Mindful Eating nel trattamento delle Abbuffate e della Fame Emotiva (Parte 1)

mindful eating

a cura della dott.ssa Erika Bianconi

Introduzione

L’approccio della “Mindful Eating” (in italiano “Alimentazione Consapevole”) ha guadagnato popolarità negli ultimi anni come una tecnica efficace per gestire le abbuffate e la fame emotiva. Questo articolo esplora l’applicazione di questa pratica nel trattamento di tali disturbi alimentari, analizzando le basi scientifiche e i benefici derivanti dalla sua implementazione.

Il Mindful Based Eating Awareness Training [MB-EAT; Kristeller, Baer e Quillian-Wolever, 2006; Kristeller e Hallett, 1999; Wolever e Best, 2009] è stato creato appositamente per affrontare il disturbo da abbuffate (Binge Eating Disorder, BED) e problematiche connesse. Il BED si caratterizza per l’utilizzo del cibo come mezzo per gestire il disagio emotivo [Goldfield, Adamo, Rutherford e Legg, 2008], insieme a una disregolazione della consapevolezza enterocettiva, dei meccanismi di appetito e di sazietà [Sysko, Devlin, Walsh, Zimmerli e Kissileff, 2007], e una reattività agli stimoli alimentari [Sobik, Hutchison e Craighead, 2005]. Anche se sono a conoscenza delle indicazioni nutrizionali per un’alimentazione salutare, le persone affette da BED spesso segnalano frustrazione e un senso di insoddisfazione nell’adottare tali linee guida. Consumo alimentare, cibo e peso corporeo solitamente ricoprono un ruolo sproporzionato come elementi dell’auto-identità [Dunkley e Grilo, 2007]. Piuttosto che essere un processo di nutrimento, il rapporto con il cibo è vissuto come una lotta interna contraddistinta da un intenso avvicinamento ed evitamento.

1. Definizione e Principi Chiave

Il MB-EAT è stato inizialmente concepito sulla base di tre approcci teorici: modelli di regolazione dell’assunzione alimentare che sottolineano l’interazione tra processi di controllo psicologico e fisiologico [Hetherington & Rolls, 1996; Rodin, 1981], la teoria dell’auto-regolazione [Schwartz, 1975], e modelli neuro-cognitivi e terapeutici della meditazione mindfulness [Goleman, 1988; Kristeller, 2007; Siegel, 2007]. Decenni di ricerche sui meccanismi fisiologici della fame e della sazietà indicano che tali segnali possono essere facilmente sovrascritti da influenze non nutritive [Capaldi, 1996].

In particolare, individui con BED mostrano uno squilibrio evidente e una sensibilità eccessiva a segnali “esterni” o “non nutritivi” per mangiare (sociali, emotivi o desiderio condizionato per certi cibi), e una contemporanea desensibilizzazione a segnali “interni”, soprattutto quelli associati a normali processi di sazietà. Sebbene un modello di questo squilibrio sia basato su spiegazioni biologiche (ad esempio, genetiche o epigenetiche) dell’insicurezza edonica [Appelhans, 2009], una prospettiva alternativa è che gli individui si distanzino dall’esperienza interna, creando schemi di alimentazione “senza pensieri” [Wansink, 2007].

Molti individui affetti da binge eating cercano programmi dietetici convenzionali; questi potrebbero risultare efficaci a breve termine, ma potrebbero ulteriormente distanziare gli individui dai segnali interni, imponendo una struttura esterna con scarsa flessibilità personale od opportunità di riacquisire abitudini adattive e spesso trascurando o ignorando l’intensità del desiderio edonico. La teoria dell’auto-regolazione [Schwartz, 1975; Shapiro & Schwartz, 2000] suggerisce che i processi regolatori interni nel corpo dipendano in gran parte dalla capacità di auto-osservare gli stati interni.

