere utilizzata sulle nostre emozioni e sullo stato del nostro corpo in modo da creare delle rappresentazioni delle menti degli altri. Le aree prefrontali mediali sono fondamentali perché avvenga la comunicazione sociale. Questa regione collega i processi del corpo, del tronco encefalico, della corteccia e dei processi sociali in un’unità funzionale; anatomicamente le aree prefrontali mediali toccano tutto il cervello. Ecco perché si parla di integrazione neuronale e come afferma Siegel:

«Connessioni sinaptiche estese in tutto il corpo che ci mettono in relazione anche con le altre persone. […] l’integrazione neuronale è l’esito di relazioni sintonizzate. […] sembra essere promossa dalla sintonizzazione delle relazioni di attaccamento sicuro. Alcuni dati […] sembrano indicare che la consapevolezza mindful promuova questa integrazione neuronale per mezzo di una forma di sintonizzazione intrapersonale. […] L’integrazione neuronale […] può essere essenziale per creare un equilibrio basato sull’auto-regolazione. […] questi percorsi di integrazione possono giocare un ruolo cruciale per il benessere.» (Siegel D.J., 2009, p. 45)

2. Mindfulness e cambiamenti nel cervello

«Una domanda che ha ricevuto notevole attenzione è se le pratiche meditative possono indurre neuroplasticità.» (Baer R.A., 2012, p. 179)

Le varie forme di meditazione hanno lo scopo di aumentare la capacità di essere mindful, sebbene quella più specifica per raggiungere questo obbiettivo è la meditazione di tradizione buddista.

L’indagine neuroscientifica sulla mindfulness ha come scopo quello di capire quali sono i sistemi neuronali che vengono utilizzati per arrivare allo stato meditativo; inoltre ha anche l’obbiettivo di definire gli effetti della pratica mindfulness che ha sul cervello ed il suo funzionamento in modo costante.

Secondo Richard Davidson, psicologo e psichiatra dell’Università del Wisconsin-Madison (Siegel D.J., 2009) in chi attua la mindfulness si osservano dei cambiamenti funzionali che riguardano la corteccia anteriore sinistra. È giunto dunque all’ipotesi che la mindfulness possa portare a sviluppare una migliore capacità di regolare le emozioni. La conseguenza di ciò sarebbe anche un rafforzamento del sistema immunitario. Questa importante scoperta amplia i benefici della mindfulness anche alla salute fisica, oltre che per superare stati emotivi negativi.

Therese Brosse, cardiologa francese, nel 1935, fu la prima ad osservare gli effetti della meditazione sull’uomo, descrivendo come il cuore nello stato meditativo sembrasse non attivo.

3. Metodi di studio

3.1 Neuroimaging

Negli ultimi anni lo studio scientifico della meditazione (quella buddista in particolare) si è sviluppato notevolmente grazie anche alle moderne tecnologie, i cosiddetti neuroimaging, che riescono a valutare le funzioni cerebrali nell’uomo. La tecnica più adattabile è la risonanza magnetica (MR), utilizzata per produrre immagini tridimensionali del cervello con un’alta risoluzione spaziale.

C’è la possibilità di suddividere ancora le immagini tridimensionali in classi di tessuti, che sono formati da materia grigia, bianca e dal liquido cerebrospinale. Questo tipo di esame è di aiuto ai neuroscienziati perché permette loro di studiare regioni del cervello specifiche e i vari tipi di tessuto (Baer A.B., 2012).

Un’altra tecnica di neuroimaging è la risonanza magnetica funzionale (fMR). È una tecnica non invasiva che consente di studiare il cervello in azione mentre la persona che si sottopone a questo esame è impegnata in un compito mentale, come dover rispondere a stimoli visivi o impegnato nella meditazione. La fMR, misura i cambiamenti nel flusso sanguigno in regioni che si attivano come conseguenza di un’attività cerebrale (Baer A.B., 2012).

Ci sono altre due tecniche di neuroimaging che consentono l’osservazione dell’attività cerebrale: la tomografia a emissione di positroni (PET) e la tomografia computerizzata a emissione di fotoni singoli (SPECT). Entrambe studiano l’attività neuronale in modo diretto, attraverso la misurazione nel flusso sanguigno e il metabolismo, utili per la misurazione delle attività fisiologiche e biochimiche del cervello. Questo avviene grazie alla registrazione dell’attività di un isotopo radioattivo, il quale emette raggi gamma, iniettato nel sangue del paziente. Queste tecniche vengono meno usate perché più costose e invasive (Baer A.B., 2012).