Come nel caso del biofeedback, un focus originario della teoria dell’auto-regolazione, la coltivazione della consapevolezza di segnali interni rilevanti può coinvolgere i sistemi regolatori in modo più efficace. Tratto dai modelli omeostatici del funzionamento psicobiologico, la teoria dell’auto-regolazione propone inoltre che anche sistemi complessi possano essere ri-regolati e mantenuti con relativamente poco sforzo o lotta. Questa prospettiva è in qualche modo in contrasto con i modelli di autocontrollo che presuppongono una costante necessità di vigilanza, struttura esterna imposta e auto-gestione faticosa. Uno degli obiettivi principali del programma MB-EAT è riequilibrare l’interazione tra fattori fisiologici e fattori non nutritivi che guidano l’alimentazione.

Pertanto, aiutando gli individui a sviluppare una maggiore consapevolezza della fame e della sazietà, così come degli stati emotivi e degli stimoli esterni, MB-EAT coinvolge i processi di auto-regolazione correlati all’appetito, all’equilibrio emotivo e al comportamento. I modelli neurocognitivi emergenti confermano l’efficacia della pratica meditativa come un percorso di trasformazione [Lutz, Slagter, Dunne e Davidson, 2008]. Ciò è particolarmente valido per sistemi complessi in cui spinte auto-protettive o di appetito [come reazioni d’ansia o processi di dipendenza] necessitano di essere riportate in un equilibrio ottimale attraverso un processo neurologico di livello superiore.

Mentre la meditazione è comunemente riconosciuta per il suo impatto potente come strumento di “rilassamento”, è più adeguato considerarla come un modo per coltivare una particolare qualità di attenzione e consapevolezza, che poi facilita l’auto-regolazione in vari ambiti di funzionamento, inclusi quelli fisici, emotivi, comportamentali e nelle relazioni con sé stessi e gli altri. Questo modello multi-dominio della meditazione [Kristeller, 2003, 2007] si applica particolarmente al trattamento dei complessi disturbi alimentari, poiché coinvolgono la disregolazione in molteplici sfere di funzionamento. I concetti di “saggezza” emergente e auto-accettazione, elementi centrali della pratica tradizionale della meditazione, sono altresì fondamentali nel programma MB-EAT.

I partecipanti vengono stimolati a riconoscere i propri punti di forza interni e ad essere aperti alla loro comprensione e alle soluzioni per situazioni difficili, piuttosto che reagire giudicando le variazioni auto-percepiti rispetto alle norme interiorizzate, sia di comportamento che di peso, caratteristica distintiva dei disturbi alimentari. All’interno del nostro contesto, la meditazione mindfulness è concepita come un metodo per allenare l’attenzione per accrescere la consapevolezza non giudicante dell’esperienza interna e dei modelli automatici legati all’alimentazione, alla regolazione emotiva e all’accettazione di sé. L’importanza dell’auto-accettazione, della compassione e del perdono è altamente rilevante per interrompere i cicli disfunzionali di abbuffate, auto-rimproveri ed eccessiva restrizione. La meditazione mindful è ulteriormente utilizzata per coltivare la capacità di disimpegnarsi da reattività indesiderate e di attivare processi che possono influenzare il comportamento in modo più “saggio” [Kristeller, 2003; Kristeller, et al., 2006; Wolever & Best, 2009].

Altre applicazioni terapeutiche della meditazione mindful, come il Programma di Riduzione dello Stress basato sulla Mindfulness [Kabat-Zinn, 1990], la Terapia Cognitiva basata sulla Mindfulness [Segal, Williams, & Teasdale, 2002] e la Prevenzione delle Ricadute basata sulla Mindfulness [Marlatt, Bowen, & Lustyk, in fase di pubblicazione], perseguono obiettivi simili riguardo al trattamento di disturbi d’ansia, depressione e dipendenze, rispettivamente. Utilizzano anche una formazione generale nella meditazione mindful ed esercizi specifici di mindfulness in relazione alle problematiche presentate e ai bisogni terapeutici associati.