Tra le altre tecniche di indagine utilizzate ricordiamo l’elettroencefalogramma (EEG), l’elettromiografia (EMG) e la megnetoencefalografia (MEG). Esse misurano direttamente l’attivazione neuronale rilevandone i cambiamenti al millisecondo (Baer A.B., 2012).

L’elettroencefalografia (EEG) è la registrazione non invasiva dell’attività elettrica dell’encefalo. Il segnale EEG viene ottenuto grazie a elettrodi appoggiati allo scalpo del paziente e tenuti in posizione da una cuffia elastica in neoprene. Per assicurare la buona conduzione elettrica viene utilizzato un gel. Durante la registrazione del tracciato il paziente deve svolgere manovre come aprire e chiudere gli occhi, respirare profondamente per pochi minuti o guardare una luce ad intermittenza. Queste manovre di attivazione servono per assicurarsi che ci sia una corretta reattività delle strutture del cervello.

Queste tecniche di neuroimaging hanno permesso di studiare le attività mentali complesse e anche le conseguenze a livello cerebrale dell’attività di meditazione.

Ci sono tecniche meditative, come ad esempio quella sull’ amorevole gentilezza (metta), le quali comprendono la “visualizzazione”, al fine di riprodurre particolari stati mentali. I ricercatori hanno proposto una separazione tra i metodi che fanno parte della meditazione di concentrazione e quelli che concernano la consapevolezza aperta (Baer A.B., 2012).

A tale scopo hanno cominciato ad individuare specifiche reti neuronali specializzate sul controllo dell’attenzione e della meditazione ed altre specializzate sulla consapevolezza aperta. Queste ricerche, però, hanno evidenziato diversificazioni importanti nel disegno sperimentale ed anche nel

tipo di meditazione presa in esame, portando difficoltà nel confrontare i risultati, sebbene alcuni risultati ottenuti abbiano dimostrato di possedere una coerenza. Come evidenzia Baer:

«Il primo è l’attivazione della corteccia dorso laterale prefrontale, una zona che è stata associata con le capacità esecutive decisionale e all’attenzione. Questa zona è risultata attiva in un’ampia varietà di stili meditativi, tra cui la meditazione mindfulness […], quella buddhista tibetana di immaginazione […], la recitazione di salmi […], la meditazione zen […].» (Baer R.A., 2012, p. 183)

Una delle strutture del cervello coinvolte nella pratica meditativa è la corteccia prefrontale (CPF), la quale costituisce la base cerebrale con le funzioni cognitive più elevate. La CPF sfrutta le informazioni percettive in modo da permettere le più alte funzioni cognitive, come il saper ragionare sui propri comportamenti, comprendere le varie situazioni sociali, comprendere il comportamento più corretto in risposta a difficoltà di altri, attivare il pensiero astratto, la pianificazione, l’azione volontaria e la flessibilità di pensiero.

La CPF comprende diverse aree; quelle coinvolte nelle pratiche di mindfulness sono due:

  1. La corteccia prefrontale ventromediale (CPFVM)
  2. La corteccia prefrontale dorsolaterale (CPFDL)

La corteccia prefrontale ventromediale è associata al sistema limbico. (Chiesa A., 2011)

I ricercatori hanno osservato che la meditazione favorisce l’attivazione della corteccia cingolata (ACC), specialmente quella della porzione anteriore, che esplica un ruolo centrale nel procedimento di integrazione, motivazione e controllo motorio.

Un’ altra regione che si attiva durante la pratica meditativa è l’insula anteriore, collegata alla percezione delle sensazioni viscerali come la sete, la fame e all’ equilibrio dell’attività respiratoria e cardiaca.

C’è stata un’ipotesi per cui si ha un aumento di attivazione dell’insula anteriore durante la meditazione. Afferma Bauer che «L’insula è stata […] coinvolta negli studi sull’attenzione, con recenti evidenze che suggeriscono come l’insula possa essere una specie di interruttore principale per diverse reti di attenzione […]. Anche questa funzione è coerente con le esigenze attentive richieste dalla pratica meditativa.» (Baer R.A., 2012, p. 184)

L’insula anteriore e il cingolo anteriore sono chiamati in causa nell’esperienza del dolore, in particolar modo nell’ aspetto soggettivo dell’esperienza. Ci sono altre aree corticali somatosensoriali come l’insula posteriore implicata nell’ esperienza sensoriale diretta del dolore o l’amidgala, implicata nel legame sgradevole dell’esperienza mentale.

È stato appurato che la pratica meditativa del respiro, 20 minuti al giorno per 4 giorni, cambia le risposte dell’insula e del cingolo anteriore collegato all’ esperienza soggettiva del dolore solo come stato mentale, mentre le sensazioni fisiche non verrebbero modificate.

In un articolo pubblicato nel Journal of Neuroscience, vengono pubblicati i risultati di una ricerca condotta dal Wake Forest Baptist medical Center Meditation, in cui si evidenzia come le tecniche meditative provochino significativi effetti analgesici. Sono stati presi in esame quindici volontari sani, che non avevano mai svolto pratiche meditative, per 4 lezioni di 20 minuti ciascuna, in cui hanno appreso la tecnica di meditazione sull’attenzione focalizzata. Essa si basa sul concentrarsi sul proprio respiro in modo da distogliersi da pensieri ed emozioni. Per controllare l’attività mentale, durante questo esperimento, è stata utilizzata la risonanza magnetica e un’altra apparecchiatura situata sotto la gamba destra dei soggetti che per cinque minuti produceva un calore talmente elevato fino a provocare dolore. Dopo aver svolto la pratica meditativa le scansioni riportavano una riduzione del livello del dolore. Questo veniva evidenziato da una riduzione dell’attività della corteccia somato- sensoriale, coinvolta nell’origine della sensazione di dolore.

È stato osservato anche che la meditazione aumenta l’attività in altre aree cerebrali come quella del cingolo anteriore, dell’insula anteriore e della corteccia fronto-orbitale. Per il direttore della ricerca, il Dott. Coghill, tutte le aree coinvolte determinano come il cervello organizza l’esperienza del dolore. Inoltre, il motivo per cui la meditazione è risultata efficiente è proprio perché la sua azione coinvolge più regioni del cervello.

Quando la pratica meditativa è a livelli superiori ed è regolare aiuta:

  1. La regolazione della produzione di cortisolo, un ormone che regola lo stress;
  2. La riduzione della noradrenalina, un neurotrasmettitore prodotto dalle ghiandole surrenali e dal cervello sotto stress;
  3. L’aumento della melatonina nelle ore notturne, la quale aiuta a modulare i ritmi biologici dell’organismo come il sonno;
  4. L’aumento della serotonina, un neurotrasmettitore regolatore dell’umore ed efficace per gli stati depressivi ed anche regolatore della fame;
  5. L’aumento del deidroepiandrosterone (DHEA), un ormone che viene emesso dalle ghiandole surrenali e dal cervello, determinante sull’umore e sul sistema immunitario.

Ci sono stati altri studi sulla sincronizzazione degli emisferi cerebrali, mediante l’utilizzo di un elettroencefalografo computerizzato, che permette la misurazione automatica del livello di sincronizzazione tra i due emisferi. Questo tipo di ricerche sono state sintetizzate dal Dott. Nitamo Montecucco, il quale descrive l’esperienza di un migliaio di persone che sembrano avere una relazione diretta tra coerenza cerebrale e salute. In pratica, più una persona è in salute più c’è un maggior grado di armonia e coerenza delle onde cerebrali. Proprio questo elemento di armonia e coerenza delle onde cerebrali è quanto si è riscontrato durante meditazione.

Per concludere, si può affermare che la pratica della meditazione genera un rilassamento profondo che potenzia l’attenzione, un maggiore controllo dei circuiti neuroendocrini, una maggiore coerenza cerebrale e una più efficace comunicazione tra gli emisferi.

«Mentre le medicine ordinarie si possono prendere per guarire una malattia fisica, per guarire completamente la causa della malattia, ed essere certi di non sperimentarla più nel futuro, dobbiamo utilizzare la medicina interiore. In cosa consiste la medicina interiore? Nella meditazione. Meditazione significa utilizzare la nostra mente e le nostre qualità positive per curarci. […] Dato che la felicità e la sofferenza derivano dalla nostra mente, la meditazione è la chiave essenziale della guarigione.» (Lama Zopa Rimpoce, 2005, pp. 25-26)

4. La meditazione incontra la scienza

«Credo che la scienza dell’Occidentale e la filosofia dell’Oriente possono congiungersi per creare un essere umano veramente completo e maturo. Soltanto in questo modo l’uomo emergerà, rafforzato, dalla sua condizione e diverrà completo. Ciò che, infatti, mi interessa è quanto sta oltre la materia e la consapevolezza: quest’ ultima sola è veramente importante e ci rende quello che siamo.» (Dalai Lama, 2000, p. 124)

Il Dalai Lama è sempre stato interessato all’ incontro tra religione e scienza come il Lama tibetano Mattieu Ricard che, con una considerevole formazione di ricerca scientifica, ha rappresentato una presenza fondamentale per questa ricerca.