Il modello MB-EAT è in sintonia con altre prospettive sul trattamento di modelli alimentari disfunzionali e altamente condizionati, inclusi i seguenti: il modello della dieta cronica [Herman & Polivy, 1980], il modello di fuga [Heatherton & Baumeister, 1991], approcci cognitivo-comportamentali [Apple & Agras, 1997; Fairburn & Wilson, 1993], terapia interpersonale [Wilfley et al., 2002] per il BED, e altre strategie che incorporano la mindfulness all’interno di trattamenti basati sull’accettazione [Safer, Telch, & Chen, 2009; Wilson, 2004]. Tuttavia, in modo simile all’Addestramento alla Consapevolezza dell’Appetito [Allen & Craighead, 1999], MB-EAT pone una maggiore attenzione esplicita ai processi di assunzione del cibo in sé. MB-EAT integra, inoltre, ricerche più recenti che riconoscono la complessità degli impulsi edonici associati al cibo [Appelhans, 2009]; il rieducare la consapevolezza della fame e della sazietà potrebbe essere particolarmente rilevante per gestire tale pressione edonica in individui particolarmente sensibili a questo aspetto dell’alimentazione.

2. Applicazione Pratica: Struttura del programma MB-EAT

Il programma MB-EAT è strutturato per introdurre gradualmente, in parallelo, elementi della pratica di meditazione mindful, dell’alimentazione consapevole e dei temi di consapevolezza di sé e auto-accettazione.

2.1 Coltivare la consapevolezza

Il programma MB-EAT mette in evidenza l’importanza della meditazione mindful per sviluppare la capacità di concentrare l’attenzione, coinvolgere la consapevolezza e liberarsi dalla reattività “senza pensieri”. In aggiunta, il programma sottolinea i principi fondamentali di accogliere la “saggezza” e le qualità empatiche della consapevolezza, come il non giudizio, la compassione e l’auto-accettazione.

La formazione nella pratica della consapevolezza inizia con la consapevolezza del respiro e la meditazione seduta. Nella seconda sessione, si introducono la pratica dell’utilizzo di “mini-meditazioni” per tranquillizzare e concentrare l’attenzione nel momento presente come mezzo per portare la consapevolezza alle esperienze alimentari. Questo processo viene in seguito esteso per portare la consapevolezza a qualsiasi aspetto della vita quotidiana. Tutte le sessioni includono la pratica della consapevolezza; si incoraggiano i partecipanti a esercitarsi quotidianamente a casa, inizialmente per 10 minuti, e successivamente per 20 minuti.

2.2 Coltivare l’Alimentazione Consapevole (Mindful Eating)

Nelle prime sette sessioni, vengono impiegate diverse attività di consapevolezza per assistere gli individui nell’apportare consapevolezza e ripristinare l’equilibrio agli aspetti dell’alimentazione solitamente in disordine nei disturbi alimentari. Ogni esperienza viene presentata attraverso una pratica di meditazione guidata, seguita da discussione. Gli esercizi si concentrano sui seguenti aspetti: portare consapevolezza alle sensazioni di fame fisica e ai diversi tipi di sazietà (pienezza dello stomaco e sazietà specifica dei sensi); portare consapevolezza all’atto di mangiare tutti i tipi/categorie di cibo con l’obiettivo di ottenere piacere edonico da piccole quantità di cibo; consapevolezza degli stimoli non nutritivi per mangiare e nella scelta di cibi specifici.

La prima esperienza guidata è presa in prestito da MBSR: mangiare consapevolmente tre chicchi di uva passa. Si pone l’enfasi su notare e amplificare ogni sensazione, osservare pensieri e sentimenti durante il consumo dell’uvetta, osservare preferenze di sapore e consistenza, e gustare ogni uva passa il più completamente possibile. I partecipanti esprimono solitamente stupore per l’intensità dell’esperienza, la distintività di ogni uva passa, e la consapevolezza di come l’esperienza si differenzi dal mangiare distrattamente un pugno di uva passa tutto in una volta.

Sei sessioni presentano un esercizio di mindful eating incorporato. Dopo la prima esperienza di mindful eating con l’uva passa, i cibi diventano progressivamente più impegnativi in termini di piacere edonico e valore calorico. Snack comuni con minor valore nutrizionale vengono utilizzati per portare la consapevolezza a potenziali cibi “binge”. Ciò coinvolge anche la distinzione tra “gradire” e “volere”, un concetto di crescente interesse nella letteratura sperimentale sulla regolazione alimentare (Finlayson, King, & Blundell, 2007).