4.1 Studi su monaci meditatori

1° STUDIO, 1992

Ricercatori come Richard Davidson, Antoine Lutz e Daniel Goleman hanno avuto un ruolo fondamentale nello studio e la ricerca dei cambiamenti che avvengono nel cervello durante la meditazione.

Davidson, all’inizio del terzo anno di specializzazione all’Università di Harvard, compì delle ricerche sulla meditazione. Insieme a Goleman esaminarono 58 individui con differenti esperienze meditative (da nessuna esperienza a due anni di pratica). Proposero dei test psicologici standard in cui emerse che, in soggetti con esperienza di pratiche meditative, lo stato ansioso era notevolmente ridotto e le capacità attentive risultarono superiori nei soggetti inesperti (Davidson R.J., 2013).

È fondamentale evidenziare che, in quel periodo, la psicologia tradizionale disdegnava questo tipo di ricerche perché esse erano ostacolate dal fatto che le moderne e raffinate tecniche di neuroimaging non esistevano ancora per dimostrare a livello scientifico la coerenza con quello che era emerso dai vari esperimenti svolti.

Nel 1992 Davidson decise di contattare il Dalai Lama, chiedendo il permesso di studiare alcuni monaci che vivevano sulle colline in ritiro meditativo per mesi o anni, per dimostrare che, dopo migliaia di ore di meditazione, fosse possibile osservare la struttura e la funzionalità del cervello modificate. Con molta soddisfazione accettò indicando uno dei suoi monaci come intermediario con gli eremiti. Nella primavera del 1992 l’incaricato del Dalai Lama recapitò la richiesta di cooperazione con i dieci monaci che si sarebbero presentati per misurare l’attività elettrica del loro cervello.

Per fare questo Davidson si fece aiutare da Cliff Saron, ricercatore presso la University of Wisconsin, da Francisco Varela, neuroscienziato dell’Hopital de la Salpetrière di Parigi, e da Alan Wallace, studioso buddhista della University of California di Santa Barbara, che nel 1980 andò in ritiro sulle stesse colline dei monaci in osservazione.

Questo tipo di sperimentazione non portò gli effetti desiderati, perché il dato rilevabile strumentalmente, a mezzo dell’EEG, non poteva rilevare sentimenti quali la compassione e l’umiltà.

«Rimpoche spiegò con grande modestia che la sua pratica meditativa era a dir poco mediocre […] e che se volevamo scoprire gli effetti della meditazione, bè, l’unica cosa che potevamo fare era meditare! Non avevamo tenuto conto del fatto che l’umiltà è un valore fondamentale del buddhismo tibetano […]

Tuttavia, l’obbiezione più forte era quella avanzata da Rimpoche: le misurazioni fisiche erano semplicemente inadeguate per comprendere gli effetti della meditazione sulla mente. Che senso aveva, ad esempio, usare l’EEG, per capire in che modo è possibile coltivare la compassione tramite la meditazione? Ma non scherziamo! Dopo aver raggiunto l’ultimo monaco, tirammo le somme: monaci incontrati 10, dati raccolti 0.» (Davidson R.J., 2013, pp. 269-270)

Davidson non poteva negare che da un punto di vista scientifico avevano fallito ma sotto altri punti di vista avevano ottenuto grandi risultati, capendo quanto potevano imparare da questa esperienza.

2° STUDIO, 2001, Monaci meditatori esperti con familiarità con l’Occidente o con la scienza

«Il Dalai Lama stava ascoltando il nostro triste resoconto quando all’improvviso esclamò: “Perché non riprovate con chi pratica la meditazione da molto tempo, ma che è stato in Occidente e ha più familiarità con il pensiero e la tecnologia occidentali?» (Davidson R.J., 2013, p. 271)

Il Dalai Lama, nonostante avesse ben chiaro che la ricerca psicologica era centrata sulla depressione, sull’ansia, sulla paura e la tristezza, chiese se gli scienziati potessero utilizzare gli strumenti offerti dalla neurobiologia per studiare la gentilezza e la compassione. Quando Davidson tornò in America si rese presto conto che in nessun manuale di psicologia veniva riportato il termine “compassione”, così fece una promessa al Dalai Lama che avrebbe fatto del suo meglio perché la compassione diventasse oggetto di ricerca scientifica (Davidson R.J., 2013).

Nel 2001 arrivò nel laboratorio di Davidson un monaco buddhista tibetano, Matthieu Ricard. Matthieu Ricard nel 1972 aveva conseguito un dottorato in biologia molecolare e lo stesso anno rinunciò al suo lavoro di ricercatore trasferendosi in Himalaya per iniziare gli studi per diventare monaco buddhista. Scrive Davidson:

«Matthieu era dunque essenziale per colmare l’abisso che separava le antiche tradizioni del buddhismo tibetano dalla scienza moderna: è consapevole della necessità di un gruppo di controllo […], ma è anche un esperto di meditazione.» (Davidson R.J., 2013, p. 273)

Egli si recò a Madison nel maggio del 2001 per far sì che gli misurassero, durante la meditazione, l’attività cerebrale tramite la risonanza magnetica funzionale, decidendo di alternare la meditazione della compassione con la meditazione aperta e con la meditazione sulla devozione al maestro spirituale, verso cui si concentra l’attenzione sui sentimenti di rispetto, gratitudine e devozione.

L’esperimento durò dalle sette del mattino all’una e, nonostante la durata, Matthieu venuto fuori dall’apparecchio della risonanza sorrideva e chiese se fossero stati raggiunti i risultati sperati.

Il giorno dopo il Dalai Lama si recò al laboratorio. Davidson così riassume l’evento:

«Eravamo tutti carichi di adrenalina […], e sentivamo di essere giunti a un momento storico nell’ incontro tra Oriente e Occidente, buddhismo e scienza, monaci tibetani e risonanza magnetica funzionale.» (Davidson R.J., 2013, p. 277)

Gli strumenti utilizzati erano stati in grado di misurare le attività cerebrali, dimostrando che fare meditazione porta a cambiamenti sostanziali delle suddette attività. Scrive ancora Davidson:

«Per la prima volta stavo osservando un cervello che meditava. Fui colpito dalle differenze tra i quattro tipi di pratica meditativa. Anche se le distinzioni erano puramente mentali […] le immagini cerebrali mostravano con chiarezza alcune differenze tra i pattern di attività: Avevo la netta impressione che ci trovavamo ad una svolta epocale.

Il Dalai lama vide più chiaramente di noi che era appena nato il campo delle neuroscienze contemplative. Capiva che ci sarebbero voluti anni per raccogliere dati sufficienti per trarre conclusioni su come la meditazione non solo produca modelli distinti di attività cerebrale in tempo reale, ma determini anche cambiamenti a lungo termine in quella attività […]

Il training mentale poteva avere il potere di coltivare le qualità positive della mente, come i buddhisti hanno a lungo insegnato e sperimentato di persona, nonché di alleviare grandi sofferenze […] Tuttavia la nostra è un’epoca dominata dalla scienza, e il Dalai Lama lo sapeva bene. Ci sarebbe voluto qualcosa di più della testimonianza dei buddhisti per convincere il mondo delle potenzialità del training mentale. Serviva la scienza.» (Davidson R.J., 2013, p. 278-280)

Grazie a Matthieu e al Dalai Lama, otto monaci, incluso lo stesso Matthieu, con età compresa tra i 34 e i 64 anni e con uno storico di molte ore di pratica meditativa, parteciparono presso il laboratorio di Davidson negli stati Uniti ad uno studio sul funzionamento del cervello durante la pratica meditativa.

Per prima cosa fu studiato un fenomeno chiamato sincronia neurale in cui singoli neuroni posizionati in aree cerebrali lontane fra loro si attivavano nel medesimo istante. La cosa che destò più interesse riguardava i dati rilevati dall’EEG mentre i monaci non meditavano trovandosi solo in condizione di riposo. Anche in questo stato l’attività gamma e la sincronia neuronale risultava maggiore rispetto al gruppo di controllo.

4.2 Laboratorio di Davidson 2003

Nel 2003 il laboratorio di Davidson ha reso noti i risultati di uno studio, pubblicati nel Journal of Phychosomatic Medicine, in cui 41 dipendenti di un’azienda americana sono stati suddivisi in due gruppi:

  1. A 25 fu insegnata la meditazione per 8 settimane;
  2. A 16 non fu impartito nessun insegnamento.

Alla fine di questo esperimento i ricercatori hanno misurato l’attività del cervello riscontrando che nei 25 soggetti a cui era stata insegnata la meditazione, la regione frontale sinistra risultava più attiva, come avviene nelle persone ottimiste e che provano emozioni positive.