Nella seconda sessione, i partecipanti mangiano formaggio e cracker con consapevolezza, e nella quarta sessione, brownies al cioccolato. Nella quinta sessione, scelgono consapevolmente di mangiare due tra tre possibili snack: nachos, un biscotto al burro, o uva.

Questo esercizio aumenta la consapevolezza su come prendono decisioni alimentari, incoraggia la riflessione sulle scelte alimentari più o meno salutari, e coltiva la consapevolezza della “soddisfazione del gusto”, il nostro termine per la “sazietà specifica dei sensi”. Una volta che gli individui diventano più sintonizzati all’esperienza sensoriale, spesso esprimono sorpresa per come il loro “snack” scelto sia meno attraente (più salato o unto o meno saporito) del previsto, con il piacere che raggiunge rapidamente il picco e poi svanisce rapidamente.

La settima sessione include un pasto a buffet, a cui i partecipanti portano due portate: una che rispecchia uno stile di alimentazione “più salutare”; e una che rappresenta un cibo preferito difficile da mangiare moderatamente (per esempio, pasta al formaggio). Il pasto inizia in silenzio e offre linee guida sul ritorno mindful, incoraggiamento a lasciare del cibo nel piatto, e promemoria di scegliere “qualità rispetto a quantità”. La terza sessione introduce l’esplorazione dell’esperienza della fame fisica, distinta dalla fame emotiva. Ai partecipanti viene chiesto di notare quanto sono affamati fisicamente su una scala da 10 punti, con 10 che rappresenta la massima fame possibile e 1 che rappresenta assenza di fame. Vengono quindi invitati a specificare i segnali fisici utilizzati per determinare i livelli di fame.

Nella quarta sessione, la consapevolezza della pienezza è introdotta facendo bere ai partecipanti una grande bottiglia d’acqua, utilizzando anch’essa una scala da 10 punti per valutare la sensazione di pienezza. L’utilizzo di una seconda scala chiarisce che la fame e la pienezza non sono semplicemente opposti su una scala, ma si sovrappongono, poiché sono controllati da meccanismi distinti, sebbene correlati. L’uso dell’acqua sottolinea anche che la distensione dello stomaco è in qualche modo separata dall’assunzione calorica, enfatizzando la complessità di questi processi. I compiti a casa relativi al mindful eating iniziano con la sfida di mangiare consapevolmente un pasto o uno snack al giorno, aumentando fino a mangiare tutti i pasti e gli snack consapevolmente.

I compiti iniziali si concentrano su singoli aspetti del mindful eating (ad esempio, sapore, ritmo, attenzione alla fame) per costruire abilità specifiche. I compiti successivi incoraggiano l’integrazione di abilità multiple, affrontando contemporaneamente la fame fisica, la scelta del cibo, il sapore, la consistenza, la sensazione di pienezza, i pensieri e i sentimenti prima e durante il pasto. Ad esempio, dopo il pasto a buffet, i compiti includono andare a un buffet “all you can eat”. L’incarico comporta l’uso di tutte le pratiche alimentari acquisite fino a quel momento in circostanze intrinsecamente difficili, una significativa esperienza di apprendimento, considerando le frequenti sfide dei pasti in famiglia o durante le feste.

2.3 Coltivare l’Equilibrio Emotivo

Non c’è alcun dubbio che il cibo soddisfi bisogni emotivi, in misura maggiore per alcuni individui rispetto ad altri. La pratica della consapevolezza viene impiegata per contribuire alla consapevolezza dei trigger emotivi e dei modelli alimentari, come un modo per interrompere la catena di reattività e contribuire al benessere emotivo. Un esercizio a catena, adattato dalla Terapia Comportamentale Dialettica per i disturbi alimentari [Wisniewski & Kelly, 2003], aiuta a cogliere la complessità delle risposte eccessivamente condizionate, accompagnato dal messaggio che i collegamenti nella catena possono essere sganciati in vari punti, persino in mezzo a un eccesso alimentare. Viene affrontato il legame tra autovalutazione severa, eccesso alimentare e affetto negativo, insieme a tipologie comuni di pensiero distorto che di solito alimentano il ciclo di alimentazione disordinata e stato d’animo negativo.

Una distorsione comune del pensiero è l’effetto di violazione dell’astinenza (“Ho sbagliato, quindi tanto vale continuare”) [Marlatt & Gordon, 1985]. Il lavoro con tali distorsioni cognitive viene ampliato dal comportamento alimentare a una più ampia gamma di esperienze. I partecipanti sono altresì sollecitati a esplorare alternative al mangiare come modi per soddisfare i loro bisogni emotivi; nello stesso tempo, sono incoraggiati a gustare i propri cibi “conforto” preferiti in quantità minori, con un’attenzione alla qualità.

2.4 Coltivare l’Accettazione di Sé

Un altro aspetto centrale del programma è lo sviluppo di una relazione più positiva con l’io, che comprende il sé fisico, l’identità personale e il sé in rapporto agli altri. Un esercizio di esplorazione del corpo incoraggia a differenziare tra l’esperienza del corpo e il giudizio su di esso. Ciò è seguito da una dolce sessione di yoga sulla sedia nella Sessione 5 e da una camminata consapevole nella Sessione 8, entrambe finalizzate ad aumentare la consapevolezza del corpo e contemporaneamente coltivare un atteggiamento di gentilezza e compassione.

Lo yoga sulla sedia viene preferito rispetto a quello a terra poiché le persone con un BMI superiore a 40 (la media del peso dei partecipanti al trattamento) potrebbero avere difficoltà a raggiungere il pavimento. Inoltre, lo yoga sulla sedia incoraggia l’adozione di delicati esercizi di yoga nelle normali attività quotidiane (come seduti a una scrivania o a un tavolo). La camminata consapevole, a diverse velocità, contribuisce a portare una qualità di consapevolezza nelle attività quotidiane e nel movimento del corpo, favorendo l’apprezzamento per ciò che il corpo può fare e il riconoscimento dei suoi bisogni. Infine, un esercizio di auto-carezza terapeutica spesso ha un impatto profondo, poiché i partecipanti sono invitati a riempire le mani con amorevole gentilezza e a posarle su varie parti del loro corpo. Iniziano con le zone che apprezzano e poi estendono l’apprezzamento alle aree con cui possono avere difficoltà.

Il tema dell’accettazione di sé si estende oltre il corpo, coinvolgendo anche una riconsiderazione della relazione con altri aspetti del sé. I partecipanti sono costantemente incoraggiati ad adottare un atteggiamento di curiosità ed esplorazione senza giudizio verso pensieri, sentimenti e stati corporei. La cura di sé è enfatizzata in tutto il percorso, compreso il piacere attivo e la gioia nel momento del pasto. L’equilibrio delicato tra responsabilità e auto-colpevolizzazione viene esplorato in una Meditazione del Perdono guidata nella Sessione 5. Questa meditazione esplora il rilascio della rabbia sia verso sé stessi che verso gli altri, incoraggiando al contempo la riflessione su tali osservazioni. Non è raro che i partecipanti riconoscano come la rabbia stia influenzando i loro schemi di abbuffate e auto-accusa.

L’accettazione di sé e la fiducia nelle interazioni interpersonali sono esplorate in tutto il programma in relazione alle pressioni sociali per mangiare provenienti da amici o familiari. L’accettazione di sé è sostenuta per l’intero percorso, incoraggiando gli individui a riconoscere la propria “saggezza interiore” e a coltivarla attraverso la pratica della meditazione. Questo concetto di “saggezza interiore” viene menzionato dalla prima sessione fino alla conclusione, culminando come tema principale nella Sessione 10 con una Meditazione della Saggezza guidata. L’accento è posto sul riconoscere la propria saggezza interiore e utilizzarla per tracciare un percorso verso scelte sagge, informate dalla conoscenza generale ma guidate dall’esperienza e dalle risorse interne.

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