I risultati conseguiti da Davidson sono stati commentati dal Dalai Lama in un’intervista rilasciata al New York Times, in cui ha affermato in sintesi che per secoli i buddhisti hanno ciecamente creduto che i loro metodi per conoscere, potenziare e sviluppare la compassione e la comprensione potessero rendere le persone più felici, più calme e più interessate al prossimo e che le ricerche hanno confermato scientificamente quella che era sono una convinzione. Secondo Davidson i risultati ottenuti sono ancora all’inizio ma permettono di migliorare la comprensione degli effetti biologici della pratica buddhista, creando un’alleanza tra Occidente e Oriente.

Bibliografia

  1. Baer R. A., Come funziona la mindfulness- Teoria, ricerca, strumenti. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2012
  2. Begley S., La tua mente può cambiare. Rizzoli, Milano, 2007
  3. Candace B.P., Molecole di emozioni, Casa Editrice Corbaccio, Milano, 2007
  4. Cozolino L., Il cervello sociale. Neuroscienze delle relazioni umane, Cortina Editore, Milano, 2008 Dalai Lama, La via della tranquillità – Meditazioni per un anno, Rizzoli Editore, Milano, 2000
  5. Dalai Lama, Goleman D., Emozioni distruttive – Liberarsi dai tre veleni della mente: rabbia, desiderio e illusioni. Saggi Mondadori, Milano, 20
  6. Davison R. J, La vita emotiva del cervello- Come imparare a conoscerla e a cambiarla attraverso la consapevolezza. Ponte alle Grazie, Milano,
  7. Didonna F., Manuale clinico di mindfulness. Franco Angeli, Milano, 2012
  8. Fabbro F., Neuropsicologia dell’esperienza religiosa, Casa editrice Astrolabio, Roma, 2010
  9. Foscha D., Siegel D.J., Solomon M.F., Attraversare le emozioni. Vol.1: Neuroscenze e psicologia dello sviluppo, Mimesis Edizioni, Udine, 201
  10. Foscha D., Siegel D.J., Solomon M.F., Attraversare le emozioni. Vol.2: I nuovi modelli di psicoterapia, Mimesis Edizioni, Udine, 2012
  11. Goleman D, The MeditativeMind, Putnam, New York, 1988, p. 20
  12. Goleman D., Intelligenza emotiva, Bur, Milano, 2002
  13. Goleman D., La forza della meditazione – che cos’è, perchè può renderci migliori. Bur, Milano, 2004
  14. Gunaratana H., La pratica della consapevolezza in parole semplici, Ubaldini Editore, Roma, 1995
  15. Guyton A.C., Elementi di fisiologia umana, Piccin Editore, Padova, 1980
  16. Kabat- Zinn J., Dovunque tu vada ci sei già – il cammino verso la consapevolezza. Tea, Milano, 2013
  17. Kabat- Zinn J., Vivere momento per momento- sconfiggere lo stress, l’ansia e la malattia con la saggezza di corpo e mente. Tea, Milano, 2013
  18. Kabat- Zinn J., Riprendere I sensi – guarire se stessi e il mondo con la consapevolezza. Tea, Milano, 2013
  19. Lamparelli C., Tecniche della meditazione orientale. Mondadori Editore, Milano, 2008 Midrio M., Compendio di fisiologia Umana. Piccin Editore, Padova, 2009
  20. Piazza A., Mindfulness per una mente amica – coltivare la consapevolezza Liberarsi dai pensieri negative e scoprire la felicità. Tea, Milano, 20
  21. Pinel John P.J., Psicobiologia, Il Mulino, Bologna, 2007
  22. Ramachandran V.S., Che cosa sappiamo della mente, Oscar Mondadori, Milano, 2006 Searle, J. R. Il mistero della coscienza, Raffaello Cortina, Milano, 1998
  23. Siegel D.J., Mindfulness e cervello. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2009
  24. Siegel D.J., Mindsight. La nuova scienza della trasformazione personale. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2011

Sitografia

  1. www.istitutomindfulness.com
  2. IL CORPO UMANO il sistema nervoso
  3. Istituto di Psicologia del Benessere
  4. https://www.nicolettacinotti.net/
  5. https://www.studiogayatri.com/